Editoriali

BIOLOGICO, QUALCHE IDEA?

24 settembre 2005 | Luciano Didero

In questi giorni un po’ mossi (il meteo e non solo) del primo autunno i giornali e la TV ci informano che “i consumi crollano”. Di molto nei settori non food, ma anche nell’alimentare (qualche punto percentuale, che sembra poco ma in valori assoluti sono milioni di euro).
E nel biologico? La recente fiera SANA ci ha, in un certo senso, tranquillizzato, con un 1.4 % sulla spesa alimentare che nell’ultimo anno è stato appena eroso.
Tutto bene, dunque? Non esattamente. Perché in realtà molte delle facce che si vedevano in giro per la fiera esprimevano ben altra preoccupazione che uno 0, in meno. I dati portatori di una forte preoccupazione in realtà ci sono: - 9 % della superficie agricola utilizzabile, - 17 % delle aziende agricole, - 3 % dei trasformatori da un anno all’altro, ma, a quanto pare, non sono (per ora) stati tali da influenzare i consumi.
Per capire questa (apparente?) contraddizione bisognerebbe tornare ad alcune valutazioni che si facevano già diversi anni fa, anche prima del 2000, quindi in epoche non sospette. Secondo le quali, soprattutto nelle regioni meridionali, meno al Centronord, molte aziende biologiche erano nate per “prendere i contributi Ue”. Niente di illegale, per carità, tutto vero e opportunamente, certificato. Ma, in quelle condizioni di mercato, e forse anche ora, il prodotto biologico rischiava di essere “troppo” per essere venduto come tale. E quindi – si parlava, all’epoca, di un 30 %, forse di un 40 % - notevoli volumi di prodotto biologico venivano venduti come “convenzionale”. Si diceva, “il mercato non tira, non ancora, ma poi lo farà”.
Per un po’ questa speranza si è fatta realtà, ma poi la macchina (economica) nazionale si è un po’ inceppata, per questo i consumi interni languono (di questo, siamo costretti ad accontentarci), e l’export, un tempo il cavallo di battaglia nazionale, potrebbe essere molto presto in tensione. Perché molti prodotti si fanno dappertutto, e spesso a costi inferiori.
E’ vero che godiamo di alcune peculiarità, per esempio i prodotti tipici che in diversi casi posso essere anche bio, ma parliamo di numeri limitati, mentre tutto il resto è “normale” e non in grado di ricavare i valori aggiunti che vorremmo.
La stasi nella quale il biologico italiano si trova ha, inevitabilmente, una componente psicologica: come dire agli operatori che per un decennio avevano conosciuto una crescita del 20 % che ora occorre accettare una ritrovata normalità, puntando ad una ripresa più fisiologica, ovvero magari di pochi punti percentuali, ma su un bacino di consumo molto maggiore? E’ questa la finalità possibile dell’attuazione del cosiddetto Piano d’Azione, la cui versione nazionale non può a lungo tardare. Speriamo tutti in una campagna comunicazionale che sappia fare, e bene, il suo mestiere, diversamente da altre degli ultimi anni. Se poi i soldi da impiegare sono pochi, peccato.
Certo, una campagna non finalizzata a questo obiettivo sarebbe oggetto – almeno nel settore – di pubblico dileggio, senza attenuanti.
Come mai è accaduto in passato: noi italiani siamo troppo pazienti.
A ciascuno il suo.

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