Editoriali 12/05/2017

Il nuovo senso del vino, per il resto c'è il tetrabrik

Nella "modernità liquida" descritta da Zygmunt Baurnan, il territorio liquido raccontato dal vino è un fondamento solido, perché il vino nasce dall'unico fondamento che ancora rimane: la terra. E allora, che sia a Morgex o a Salina, nel Salento o in Valpolicella, questa storia dobbiamo raccontare: per il resto c'è il tetrabrik... L'analisi di Carlo Pietrasanta, Presidente del Movimento Turismo del Vino


Nella "modernità liquida" descritta da Zygmunt Baurnan, il territorio liquido raccontato dal vino è un fondamento solido.

Come certamente sapete, l'analisi di Bauman sostiene che la modernità (nelle riletture, quasi sempre la società moderna) è liquida perché priva di fondamenti, di riferimenti e di punti di ancoraggio.

Tutto diverso è il paesaggio raccontato dal vino: perché il vino nasce dall'unico fondamento che ancora rimane: la terra. Terra che può essere anche apparentemente maligna e matrigna ma una terra che si rivela sempre, alla fine, madre: perché sempre ci offre, alla fine, la possibilità di ricominciare. Dico a noi vignaioli, che dalla nostra terra tiriamo fuori, con fatica e gioia, con dolore e compiacimento, quel vino che più di tanti altri prodotti esprime e racconta la storia della terra. Anche più di me e — forse - di tutti i miei colleghi, che pure questa storia la fanno, la solidità di questa storia e di questa espressione la raccontano i nostri “celebri bevitori”, che tra un attimo vi racconto brevemente.
Dico però che tutto questo territorio liquido che è il vino — antico o recente che sia, sempre moderno — è in realtà solido perché sapori, odori, profumi, colori e caratteri delle nostre terre e delle nostre genti sempre si ritrovano in un calice di vino onesto e sincero.

Ve lo faccio dire da due amici del vino e della terra, e mi scuso fin d'ora se li ho scelti solo del nord: credo che anche gli amici del centro e del sud converranno che sensazioni ed emozioni qui descritte sono universali. Del resto, ringrazio fin d'ora chi vorrà segnalarmi altri testi, brevi o lunghi, che evocano gli stessi pensieri.

Il primo grande amico del vino è Mario Soldati; sentite: “Ho un colore limpidissimo: rosso marroncino, che tira al g..: ma quando ce ne resta soltanto una goccia in fondo al bicchiere, e guardi contro il bianco del. tovaglia, ha il colore rosa scuro, rosa oro, rosa antico; luminosità, a notte, dei portici di Gattinara”. Sembra di trovarcisi... a Gattinara ma anche davanti ad un bicchiere quasi vuoto.

Ma sentite come parla della sua terra Gianni Brera (è un testo del 1973): “Guardo ogni volta commosso le colline pavesi, che sono il mio dolce orizzonte di pampini. La terra padrona si ondula come un immenso mare sfrangiato in profili per me familiari fin dall'infanzia. Le onde sono di intenso verde e via via si fanno violette azzurre celesti fino a confondersi appunto, con il cielo. Vedo volare uccelli a miriadi e da loro cadere il seme che ha prodotto il tralcio fossile di Costeggio. Credo volentieri a Strabone greco sincero e nienteaffatto ministeriale, che ha scritto di noi: "Sono i migliori romani (cioè italici con cittadinanza) e hanno botti grandi come case".
Io guardo le mie colline e ne sorseggio sovente il vino per non dubitare dei miei maestri.
Le colline emergono roride fuori dai bassi vapori di aprile. Lunghe trecce di filari ne compongono le strane e pur simmetriche pettinature. La vite è di un tenero verde a primavera: il grano di un verde metallico, quasi azzuffino. Poi si disegnano i riquadri ocracei ed è la mietitura. I temporali dilavano l'aria. Le colline si laccano talora di colori brillanti. Qualche costone è fatto calvo dal sole. Come le argille nude mettono sete, viene la vendemmia e i pampini arrossano ai primi brividi d'autunno. Macchie di querce e castagni oppongono terre bruciate, verdi marci, sontuose ocre gialle. E quando il gran soffio del fiume dirada la nebbia, appaiono i dossi bianchi delle colline sorprese dalla neve: ma spesso vi brilla il sole. Le acque dei nostri fiumi sono sinistramente gelide e mettono voglia di stufa. Le colline invece dilatano il respiro, sono imminenti e lontane, familiari e pur favolose. E il vino è loro sintesi arcana.”

La sintesi arcana del luogo, e della sua vita: questo è il vino. Chi saprebbe dirlo meglio, A cosa serve l'enoturismo, se non a questo? E chi tra voi vive e lavora nelle terre del vino non ama forse esattamente le stesse sensazioni? E non sono forse questi i pensieri che vorremmo evocare in ogni visitatore che varca le porte, i cancelli, le siepi delle nostre aziende e delle nostre vigne? Il pane è un alimento, lo è la frutta, la verdura e la carne. Il vino lo era, per secoli o millenni fino a poche decine di anni fa; ed era medicina, disinfettante, sostegno quotidiano. Potevamo contare sul fatto che le famiglie consumassero ogni giorno una certa quantità di vino: oggi non è più cosi.

Oggi che la nutrizione sia quantitativa che qualitativa è migliorata così tanto, il nostro amato vino diventa un piacere e un senso nuovo delle cose.

Se saremo bravi nel costruire il senso, il vino diventerà di nuovo compagno costante della vita di molti: non per necessità, ma per scelta libera e consapevole; non come il tozzo di pane, ma come un buon libro, un bel film, una serata con gli amici e — perché no — qualche scambio di messaggi sui social. Ma — lo ripeto — solo se noi vignaioli, e certo con l'aiuto dei nostri amici sommelier, ristoratori, enotecari, giornalisti, comunicatori, e perché no anche agronomi, enologi, sapremo imparare, reimparare e raccontare a tutti il senso di quel che facciamo.

Quel senso che talvolta è avaro, talvolta è generoso, ma è sempre nostro: della nostra terra, delle nostre mani.

E allora, che sia a Morgex o a Salina, nel Salento o in Valpolicella, questa storia dobbiamo raccontare: per il resto c'è il tetrabrik... E i nostri vicini di casa che il vino lo vendono, lo recensiscono, lo distribuiscono devono capire: se ci aiutano a portare la gente nelle nostre cantine, sarà un vantaggio per tutti, perché questo senso nuovo amplia l'orizzonte di chi il vino lo beve, e forse sempre più lo berrà.

di Carlo Pietrasanta

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Commenti 1

Tonino Arcadu
Tonino Arcadu
13 maggio 2017 ore 06:34

Non bisogna mai dimenticare ciò che dice Dante Alghieri: Guarda il calor del sol che si fa vino giunto all'omor che de la vite cola. cioè il vino come risultato della terra e di quell'IMMATERIALITA' che è il calore del sole