Editoriali
L'imbarbarimento del mondo olivicolo-oleario
Il comparto ha preso una brutta china, facendo un balzo all'indietro di 15 anni o più, che però ora coinvolge direttamente anche il mondo produttivo. La faccia di olivicoltori e frantoiani non può essere solo una copertura per bieche operazioni commerciali
12 marzo 2021 | Alberto Grimelli
Ormai i limiti, nel comparto olivicolo-oleario, si scavalcano con la spensieratezza e la semplicità di Nino Castelnuovo in una pubblicità degli anni 1980.
Non a caso prendo a spunto l'olio di semi e gli anni '80.
L'olio d'oliva, anche l'extra vergine, sta andando a grandi falcate a posizionarsi alla stregua di ogni altro olio vegetale, né più né meno di un olio di colza qualsiasi.
Le politiche promozional-commerciali degli oli di oliva, in Italia e all'estero, sono tornate agli anni 1980. Ogni escamotage, legale o pseudo-legale, è lecito pur di aggiudicarsi un appalto, una fornitura, un contratto.
Non ci lamentiamo se il Nutriscore francese posiziona l'olio d'oliva al pari di quello di colza e di quello di girasole ad alto oleico. Ce lo meritiamo. Tutti.
L'imbarbarimento sta nelle locandine della Grande Distribuzione dove l'extra vergine campeggia sempre come prodotto civetta a prezzi incredibili, arrivando a toccare il minimo storico, qualche settimana fa di 1,99 euro al litro. Certi oli di semi costano di più.
Indignarsi serve a poco. Anzi a nulla.
Tutti gli operatori del settore sanno come vengono costruite certe operazioni promozionali, con un sapiente mix di compromessi sulla qualità (per essere generosi), di espedienti doganali e fiscali, nonchè di qualche magia sul Sian. Sono prassi ormai consolidate e ben oliate. Basta una ricerca tra le sentenze giudiziarie per farsi una “cultura” in proposito.
Finchè gli attori di tale spettacolo sono l'industria olearia, gli imbottigliatori e la Grande Distribuzione, si tratta di vizi antichi. Tradizioni consolidate del nostro sistema. Storie di imprese e di famiglie che hanno fatto fortuna e che oggi perpetuano i lasciti del passato.
Quello che proprio non riesco a mandare giù è che queste tecniche, questi stratagemmi siano oggi utilizzati dal mondo produttivo, dalle OP e dal mondo cooperativo, oltre che dai grandi frantoi.
Insomma, impara l'arte e mettila da parte.
Se i direttori commerciali delle cooperative italiane, anziché puntare alla valorizzazione, scopiazzano (spesso molto male) i modelli degli imbottigliatori, c'è poco da stare sereni.
Si va a finire in un burrone.
Se una grande cooperativa del centro Italia vende ad Amazon, non su Amazon proprio ad Amazon, l'olio extra vergine di oliva italiano da mettere in bottiglie in PET da mezzo litro per commercializzarlo on line a meno di 6 dollari alla bottiglia, ecco che il disastro finale è compiuto.
Per favore non la si giustifichi come una partita, un singolo affare, una miscela di olio vecchio e nuovo per liberare qualche cisterna.
Non si può fare a danno dell'immagine dell'extra vergine italiano mettendolo in PET, al pari di una miscela di oli comunitari ed extracomunitari, con una differenza di prezzo ridicola tra i due prodotti.
Il rischio è trovare nella timeline delle recensioni Amazon, giusto in cima, una serie di recensioni da far rabbrividire.
Viene da piangere al solo pensiero degli sforzi, delle energie spese, degli investimenti fatti dai produttori di eccellenza italiani sul mercato americano.
Non si può buttare a mare questo patrimonio.
Ecco perchè non posso proprio giustificare i direttori commerciali delle OP e delle cooperative che attuano politiche commerciali speculari a quelle dell'industria.
Per un profitto immediato svendono quanto di più prezioso può vantare l'olio nazionale: un'immagine, un'idea, un sentimento, un'aurea.
Le basi su cui ricostruire l'olivicoltura nazionale e i suoi sbocchi di mercato.
Ecco perchè non posso non solo giustificare ma neanche perdonare chi, nel mondo produttivo, si rende complice dell'imbarbarimento del settore olivicolo-oleario.
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giampaolo sodano
13 marzo 2021 ore 08:11caro alberto quello che tu denunci è noto a tutti gli operatori del mondo dell'olio, centrali associative prima di tutti ed è arcinoto ai nostri governanti, regionali e nazionali, oltre a coloro che eleggiamo al parlamento di bruxelles e nominiamo al COI. in democrazia c'è un solo modo di vincere le battaglie: organizzare il consenso di un numero sufficiente di cittadini, portare le istanze nella sede di un partito politico e attraverso questo far sentire le proprie proteste e proposte nel consiglio regionale o in parlamento. a questo scopo un tempo servivano le associazioni degli operatori, dalla coldiretti alla confagricoltura, dall'aifo a italia olivicola. oggi sono tutte diventate afone, c'è un assordante silenzio, complicità o incapacità?