Salute

L'olio extra vergine d'oliva pulisce il nostro cervello, proteggendolo

L'olio extra vergine di oliva protegge dal declino cognitivo e riduce i sintomi legati a patologie neurodegenerative, come il morbo di Alzheimer. Le cellule neurali delle cavie da laboratorio la cui dieta era stata arricchita con olio extra vergine d'oliva avevano livelli più alti di autofagia e minore presenza di placche senili e di ammassi neurofibrillari

26 giugno 2017 | T N

L'olio extra vergine protegge il nostro cervello, aiutandolo a eliminare scorie molto pericolose e foriere di aumentare il rischio di Alzheimer e altre malattie neurodegenerative.

E' quanto hanno scoperto ricercatori italiani della prestigiosa Lewis Katz School of Medicine (LKSOM) presso la Temple University di Philadelphia.

Gli scienziati hanno utilizzato cavie da laboratorio geneticamente modificate per sviluppare caratteristiche chiave dell'Alzheimer: compromissione della memoria, comparsa di placche senili e ammassi neurofibrillari.

Sono stati dunque creati due gruppi di topi, al primo è stata somministrata una dieta comune, al secondo un'altra arricchita di olio extravergine. Anche se a uno sguardo esteriore non era apparsa alcuna differenza fra i due gruppi di roditori, nel giro di 9-12 mesi gli effetti si sono fatti sentire. I topi cui era stato assegnato l'olio d'oliva avevano ottenuto risultati molto migliori nei test della memoria e nelle abilità di apprendimento.

L'esame istologico condotto sul tessuto cerebrale ha inoltre evidenziato un'integrità sinaptica migliore e una riduzione dei livelli di placche amiloidi e proteina tau. In pratica, l'olio di oliva avrebbe protetto questi animali dalle conseguenze della neurodegenerazione, catalizzando la cosiddetta autofagia, il processo di rimozione dei ‘rifiuti' che si accumulano nelle cellule nervose.

“Questa è una scoperta eccitante per noi - ha sottolineato Domenico Praticò, coordinatore dello studio - Grazie all'attivazione dell'autofagia, la memoria e l'integrità sinaptica sono state conservate, e gli effetti patologici negli animali destinati a sviluppare la malattia di Alzheimer sono stati significativamente ridotti. Si tratta di una scoperta molto importante, dal momento che abbiamo il sospetto che una riduzione dell'autofagia segni l'inizio del morbo di Alzheimer”.

Il prossimo passo sarà quello di accertare se le stesse caratteristiche aiutano a bloccare o ad invertire la malattia quando è già in stadio avanzato.

 

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