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HO IL MAL D’INVIDIA, O FORSE NO? C’E’ UN SENTIMENTO CHE METTE IN GINOCCHIO CHIUNQUE, O QUASI

Nel libro di Alain Elkann una storia che fa riflettere. Classificando l’invidia come categoria sociologica, nella mentalità protestante si trasforma in competitività, nel cattolicesimo in peccato da reprimere. Da qui l’accento sulla negatività dell’invidia. Questa suscita più dolore in chi la prova piuttosto che in chi la subisce

21 ottobre 2006 | Antonella Casilli

Antonella Casilli vista da Filippo Cavaliere de Raho

E’ difficile fare proprio il monito di Virgilio non equidem invideo, miror magis.
Uno scrittore-giornalista, l’io narrante del racconto L’ invidia, di Alain Elkann, edito da Bompiani, vorrebbe conoscere un famoso artista, Julian Sax, per intervistarlo.
L’occasione propizia, che non arriva mai, diventa per lo scrittore, un’ossessione che in un amplificarsi dei moti dell’animo si trasforma in invidia.

In un incessante dialogo con se stesso, l’io narrante trasforma la scrittura in strumento di indagine interiore, e guardandosi dentro capisce perché invidia Sax.
Un artista dello spessore di Sax può immortalare la propria donna e attraverso il suo lavoro “sa dominare qualunque donna: la più raffinata, la più colta o la più rozza ….vedendosi dipinta reagisce con odio o con amore, ma in entrambi i casi si sente soggiogata e lusingata”. Oggi, riflette lo scrittore “la scrittura non ha più questa forza”.

Il vero motore che alimenta la pena esistenziale dello scrittore-giornalista è rappresentato dal talento di Sax, del quale pensa che anche sua moglie Rossa potrebbe invaghirsi assommando così all’invidia anche la gelosia.
La donna, ignara del subbuglio dell’animo del proprio coniuge cerca, comunque, di rassicurarlo che non avrebbe voluto neanche essere Amélie la moglie di Matisse, ma a lui, non potendo penetrare sino in fondo nel mistero di una donna, e della sua in particolare, le assicurazioni verbali non bastano.
A questo punto del romanzo il recensore, e l’attento lettore, si chiedono perché lo scrittore-giornalista non abbia convogliato le energie per dare forza creativa alla propria scrittura.
Evidentemente Elkann (nella personalissima chiave di lettura di chi scrive) ha utilizzato il racconto per offrire al lettore l’opportunità di capire e capirsi attraverso i comportamenti.

Se classifichiamo l’invidia come una categoria sociologica, che nella mentalità protestante si trasforma in competitività e nel cattolicesimo in peccato da reprimere e disprezzare intuiamo perché è posto l’accento solo sulla negatività dell’invidia - ricordiamo peccato, contro lo Spirito Santo - che provoca emozioni dolorose per il soggetto agente più che per l’ignaro oggetto della stessa.
Il finale, assolutamente imprevedibile non lo anticipiamo per non togliere nulla alla godibilità della sorpresa.

Sentiamo, però, la necessità di porre l’accento sulla capacità di Elkann di coniugare la leggerezza dello stile all’acutezza dell’analisi psicologica.
Ci piace concludere con questa frase di Sole, la figlia dello scrittore–giornalista: “i romanzi si scrivono perché, essendo storie immaginarie, permettono di dire la verità” .



Alain Elkann, L'invidia, Bompiani, pp. 160, euro 13

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