Cultura 24/03/2017

Enoteca Italiana e Città del Vino, fucine di idee e di cultura enoica del nostro Paese

Enoteca Italiana e Città del Vino, fucine di idee e di cultura enoica del nostro Paese

Pochi ricordano che i primi arditi abbinamenti: Vino e Donna, Vino e Arte, Vino e Moda, risalgono al 1985. Tempi in cui il marketing del vino muoveva i primi passi e che hanno portato alla rivoluzione del vino italiano


La rinascita dell’Enoteca italiana, preparata nella prima metà degli anni ’80, dal grande Luciano Mencaraglia e realizzata magnificamente dal suo successore, Riccardo Margheriti, è tanta parte della rinascita del vino italiano e l’affermazione della qualità.

Dopo la presenza al Vinitaly del 1985, per la prima volta oltre la Fortezza medicea e oltre le mura di Siena e i confini della Toscana, due importanti convegni subito all’inizio del 1986, il 3 di Marzo “Vino e Sport” , e, il 6 Aprile del mese successivo, “Vino e Turismo”. Sono solo i primi dei tanti abbinamenti (“Vino e Donna”, “Vino e Cultura”, “Vino e Arte”, “Vino e Alimentazione”, Vino e Moda”, e altri) messi in piedi e realizzati dalla struttura senese, a testimonianza del suo ruolo centrale nel campo del marketing del vino italiano. È all’incontro su “Vino e Turismo”, 31 anni fa, che Elio Archimede comunica la sua bella idea di mettere insieme i titolari dei territori vitati vocati alla grande qualità, doc e docg, i comuni. Con “Vino e Turismo” parte definitivamente, e si afferma, la grande rivoluzione del vino italiano, che il Dpr 930 del 1963 e la sua prima applicazione (1966), con i riconoscimenti delle prime doc, aveva tracciato.

Da quei due incontri del 1986, l’Enoteca Italiana, torna, quale fucina e gestazione di idee, a vivere il suo ruolo di centralità nel mondo della vitivinicoltura italiana, tanto da far dire “se non ci fosse bisognerebbe inventarla” per vivere e vincere la globalizzazione con la cultura, un’arma che abbiamo, e con una struttura, già consolidata, per quella strategia di marketing, che il Paese del Vino ancora si deve dare.

C’ero anch’io, martedì 21, a Roma, in Campidoglio-Sala della Protomoteca, a festeggiare i trent’anni dell’Associazione Nazionale delle Città del Vino e a ritirare, grazie all’Enoteca Italiana e al presidente di allora, Riccardo Margheriti, i due preziosi bicchieri di cristallo di Colle Val d’Elsa, firmati da David Polterer come i “Mostri”.

Un riconoscimento che mi onora e mi ha fatto piacere ricevere. Con me c’erano molti altri dei 25 premiati che l’Associazione, presieduta da Floriano Zambon, sindaco di Conegliano Veneto, e diretta da Paolo Benvenuti, ha ritenuto i protagonisti di una realtà forte di oltre 400 comuni associati con i loro splendidi territori, che sono l’origine della qualità e della diversità dei grandi vini italiani.

Fra gli assenti l’ideatore e, anche, primo direttore (1987-1992)dell’Associazione, Elio Archimede, e, con me e i miei due collaboratori di allora, Silvana Lilli e Giancarlo D’Avanzo, costruttore delle fondamenta di una realtà che, ripeto, deve molto all’Enoteca Italiana e all’entusiasmo dell’allora presidente dell’Ente Mostra Vini, Sen. Riccardo Margheriti, che aveva messo a disposizione dell’idea “Città del Vino”, l’Ente e la sua struttura.

Questo ruolo di gestazione dell’Enoteca e di fucina delle più importanti novità per la rinascita del vino italiano, si ripeterà, nella prima metà degli anni ’90, con l’Associazione Nazionale delle Città dell’Olio, che nascerà a Larino, nel Molise, il 17 dicembre del 1994.

Avevo conosciuto Elio Archimede ad Asti, la sua città, quand’era dirigente della Regione Piemonte e collaboratore di Bruno Ferraris, Assessore all’Agricoltura della Regione Piemonte, al quale aveva dato l’idea delle Enoteche e le strade del vino del Piemonte, che poi è stata trasformata in legge regionale e approvata nel corso della III legislatura.
1987-1992, cinque anni importanti dedicati a dare alle Città del Vino solide fondamenta e la crescita del numero dei comuni associati, dai 39 soci fondatori ad oltre cento città associate. A dimostrare il significato e il valore di quelle fondamenta solide sono proprio i trent’anni di vita e di crescita del ruolo delle Città del Vino, e non solo in Italia.

Una mattinata di festa, quella di martedì scorso, con le trenta candelina accese, ma, anche di riflessione, con una serie di interventi seguiti da una Protomoteca piena di ex e nuovi amministratori. In particolare, le due dotte relazioni: quella del prof. Attilio Scienza, che, di fronte ai cambiamenti climatici e al processo di tropicalizzazione in atto, ha parlato dell’”invisibile” DNA e del futuro della vitivinicoltura italiana, dell’importanza dei portinnesti, già sperimentati, resistenti alla siccità; quella del prof. Davide Marino dell’Università del Molise, che ha parlato di Comunità, Cibo, Territorio; piani regolatori del Vino, di grande interesse culturale oltre che di pianificazione con il cibo e l’agricoltura, che divengono elementi centrali di una città o di una rete di comuni per un nuovo assetto delle funzioni economiche, sociali, paesaggistiche, ambientali.

Fra i premiati con i due preziosi bicchieri, il prof. Rossano Pazzagli della Università del Molise, già sindaco di Suvereto e amministratore delle Città del Vino, autore del bel libro “Il Buonpaese”, uscito in occasione dei 25 anni dell’Associazione Nazionale delle Città del Vino.

Grazie “Città del Vino” e lunga vita a te per un tuo futuro bello e ricco di nuovi esaltanti successi, che, è certo, si trasformeranno in successi per i vini italiani e i suoi territori, i grandi protagonisti con l’origine della qualità e, per un Paese come l’Italia, che ha il più grande patrimonio ampelografico, anche e, soprattutto, della diversità.