Cultura
L’olfatto? E’ un senso mellifluo, subdolo, sensuale
Hans Schnier, protagonista di un romanzo di Heinrich Böll, fiutava effluvi e aromi, profumi e odori, un miscuglio di fragranze assolutamente impalpabili, impossibili da veicolare e cogliere con destrezza persino in presenza della fonte stessa
08 ottobre 2011 | Paola Cerana
Ai tempi del liceo, ci fu un periodo in cui mi appassionai alla lettura di Heinrich Böll. Si sa, anche le fascinazioni letterarie subiscono il susseguirsi delle stagioni e, forse, oggi rileggendo quelle pagine non mi emozionerei più come allora. Tuttavia, c’è un romanzo di Böll che m’è rimasto particolarmente impresso e che ancora oggi ripesco spesso e con piacere nella mente. S’intitola Opinioni di un clown e, ricordo che dopo averlo leggiucchiato in un tedesco ancora maldestro, lo volli poi metabolizzare meglio in italiano.
La storia è piuttosto malinconica e si svolge in sole tre ore. Già l’idea di condensare in una manciata di minuti tante riflessioni espresse in qualche centinaio di pagine, inspiegabilmente m’affascinava. Così come la storia in sé, una storia statica, quasi priva d’azione ma carica d’emozione, profondamente nostalgica e tendente a quello stato d’animo depressivo che tuttora morbosamente m’attira.
Il protagonista è Hans Schnier, un giovane clown di Bonn che, dopo l’ennesimo fallimento sociale, si chiude nel suo appartamento e s’arrende ad una penosa, degradante autocommiserazione, affastellando nella mente stracci di delusioni e brandelli di frustrazioni, collezionati da sempre, cui sente d’essere per sempre condannato. Tra tutte, brucia la profonda delusione d’amore per Maria, amata e perduta, calamitata da un mondo borghese certo più allettante di un malinconico tendone circense. Ad Hans non resta, dunque, che rifugiarsi sotto la sua maschera colorata, spoglia d’ogni ipocrisia, e sprofondare in sofferti ricordi, eclissando in un circolo alcolico e vizioso di lento decadimento emotivo. Mi resta scolpita nella mente l’immagine finale del libro: una smorfia di trucco stagliata sul grigio di un marciapiede col bavero alzato e il cappello in mano a elemosinare sorrisi … un clown triste, grottescamente mimetizzato in un altrettanto triste carnevale.
Il libro, in verità, è ricco di risvolti sociali importanti che, ricordo, ci insegnavano bene a valutare. Tuttavia, ciò che della storia mi catturò particolarmente allora, e ancora oggi mi affascina, riguarda il sottobosco psicologico e, soprattutto, una qualità decisamente insolita del misero clown. Hans, infatti, aveva l’inspiegabile mistica prerogativa di percepire gli odori per telefono! Alzando la cornetta dell’apparecchio nel suo squallido appartamento, Hans non sentiva solamente una voce all’altro capo, bensì fiutava effluvi e aromi, profumi e odori, un miscuglio di fragranze assolutamente impalpabili, impossibili da veicolare e cogliere con destrezza persino in presenza della fonte stessa. Mi sembrava quasi un paradosso, un controsenso, che un giovane arreso alle gioie della vita riuscisse ad afferrare in un simile modo l’essenza della vita stessa, i segni più primordiali e animaleschi dell’esistenza: gli odori!
Si sa che l’olfatto è un senso mellifluo, subdolo, sensuale, prepotente e coinvolgente, proprio in virtù della sua azione feromonica strisciante che seduce e inconsapevolmente induce.
Beh, quest’immagine pittoresca del romanzo di Heinrich Böll mi solletica ancor di più oggi, dopo aver macinato molti libri di psicologia e neuroscienze. Mi stuzzica l’idea bizzarra che, forse, esista davvero qualcuno in grado di vivere quest’esperienza sensoriale. Qualcuno in possesso di un senso così fine e sensibile da riuscire a decifrare codici aerei impercettibili ai più, anche a distanze chilometriche e attraverso strumenti tecnologici complessi. Forse, se un simile senso esistesse, non farebbe nemmeno più capo al solo olfatto ma a una rete neurale ancor più intricata, in cui s’intrecciano molteplici organi sensoriali, neuroni, neurotrasmettitori, sinapsi, chissà cos’altro …
E mi domando, allora, non sarà mai che, oltre la parola pronunciata, anche quella scritta possa veicolare odori e profumi, percepibili dunque da persone particolarmente dotate di tale rara recettività?
La questione non è poi così malandrina. Potrebbe essere, per esempio, che leggendo sul monitor una email, o un messaggio inviato in facebook, si sprigioni lentamente nella stanza una nuvola di particelle odorate fluttuanti … tabacco, caffè, cioccolato, gelsomino, sandalo, mandarino, menta o cannella … Tutto attraverso la comunicazione trasmessa da lontano, partita da un insipido mucchietto di tasti e fiondata in una sottile parete di pixel che, come un ipnotico velo virtuale, divide corpi e congiunge anime.
A me, confesso, a volte succede! E, son sicura, anche a qualcun altro di voi. Succede di leggere messaggi e di sentir scaturire dal vortice di parole scritte, e dalla punteggiatura più o meno ritmata, effluvi avvolgenti, aromi pungenti, profumi effervescenti. Se sia un settimo o decimo senso, un’ingenua suggestione della mente o un magico incantamento del cuore, io non so. So però che è affascinante lasciarsi trasportare dalle sensazioni e spingersi verso un ‘altrove’ condiviso e complice, quanto mai tangibile e sempre meno virtuale. Una dimensione che va oltre l’afferrabile, oltre la logica e la ragione, che anela a catturare il più possibile della persona che ci scrive da lontano … che si rivolge a noi con cortesia, con passione, con ironia, con desiderio, con imbarazzo, con eccitazione o con amore. Molto, molto più di una voce al telefono o in cuffia, penso che le parole scritte trasmettano l’odore di chi scrive. Penso che quest’odore cambi con l’umore e che lo si possa indovinare e condividere se s’impara a ‘sentire’ con il cuore.
Un effluvio dolcemente mielato ha accompagnato questa pigra giornata quasi autunnale, una giornata che in verità s’annunciava incolore ma che d’improvviso s’è accesa di sapore. Se sia merito del ricordo di un romanzo di gioventù, o di qualche riga scritta, sbalzata inaspettatamente fuori dal monitor del mio computer, non so … So solo che è stata una dolce e crescente ubriacatura olfattiva, che tuttora persiste e che non vorrei mai si spegnesse.
Nel caso qualche Anima dal fiuto sensibile, come me e il povero Hans, capitasse da queste parti e leggesse le mie deliranti considerazioni, sorrida pure e storca il naso di fronte a tante assurdità. Capirei! Tuttavia, non tema, spiacevoli effluvi: annusando le mie parole scritte, sentirebbe solo un innocente, candido sottofondo di borotalco con un leggero retrogusto di vaniglia, mescolato a un pizzico di ardente peperoncino, rosso come il fuoco, a stuzzicare quell’effluvio dolcemente mielato che tuttora indugia languido a metà tra naso, testa e cuore ...

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