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Liberalizzazione dei vigneti. L'ultima parola a novembre

Dall’Italia alla Francia, dalla Germania alla Spagna fino a Cipro. Un fronte compatto che dice no alla libertà di impianto durante la prima riunione del Gruppo di alto livello

21 aprile 2012 | R. T.

Dall’Italia alla Francia, dalla Germania alla Spagna fino a Cipro, una maggioranza di Paesi europei hanno difeso a spada tratta a Bruxelles uno dei simboli alimentari dell’identità europea tra i più pregiati: il proprio patrimonio di vini. Un patrimonio di pratiche culturali, di gusto e diversità, che rischia di essere delocalizzato non solo da un paese o da un continente all’altro, ma anche dalla collina verso la pianura, con la perdita di un presidio importante per la tutela del territorio, in seguito alla riforma del settore del vino del 2008 con cui l’Ue ha previsto di liberalizzare i vigneti a partire dal 2015, o dal 2018. L’offensiva lanciata dai Paesi produttori per stralciare quella decisione, e sostenere una produzione di qualità, ha avuto come prima importante conseguenza la riunione oggi a Bruxelles – ne seguiranno altre tre – di un Gruppo ad alto livello formato dai rappresentanti dei governi, del Parlamento e del Consiglio Ue, delle organizzazioni agricole e cooperative che si sono con forza pronunciate per mantenere i diritti di impianto. L’obiettivo, ha detto il commissario all’agricoltura Dacian Ciolos nell’aprire i lavori, “è fare una valutazione realistica di quello che può essere, o no, un sistema di gestione delle superfici a vigne, tenendo conto della realtà del mercato. Ma avendo anche in permanenza presente due sfide: la qualità del vino e il reddito dei viticoltori”. Senza dimenticare che Paesi come il Cile vogliono piantare 100mila ettari di vigne e gli europei stanno investendo fino in Cina. Il fronte dei Paesi produttori dell’Ue comunque non vede perché si debbano liberalizzare i vigneti quando il settore, dopo un importante lavoro di ristrutturazione sta portando a casa risultati e riconoscimenti soprattutto sul fronte delle esportazioni mondiali. Lo stesso ministro per le politiche agricole e alimentari, Mario Catania, ha messo in guardia: “Se verrà liberalizzata la possibilità di fare nuovi impianti di vigne c’è il rischio serio che si destabilizzi completamente il mercato del vino. Il nostro è il primo paese produttore mondiale nelle annate normali, qualche volta siamo sotto i francesi. Siamo il primo esportatore mondiale in volume, il secondo in valore”. Un successo che non è giunto per caso: in 10 anni, l’Italia, come la Spagna, ha estirpato il 14% delle su vigne, l’11% la Francia (oltre 160mila nella Ue) in favore di una produzione di qualità e non di un prodotto da distillare. Sulla questione è intervenuto anche il presidente della commissione agricoltura del Parlamento europeo, Paolo De Castro ricordando che il “Parlamento si è già espresso contro la liberalizzazione. Il mercato va bene – dice – crescono esportazioni e redditi, non vediamo perché dobbiamo cambiare”. Entro novembre il responso del Gruppo ad alto livello poi la palla passa alla Commissione europea.

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