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"VITA DELLA MIA VITA", UN LUCIDO ROMANZO SUL TEMA DELLA FECONDAZIONE ASSISTITA ETEROLOGA

Accostarsi al tema della dignità della vita umana comporta il rischio di cadere nella retorica o di ribadire fatti e considerazioni fin troppo noti. Gian Mario Villalta non corre questo rischio, perché con la sua poetica prosa affascina e convince, con grande grazia emotiva e maestria

24 giugno 2006 | Antonella Casilli

Più onesto e giusto è morire senza figli che
Procurarsi la prole mediante un’ unione illecita

S. Agostino

Gian Mario Villalta

La rapida diffusione delle tecniche di fecondazione artificiale umana, con tutte le problematiche ad esse connesse ha indotto ad una regolamentazione legislativa.
Il 19 febbraio 2004 lo Stato Italiano ha approvato la L. 40 recante “norme in materia di medicalmente assistita procreazione”.
Accostarsi al tema della dignità della vita umana comporta il rischio di cadere nella retorica o ribadire fatti e considerazioni fin troppo note.
Gian Mario Villalta non corre questo rischio perché con la sua poetica prosa, con un presente che sembra serva a rimarcare l’incompiutezza dentro cui si muove il protagonista, tocca la sfera emozionale del lettore a livelli più intensi di quanto non possa mai fare altra lettura una volta che la fruizione sia passata.

E’ un romanzo dei nostri tempi questo di Villalta!
Marilina, grazie alle moderne tecniche biomediche ha avuto la possibilità di chiamare all’esistenza una nuova vita umana senza la reciprocità dell’atto unitivo che rende l’uomo e la donna una sola carne “duo in carne una”.
Purtroppo le moderne tecniche biomediche, consentendo di intervenire per dominare i processi di procreazione consentono all’uomo di prendere in mano il proprio destino e lo espongono anche alla tentazione di andare oltre i limiti di un ragionevole dominio sulla natura.

L’ambientazione che fa da sfondo al romanzo è l’autostrada Venezia – Udine direzione Pordenone.
Giò un uomo sulla quarantina è alla guida, accanto a lui siede la compagna, coetanea, Marilina “primipara attempata” alla sua prima contrazione.
Il tragitto è tutto un ripensamento della memoria di Giò e di Marilina..
Partendo da quel pomeriggio in cui Giò, insegnante liceale, reso intraprendente dalla noia, aveva manovrato per sedersi accanto alla solitaria collega.
Giò non sa, e saprà quando ormai è troppo coinvolto, che la fascinosa collega è incinta, all’estero ha praticato la fecondazione assistita eterologa.

L’autore, conscio che la grande narrativa permette di conoscere un mondo più profondo, più sensibile, più intenso, impegnando la sfera razionale ed emozionale, prospetta con più dettagli e con più sfumature il contingente.
Marilina, donna egoisticamente piegata su se stessa decide, pur di avere un figlio, di ricorrere ai gameti di una terza persona; si reca quindi all’estero per effettuare una fecondazione artificiale eterologa (in Italia, ai sensi dell’art.12 legge citata, l’utilizzo a qualsiasi titolo di gameti di soggetti estranei alla coppia è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria da 300.000 a 600.000 euro n.d.r.).

Siamo davanti ad una scissione di sessualità, il prelievo del seme si attua attraverso la masturbazione dissociando effetto unitivo e procreativo della coppia.
Il bambino sarà figlio di un anonimo donatore che in una squallida toilette d’ospedale ha praticato la masturbazione affinché il suo seme potesse poi venir trasferito nelle vie genitali della donna od in una provetta contenente già ovocellule prelevate per via laparoscopica o transvaginale.
Marilina è assurdamente convinta che sia stato l’amore per Giò ad aver dato vita al bambino.

Marilina e Giò non hanno messo insieme tenerezza, ansie, gioie, timori, non vi è alcun segno di una mutua e reciproca donazione, Giò ha subito quella pancia che "crescendo premeva nella sua mente".
Cosa prova un uomo ad avere accanto una donna la cui maternità non è frutto di un atto d’amore? "Non ha amore abbastanza per questa donna gonfia e sudata" o forse ha "bisogno di legarsi con qualcosa che sia più forte dei sentimenti. Trovare un modo per non potersi più sottrarre".

Giò analizza i propri sentimenti e vede un figlio che lei sola ha desiderato, lei sola ha voluto, non c’è condivisione, in questo caso limite rappresentato da Villalta.
Lasciamo Giò ai suoi pensieri e vediamo quelli di Marilina quando un’ipotetica domenica dirà alla figlioletta-o di vestirsi per andare in carcere a trovare il papà.
Ancora una volta Villalta utilizza la sfera emozionale per affrontare un problema di grosso spessore.
E’ giusto che vi siano almeno dei registri nazionali, pur nel rispetto dell’anonimato, in cui vengano riportati i dati del donatore ed, al raggiungimento della maggiore età, il figlio possa attingere notizie.

L’autore, utilizzando tutto il non detto della comunicazione, ci pone la domanda su chi garantisce che il figlio possa essere orgoglioso di questo padre elargitore di seme.
Povero bimbo, cosiddetto desiderato, figlio biologico di un padre che ha donato il proprio seme, di un ipotetico padre che non sa ancora se lo vuole, di una gestante che ha dato al proprio desiderio la connotazione di un diritto.

Un poliziotto, dopo una rocambolesca fuga verso l’ospedale mastica un augurio a Giò il quale si chiede cosa abbia capito veramente.
Il recensore si sente immedesimato nel poliziotto ed è questo quello che ha capito e condivide con gli altri lettori.
Riconoscendo all’uomo il diritto ad avere un figlio a tutti i costi, assicurandogli qualsiasi mezzo per ottenerlo,, uno stato corre il rischio di sconvolgere la sua stessa struttura e di venir meno ai compiti che gli sono stati affidati: la difesa della vita di quanti lo compongono, lasciata invece in balia di alterni desideri e di pericolose volontà di potere.
"Aspetto un figlio"
"Vita della mia vita"
"Non è figlio tuo…… non c’è un padre"
"Abortisci"
In virtù di questo potere dell’adulto, il bambino si trasforma da dono atteso ad oggetto preteso ed eventualmente perché no da cestinare.




Gian Mario Villalta, Vita della mia vita, Mondadori, pp. 215, euro 16,50


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