Editoriali

Quando il cibo è cultura

23 febbraio 2013 | Alberto Grimelli

Molti accordi nella storia umana sono stati siglati a tavola. Famoso il motto di Talleyrand, premier di re Luigi XVIII: “quando un negoziato va male, bisogna dare un pranzo”. Molti eventi hanno avuto come attore, principale o comprimario, il cibo. Nella nostra storia patria, almeno in epoca risorgimentale, il Cafè Cambio di Torino ha funzionato sovente come terza camera. Per venire ai giorni nostri dove Bersani e Renzi hanno siglato la tregua? A tavola.

Ma anche la cultura deve tanto alle prelibatezze gastronomiche.

Molti dei più illustri letterati e artisti sono stati dei ghiottoni, oggi si direbbe gourmet, e chissà quanto il buonumore dovuto a un buon pasto ha influenzato la loro capacità creativa. Chissà se Gioacchino Rossini sarebbe stato così prolifico senza la sua amata milanese.

Vi è anche chi ha dedicato proprio versi e prose al cibo. Il marchese Giovan Battista Spolverini, nel 1700, aveva composto il poema “Dono almo del ciel, candido riso”. Mozart infilò, a forza, il vino Marzemino in una strofa del Don Giovanni per quanto gli piacque.

Anche insospettabili si sono dedicati alla cucina e gastronomia. Quanti sanno che Alexandre Dumas, oltre ai “Tre Moschettieri”, ha scritto anche millecinquecento pagine di “Dizionario della cucina”?

Il cibo è anche stato elemento di dotta contestazione durante il regime fascista. Stretto dalla censura e dalla paura di rappresaglie, Filippo Tommaso Marinetti, per opporsi alla mussoliniana battaglia del grano, pubblicò il “Manifesto della cucina futurista”.

Per quanto possa apparire paradossale, questa attenzione al cibo ha un filo logico che unisce personalità tanto diverse, nei secoli: il piacere.

Forse perchè artisti, che per definizione devo regalare piacere, essi stessi sono maggiormente sensibili alle lusinghe della buona tavola e dell'amore, così da scriverne tanto abbondantemente che sono i temi più comuni nella storia della letteratura e della musica.

Instaurare un legame di empatia col pubblico non sulla base di ragionamenti, non sulla base della logica, ma con l'istinto.

Non col cervello ma col cuore e con lo stomaco.

Una ricetta quanto mai attuale perchè fa leva sulle necessità primarie e prioritarie dell'uomo. Separarle è impossibile, ecco perchè non sono proprio in accordo con i versi dell'algido e austero Ulrich von Hutten:

Qui bene bibit bene dormit

qui bene dormit non peccat

qui non peccat venit in coelum

ergo qui bene bibit venit in coelum

E' per queste ragioni che sono invece fiducioso che la teoria della nutrizione sarà perdente. Noi non ingeriamo solo calorie, carboidrati e proteine. Ingeriamo buon umore, se è preparato con cura e ci regala piacere. Il piacere è cultura. Ergo il cibo è cultura.

Buon appetito!

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