Editoriali

Tutti sul carro delle certificazioni

06 giugno 2009 | Duccio Morozzo della Rocca

La Politica nel settore olivicolo dimostra di essere sempre più lontana dai problemi reali della crisi del comparto, continuando da anni a cavalcare stancamente l’unica leva di forza a disposizione, o almeno così appare, per giustificare la propria esistenza: la qualità intrinseca dell’olio di oliva italiano e le certificazioni che devono essere il numero maggiore possibile e affermate a gran voce.

In Italia, dunque, la risposta alla crisi sembra essere questa: certificare.

Cosa che si può facilmente constatare, per citare un aspetto minore ma visibile del problema, dalle etichette che i grafici sono chiamati a realizzare dando prova di una vera e propria abilità balistica nella composizione: il logo aziendale si deve far spazio a fatica tra bollini e diciture di legge rivendicando la sua legittimità di esistere.

E attenzione agli errori: le sanzioni sono sempre in agguato!

Abbiamo dunque le nostre bottiglie piene di bollini, gli uffici dei produttori e dei frantoi ani pieni di carte e registri e grazie a questo molte associazioni di categoria hanno lavoro burocratico da sbrigare con cui giustificare quote associative e parcelle utili alla propria sopravvivenza. Pagate dagli olivicoltori con quei fondi europei che potrebbero aiutare a fare altro ma che sono stati dirottati dalla Politica sull’emergenza certificazione.

Certificare, certificare e ancora certificare.

Prendiamo il caso delle Dop. Alcuni anni fa sembrava che senza questa certificazione non si potesse andare avanti. Oggi continuano ad esistere e ad assorbire denaro ma restano per lo più in disparte, dimenticate in un cassetto.

Ora invece la parola d’ordine per uscire dalla crisi è: Made in Italy.

Il meccanismo politico appare operare così: crea il bisogno che prima non c’era -come nella migliore tradizione di marketing- di una certificazione e avvia il battage pubblicitario a suon di annunci, articoli, tavole rotonde, ecc., fino ad arrivare al grande giorno: “siamo orgogliosi finalmente di presentarvi la nostra nuova certificazione. Le cose da oggi non saranno più le stesse”.

E il mercato nazionale e internazionale, secondo questa filosofia, dovrebbe iniziare finalmente a decollare.

La Politica, che muove tutto il carrozzone certificazioni, si accorge però poi che questo non basta, serve anche la promozione del nuovo e risolutivo marchio grazie al quale si svuoteranno i magazzini dei produttori e si rimpingueranno i loro portafogli. E per far questo, per fortuna, ci sono sempre i soldi della CE a cui La Politica in questione sa attingere con una certa abilità.

Succede ora che una nuova certificazione si sovrappone alla precedente ma, guarda un pò, non la elimina e non la sostituisce: tutte le certificazioni al contrario coesistono gravitando nel sistema disegnato dalla Politica. Agli olivicoltori non resta che scegliere quale bollino collezionare sulla propria bottiglia sotto la distorta prospettiva che più se ne hanno più facile sarà vendere il proprio olio.

Poi, dopo aver consumato fino all’ultima goccia del pozzo, giungerà puntuale l’illuminazione: l’Italia dell’olio ha bisogno di una nuova, migliorata certificazione per essere realmente compresa dal mercato. Ed ecco arrivare i nuovi registri, le nuove norme, le nuove etichette da stampare.
E a pagarne le spese, ovviamente, è sempre il produttore costretto al continuo aggiornamento, suo malgrado, sotto il controllo vigile della Repressione Frodi, o Istituto di Controllo Qualità che dir si voglia.

Altro giro, altra corsa. Si accomodino siòri!

Si saranno mai chiesti questi abili signori cosa penseranno di questo pittoresco gioco delle tre carte i nostri maggiori acquirenti mondiali?
Presto detto. Giapponesi e americani inizialmente trovarono le certificazioni una iniziativa interessante -come del resto è quando è sana- per indirizzare gli acquisti sui prodotti di livello.
Poi, nel tempo, sono diventati dubbiosi e oggi restano perplessi: a chi devo credere? Come mi posso fidare se le cose cambiano in continuazione e così rapidamente?

E il rischio che stiamo correndo oggi è proprio la perdita di credibilità a livello internazionale.

L’eccesso di informazioni, ci dice Umberto Eco, crea rumore. Così le troppe certificazioni che risultano inutili non raggiungendo lo scopo e creando una controproducente confusione.

Nel frattempo, con tutti questi teatrini e queste certificazioni siamo riusciti ad intimidire così tanto il consumatore che, preso dal panico di sbagliare, acquista l’olio più semplice e comprensibile che trova sullo scaffale, in offerta, a poco più di tre euro: soddisfatto e convinto che ciò che ha comprato è un olio buono perché giusto di prezzo e genuino, probabilmente italiano.
Come d’altro canto la semplice e snella immagine in etichetta gli suggerisce, rassicurandolo.

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