Editoriali

Ma dove è finito il maître des plaisirs?

29 gennaio 2011 | Gualtiero Marchesi



Sono in una bella e gloriosa stazione termale. Faccio i fanghi, leggo, mi rilasso, converso e appena posso giro, curiosando per luoghi e ristoranti.

Non c’è posto come questo che ricordi i fasti della grande hôtellerie, l’arte e il piacere di vivere in albergo.
Per uno che ha vissuto quel fascino al suo apice, iniziando a lavorare in Svizzera, al Grand Hotel Külm, non può che avvertire più forte una certa nostalgia.

Proprio nell’albergo dove alloggio ho incontrato diverse persone che si ricordavano di me dai tempi dell’Albergo Al Mercato, dove accanto ai miei genitori ho mosso i primi passi.

E molti di questi constatavano quanto la vita d’albergo fosse un po’ spenta: piacevole sì, spensierata in senso proprio, sempre preferibile ad altre formule più generiche o improvvisate, ma non proprio quello che si dice allegra, divertente, spumeggiante.
Quest’osservazione abbastanza diffusa mi ha fatto pensare.

Cosa manca a un bel posto, di classe, per risultare indimenticabile? La risposta era e dovrebbe essere ancora: il maître des plaisirs.

È a lui che si demandava la parte immaginaria, impalpabile che trasforma un soggiorno in un ricordo umanamente più ricco.
Dal tennis alle partite a carte, dalla passeggiata ad un momento di confidenza al bar, erano tante le occasioni in cui il maître des plaisirs si divideva in quattro, regalando un sorriso.
Era, insomma, parte dello spettacolo quotidiano di un grande albergo.
Ma dove sono finiti questi maestri di leggerezza e amabilità? Forse in tv?


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