Cultura 22/09/2017

Riscoprire un compagno di viaggio: l'olivo. Per amarlo, onorarlo e rispettarlo

Riscoprire un compagno di viaggio: l'olivo. Per amarlo, onorarlo e rispettarlo

"Quando si tratta di un paesaggio, io amo quei quadri che mi fanno venir voglia di entrarci dentro per andarci a spasso” ha detto Renoir. I nostri paesaggi olivetati sono immensi quadri che non amiamo perchè non appartengono più al nostro backgroud quotidiano, secondo la storica dell'arte di Pandolea


“Com’è difficile capire nel fare un quadro qual è il momento esatto in cui l’imitazione della natura deve fermarsi. Un quadro non è un processo verbale. Quando si tratta di un paesaggio, io amo quei quadri che mi fanno venir voglia di entrarci dentro per andarci a spasso.”
Con queste parole Pierre Auguste Renoir, tra i maggiori pittori impressionisti, si esprime a proposito di ciò che il creato mostra ai suoi occhi nel momento in cui deve dipingere un paesaggio naturale. Sappiamo, infatti, che la pittura impressionista si nutre, nel profondo, proprio della rappresentazione del mondo naturale, delle sue sensazioni coloristiche, luministiche.


P.A. Renoir, Giardino degli ulivi, primi del ‘900

Il paesaggio è uno dei beni più importanti che l’Italia possa vantare. Proprio in virtù di questo, nel 2004, nasce il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (noto anche come Codice Urbani), che ne pone in risalto l’importanza e la necessità della sua tutela e valorizzazione.
Nell’art. 131, comma 1 del suddetto codice, è scritto: “Per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni.”
In queste parole sono racchiusi i molteplici significati e l’immenso valore che il paesaggio, come insieme di vari elementi floristici e non, sia una preziosità da difendere.
Capita anche a voi di riconoscere un luogo, una regione, mentre viaggiate in treno, in auto, senza leggere i cartelli stradali, ma soltanto osservando gli elementi paesaggistici circostanti? Credo che sia un fattore molto frequente per gli Italiani. Il Bel Paese, come lo appella Dante secoli addietro, è un crogiuolo variegato e coloratissimo, fatto di profumi, sapori, atmosfere diversissime e fortemente caratterizzanti.
Nell’articolo sopra citato si parla di “territorio espressivo di identità” e di “fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni.”
Ecco che a tal proposito l’ulivo ricopre, nel nostro territorio, un ruolo essenziale, connesso non solo ad una presenza naturalistica, ma soprattutto ad un rapporto con l’uomo e la sua identità, il suo sostentamento primario nel corso dei secoli.
Ed ecco mostrarsi, ai nostri occhi e palati, la loro estesissima presenza geografica e una varietà copiosissima di oli alimentari, che arrichiscono quotidianamente le nostre tavole.
Ma ancor di più, si comprende questo aspetto antropologicamente importantissimo, visitando i vari musei dell’olio e della civiltà contadina, nonché gli ecomusei sparsi capillarmente sul nostro territorio nazionale. Il museo, infatti, rappresenta in questo contesto, un filo conduttore imprescindibile per vivere la realtà territoriale specifica.
In questi luoghi non è solo possibile osservare, ma anche esperire, riprodurre in parte quelle esperienze che nel corso dei secoli hanno fatto in modo che l’olio stesso divenisse un liquido preziosissimo e utilizzato nelle più svariate modalità.


Una sala dell’Ecomuseo dell’olio d’oliva e della civiltà contadina di Zagarise in provincia di Catanzaro

Nel documento noto come “Atto di Indirizzo dei criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei” (1998), nell’ambito VIII è riportato: “[…] Il museo può così stimolare una crescita delle conoscenze sul territorio, garantendone e, di conseguenza, certificandone la qualità scientifica. Il museo può in particolare assicurare una funzione di mediazione locale con gli enti di alta ricerca e in particolare con le Università degli studi, fornendo il necessario supporto ai programmi di ricerca esistenti e stimolando l’avvio di progetti mirati e coerenti con i propri indirizzi di studio, con particolare riguardo alle modificazioni ambientali, urbanistiche, architettoniche e ai fenomeni culturali di carattere antropologico e linguistico, in attuazione di progetti che siano stati validati dalle autorità competenti e che assicurino un servizio sistematico e continuativo.[…]”

Ulivi in Toscana

Il museo ed il paesaggio “olivicolo” necessitano di una tutela particolare, dunque, di una valorizzazione ad hoc, che vada al di fuori della semplice visita e osservazione. Il tutto deve diventare luogo di vivida memoria, di sperimentazione attiva, di partecipazione interessata e consapevole.
Un connubio essenziale quello tra museo e territorio di riferimento che, in un Paese come l’Italia, divengono caratteristica essenziale ed unica, nettamente contrapposta alle realtà museali estere europee e d’oltreoceano.
Il legame uomo-ulivo è ben presente nella nostra cultura anche attraverso le parole dei poeti che hanno cantato almeno una volta il sempreverde e la sua presenza nei loro ricordi e nelle loro vite presenti.
Tra i versi più intensi quelli di Eugenio Montale, nella poesia “Fine dell’infanzia” (Ossi di Seppia, 1925): “[…] Pure colline chiudevano d’intorno marina e case; ulivi le vestivano qua e là disseminati come greggi, o tenui come il fumo di un casale che veleggi la faccia cedente del cielo.[…].”
Per il poeta l’ulivo è una dolcissima rimembranza dei giorni di fanciullezza, è un abito che veste le colline, una presenza senza la quale quei luoghi, quelle rievocazioni non avrebbero lo stesso sapore, la medesima intensità emotiva.

