L'arca olearia
La sansa bifasica di oliva potrà continuare a essere utilizzata negli impianti a biogas
Due sentenze del Consiglio di Stato bacchettano il GSE sull’istruttoria per l’utilizzo della sansa bifasica di oliva negli impianti a biometano avanzato. I provvedimenti non riguardano però l’uso della sansa per produrre biogas
01 settembre 2025 | 14:30 | R. T.
I 130 impianti a biometano avanzato censiti in Italia non potranno utilizzare la sansa bifasica prodotta dai frantoi.
Gli oltre 2000 impianti a biogas presenti sul territorio nazionale potranno invece continuare a usare la sansa bifasica per alimentare gli impianti.
Il biometano, rispetto al biogas, è un gas più purificato, contenente una percentuale di metano molto più elevata (oltre il 96%). Il biometano avanzato si distingue dal biometano tradizionale perché utilizza unicamente scarti di rifiuti e colture agricole che non sono destinate alla produzione di cibo o mangimi, come i fanghi di depurazione o i sottoprodotti agricoli non edibili.
Con le recenti sentenze del Consiglio di Stato, (n. 5642/2025 e la n. 5639/2025) viene impedita, di fatto, l'inclusione delle sanse bifasiche tra le materie prime incentivabili per la produzione di biometano avanzato, in quanto considerate ancora idonee a usi alimentari (produzione di olio di sansa).
Ma le pronunce non sono un no definitivo all’utilizzo della sansa bifasica negli impianti a biometano avanzato. Infatti si legge: “…le attività istruttorie considerate dal G. (anche) nel Quarto Allegato A, vuoi quelle direttamente espletate, vuoi quelle recepite dagli enti competenti in materia (MIPAAF e Comitato Biocarburanti), per quanto dimostrato in causa, non hanno adeguatamente esplorato il tema di quali tipologie di sansa siano suscettibili di plausibili usi non energetici, né individuato i quantitativi per cui questi ultimi sono concretamente possibili in relazione alla domanda del mercato di settore, alla capacità di assorbimento dei sansifici italiani, alle specifiche caratteristiche delle sanse utili ai sansifici, alle possibilità di approvvigionamento sul mercato interno ed estero, alla sostenibilità economica e ambientale dell'uso delle varie tipologie di sansa, alla destinazione ulteriore dei residui di lavorazione dei sansifici, ecc…”
Insomma, il Consiglio di Stato ha bacchettato per aver condotto una istruttoria superficiale sul possibile utilizzo della sansa bifasica per usi alimentari.
E’ sufficiente un’analisi poco più che dettagliata per scoprire che le regioni a forte vocazione olearia (Puglia, Calabria, Sicilia, Lazio, Toscana, Umbria) presentano un numero elevatissimo di frantoi, mentre i sansifici sono significativamente meno numerosi e molto più concentrati. Alcune regioni, come Umbria, Abruzzo, Lombardia, Liguria, Sardegna, potrebbero avere molti frantoi ma nessun sansificio entro i propri confini.
Senza considerare che la sansa bifasica rappresenta più uno svantaggio che un vantaggio per i sansifici per via dell’alto contenuto di umidità, con maggiore dispendio energetico per la disidratazione prima dell’estrazione dell’olio residuo. Senza considerare che i costi di trasporto, verso i pochi sansifici rimasti, renderebbero antieconomica la produzione di olio di sansa.
Il principio del “food first” indicato dalle normative comunitarie, che vuole che non venga incentivato l’uso energetico dei sottoprodotti quando hanno un uso alimentare, evocato dalle sentenze del Consiglio di Stato, va quindi superato con un’analisi approfondita che, però, non richiede studi scientifici ma solo un’attenta valutazione di scenario e di sostenibilità economica e ambientale. Va insomma valutato se, considerate le condizioni reali e sostanziali del tessuto produttivo, sia economico produrre olio di sansa quanto piuttosto destinarla a uso energetico.
Allarme circoscritto per i 300 frantoiani di FOA Italia che hanno scritto al GSE il 28 agosto mentre Unaprol vede l'ombra di speculazioni sul settore.
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