Editoriali 14/10/2016

Dico no al nuovismo

E' la tendenza degli ultimi tempi. Tutto ciò che è vecchio va buttato via. Tutto ciò che è nuovo va accolto a braccia aperte. Si può innovare o abbracciare il nuovismo. C'è chi si schiera, come Pasquale Di Lena


Non mi ritengo un indovino e, tanto meno, una cassandra quando dico cose che poi si avverano. E’ solo una questione di tempo la verifica di una semplice verità. Essa è il frutto, in parte dell’esperienza vissuta nel sindacato dei contadini e dei coltivatori, e, in parte di un’abitudine a riflettere su questioni che mi hanno sempre coinvolto e appassionato. Parlo del territorio, dei suoi valori e risorse, e, parlo dell’agricoltura e, anche qui, dei suoi valori e di quella straordinaria e fondamentale risorsa che è il cibo.

No, non mi ritengo neanche un bastian contrario quando sono costretto a dire no. Sento il mio no a cose sbagliate come un dovere, una necessità di esprimere il mio pensiero e contribuire così a dare forza alla dialettica che, secondo me, è fondamentale per arrivare a sintesi produttive e, come tali, ricche di prospettive.

E’ per questo che dico no allo sperpero del territorio, anche quando viene trasformato in palazzi, ponti, strade asfaltate o, anche e soprattutto, in parchi eolici, trivelle, centrali a biogas, biomasse, metano, opere inutili o cattedrali nel deserto.

Non è un caso se in questi ultimi anni si parla di tutte le fonti di energia meno che di quella data dal cibo. C’è solo da capire a che serve produrre tutta questa energia se poi qualche miliardo di persone muore di fame e qualche altro soffre la fame, il pianeta s’impoverisce e muore.

Ritengo il territorio un bene comune, di tutti; il nostro tesoro di storia e di cultura, ambiente e paesaggio, tradizioni; il solo che esprime e dà forza alla nostra dignità. Ecco, è la realtà che viviamo che mi porta a dire no a tutto ciò che toglie importanza e attenzione a questo territorio ed alle sue attività primarie, l’agricoltura con il cibo e il turismo con il paesaggio, la storia,la cultura, le tradizioni.

Non senza preoccupazione, dico no alla fine - a diecimila anni dalla sua nascita -dell’agricoltura contadina. L’attività economica primaria, perno di una ruota che, con esso, ha la possibilità di girare e sviluppare un percorso; vissuta da un mondo di donne e di uomini pieni di valori, primo fra tutti quello della sobrietà che è l’antitesi del consumo e dello spreco, il frutto di un sistema che sta affossando il pianeta

Dico no a tutti quelli che strumentalizzano questo mondo e ne approfittano, anche a chi un tempo è stato al mio fianco per dare alla ruralità il valore che merita e al mondo contadino il riconoscimento di una grande dignità. Dico no, soprattutto a chi sa solo approfittare di questo mondo ricco di persone per bene che conservano valori.

Li hanno illusi ieri, continuano a illuderli oggi con il mito della quantità a tutt’i costi; le innovazioni come miracolo; il mito del super trattore, che beve litri e litri di gasolio anche quando sta fermo; la mietitrebbia aziendale, con il grano che sul mercato viene svenduto, quasi regalato, mentre i concimi aumentano di prezzo, così come tutti gli altri mezzi che servono per la sua produzione.

Li hanno traditi con parole altisonanti, che vanno di moda, come “Super” , “modernità”, “ricerca”, “innovazione”, “cambiamento”. Una specie di inno a quel nuovismo che, nascondendo la verità e dando una visione sbagliata della realtà, ogni giorno fa pagare il suo fallimento con una crisi che peggiora, come l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, il cibo che mangiamo, l’amore che non abbiamo o non facciamo.

No convinto alla novità del momento, il super oliveto che stravolge la nostra olivicoltura, straordinario patrimonio di biodiversità, cultura, storia, tradizioni, bellezza di paesaggi e bontà di oli. Un patrimonio che vale oro, già oggi e ancor più domani, sul mercato globale dove la competizione è tanta. Un insieme di valori aggiunti che possono dare la risposta vincente al mondo contadino e ai tanti olivicoltori, ai territori più difficili e più bisognosi di attività e di presenze. E, invece, la moda, quella moda che, come per le altre del passato, verrà pagata solo dall’olivicoltore e, insieme, dal consumatore che non trova più le emozioni dell’olivo e dell’olio che solo la storia e la cultura riesce ad esprimere con la carezza del coltivatore

A promuovere l’oliveto super intensivo, novità tutta spagnola, la più grande Unione degli olivicoltori italiani. Passerelle di ”innovatori”, vivaisti e olivicoltori, applaudite- c’è da credere - dall’industria olearia e dalla grande distribuzione, che, con il super intensivo, rafforzano il loro primato all’interno della filiera.

Dopo la situazione non bella che vive l’agricoltura, soprattutto quella collinare, la concorrenza dell’oliveto super intensivo sarà una ragione in più di quella fuga dalle campagne, che ha visto una ripresa dopo la crisi strutturale partita nel 2004, dello spopolamento dei nostri piccoli centri, soprattutto lungo la fascia appenninica e nel Meridione.

No, anche a chi vuol fare intendere che è troppo facile dire no. No, non è così!


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Commenti 2

pasquale di lena
pasquale di lena
11 novembre 2016 ore 18:05

Ho letto solo ore, gentilissimo Giorgio, il suo commento e sono felice della condivisione: Che bella la parola PACE da lei trasformata in acronimo che spiega bene il rapporto con la natura in un mondo che approfitta di questo bene che è vita. Grazie, me lo ricorderò. Con le mie scuse per il ritardo riceva il mio saluto e l'augurio ci una buona serata di San Martino.

Giorgio Greco
Giorgio Greco
29 ottobre 2016 ore 13:53

Gentile Dott. Pasquale Di Lena, concordo con quanto lei scrive.
Pensi che nel mio oliveto, in piena zona interessata da disseccamento rapido, utilizzo una pratica agricola da me denominata PACE:
P=Potatura, A=arieggiamento, C=Cenere, E=Erba.
Per la potatura mi servo di una scala, leggera e allungabile in alluminio, e di un seghetto manuale, per l’arieggiamento di una forbice, per la cenere brucio lo scarto prodotto e per il taglio dell’erba mi servo di un decespugliatore medio.
In un’era come la nostra, in cui proliferano continuamente nuovi prodotti chimici, moderni e all’avanguardia, tale pratica risulta a dir poco “antidiluviana” visto che cenere ed erba costituiscono la “povera mensa” degli alberi.
Eppure, chissà cosa darebbero, oggi, gli uomini per nutrirsi di frutti e miele selvatici, di foglie commestibili spontanee, di bacche e di germogli.