Cultura
L’anfora romana era più di un recipiente: l’aromatizzazione del vino
L’essudato di pino, proveniente probabilmente da Calabria e Sicilia, era utilizzato all’interno delle anfore per creare una sorta di scudo impermeabilizzante dall’aria ma anche per conferire un particolare aroma al vino
08 luglio 2022 | T N
Il vino non era solo una bevanda sociale per ricchi e nobili ma anche un alimento per gli strati sociali più bassi. Il vino poteva anche essere bevuto dalle donne.
Nonostante le molte testimonianze storiche sul vino nell’Antica Roma e sui commerci di questo prodotto, ancor oggi sappiamo poco dell’uso enologico delle anfore vinarie romane.
Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica peer-reviewed Plos One ha esaminato tre anfore romane di 1.500 anni che sono state prelevate da un deposito di fondale marino trovato a San Felice Circeo, a circa 55 miglia a sud-est di Roma.
Nello studio, guidato dalla chimica Louise Chassouant, gli scienziati che hanno utilizzato metodi nel fiorente campo dell'archeobotanica sono stati in grado di determinare come gli antichi romani producevano il vino e quali elementi utilizzavano nel processo.
Nel 2018 notevoli maree invernali hanno permesso di individuare un'enorme dispersione di diversi reperti archeologici su un fondale vicino al moderno porto di San Felice Circeo. Da allora, regolari indagini archeologiche subacquee sono state condotte dal locale Ufficio del Ministero della Cultura italiano.
Tali rilievi, tuttora in corso, hanno evidenziato una rappresentazione cronologica sostanzialmente coerente, con reperti ceramici che vanno dal periodo repubblicano attraverso il periodo tardo romano fino al periodo post-medievale. La maggior parte delle anfore romane recuperate appartiene al tipo tardo greco-italico Dressel 1A, databile dalla seconda metà del II secolo a.C. alla metà del I secolo a.C.
Lo studio ha scoperto che l’essudato di pino è stato utilizzato per creare una sorta di catrame impermeabilizzante per rivestire l'interno dei vasi, ma ha anche ipotizzato che ciò avrebbe potuto essere fatto per aromatizzare il vino stesso.
Lo studio ha anche stabilito che, poiché il pino non era originario della regione, doveva essere stato importato, molto probabilmente dalla Calabria o dalla Sicilia, aggiungendo credito alle prove archeologiche e storiche esistenti dei legami commerciali tra le regioni 1.500 anni fa.
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