Ulivi in Calabria

Cesare Pavese, nella raccolta I dialoghi di Leucò, precisamente nello scritto Le Muse, dialogo tra Esiodo (poeta) e Mnemòsine (genitrice delle Muse), mette in bocca a quest’ultima tali parole: […] Non ti sei mai chiesto perché un attimo, simile a tanti del passato, debba farti d'un tratto felice, felice come un dio? Tu guardavi l'ulivo, l'ulivo sul viottolo che hai percorso ogni giorno per anni, e viene il giorno che il fastidio ti lascia e tu carezzi il vecchio tronco con lo sguardo, quasi fosse un amico ritrovato e ti dicesse proprio la sola parola che il tuo cuore attendeva. […].
Anche qui l’ulivo diviene una presenza costante, un compagno di viaggio, una colonna salda sul cammino dell’uomo. Ci si può appoggiare al suo tronco possente, nodoso, per avvertire quella sensazione di calore, di familiarità, di sostegno, di appoggio fisico e morale.
Giovanni Pascoli nella poesia “La canzone dell’ulivo” (Canti di Castelvecchio, 1927) ne fa una descrizione meravigliosa: “[…] L'ulivo che agli uomini appresti la bacca ch'è cibo e ch'è luce, gremita, che alcuna ne resti pel tordo sassello; […].” Qui la pianta sempreverde è evidenziata dal poeta come fonte di vita essenziale per i suoi frutti e per la sua bellezza che mai tramonta, nonostante l’inesorabile trascorrere delle stagioni.
Desidero concludere con le parole che Renoir (artista con la cui riflessione sulla natura in pittura, ho aperto questo scritto) pronuncia proprio a proposito dell’ulivo, pianta su cui lo stesso si è cimentato tanto senza poche difficoltà: "L'ulivo, che bruto! Si può solo immaginare quanti problemi mi ha causato. Un albero pieno di colori. Per niente grande. Le sue piccole foglie, quanto mi hanno fatto sudare! Un colpo di vento, ed ecco che la tonalità dell'albero cambiava. Perchè il colore non è nelle foglie, ma nello spazio tra di loro. So di non poter dipingere la natura, ma mi diverto a lottare con lei. Un artista non può essere grande se non comprende il paesaggio."

Insomma, è importante, dopo questo excursus a vari livelli della nostra cultura paesaggistica, artistico-museale, letteraria e antropologica, porre in risalto e, soprattutto, essere maggiormente consapevoli di come, l’ulivo a tutto tondo, sia parte integrante della nostra vita e del nostro background quotidiano. Un bene culturale vero e proprio da amare, rispettare, conoscere e valorizzare sempre, in tutte le sue forme.


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Commenti 1

marcello cartocci
marcello cartocci
23 settembre 2017 ore 11:44

Ho letto molto volentieri l'articolo della Dottoressa Raffaella Buccieri e mi ha l'asciato un vero e commosso pensiero, poiché mi trovo nelle condizioni di coltivare alcune centinaia di olivi in una zona della Toscana precisamente in quel di Lucignano. Ma il commosso pensiero va a toccare alcuni, cosiddetti nervi scoperti, cui ogni qualvolta leggiamo o ascoltiamo lodi all'olivicoltura e al suo paesaggio mi rabbrividisco in quanto nessuno parla del sacrificio e delle onerose opere di mantenimento del poveretto agricoltore. Bel paesaggio. Ma quanto mi costi !!!! E nessuno pensa di aiutare o di ridurre costi d'impresa. No viene anche imposto il pagamento di contributi previdenziali al pensionato che è colui che di questo ambiente bello e appassionante rimane in assoluto il protagonista. Il giovane giustamente viene ammorbidito, nella fase di primo intervento, con agevolazioni previdenziali e di promo insediamento oltre al contributo d'impresa, ma al pensionato cosa viene concesso? Niente. Ripeto solamente tasse e contribuzioni per l'ambiente e per quella" colonna salda sul cammino dell'uomo" Bellissime espressioni ma prive di un significato di sacrificio e di onerosità dell'uomo.
Credo che la contribuzione previdenziale imposta al pensionato coltivatore debba essere rivista in quanto non solo incostituzionale ma vessatoria per un bellezza mantenuta con sacrificio e dispendio per le ultime rimaste energie.
Questo è quanto mi convince il pensiero. Un caro saluto.
Marcello Cartocci.