Italia
In Italia si è persa la dignità e la disponibilità al lavoro

E' innegabile che da quando è stato istituito il reddito di cittadinanza è diventato difficile trovare manodopera. A guardar bene, in agricoltura le cose vanno meglio che negli altri settori e il motivo è abbastanza semplice
11 giugno 2021 | Maurizio Pescari
“Io preferisco 600 euro e non lavorare, piuttosto che 1.000 e spaccarmi la schiena ne campi”. “Non lavoriamo perché ci offrono paghe da fame, siamo sottopagati, chiedono di pagarci un minimo e di accettare il resto sottobanco, senza nessuna tutela”. Già, tu chiamalo, se cuoi ‘caporalato’, abitudine che diffusa senza limiti di latitudine. Altra faccia della stessa medaglia, dipende dall’interlocutore che decidi di coinvolgere. L’avete sentita questa storia, veramente o solo letta in quel pozzo di democrazia dell’informazione che sono i social? Sono giorni che questo argomento è sulla bocca di tutti. Dai ristoratori che non trovano camerieri, ai gestori di stabilimenti balneari che non trovano bagnini, ai corrieri che non trovano persone per coprire l’’ultimo miglio’, fino agli agricoltori, che non trovano braccia per raccogliere, mungere, confezionare. La verità, come sempre sta nel mezzo, mai da una parte o dall’altra. Ma a guardar bene, in agricoltura le cose vanno meglio che negli altri settori e il motivo è abbastanza semplice
LA NATURA NON CONOSCE LOCKDOWN - Siamo usciti da un periodo davvero difficile. Inutile elencare le restrizioni da lockdown e le drammatiche conseguenze che hanno minato l’attività di tantissime attività commerciali e i cambiamenti che abbiamo dovuto registrare. In alcuni settori non si tornerà indietro e si dovrà avere la forza di adeguarsi a sistemi nuovi. Ma senza allargare troppo il cerchio, pena la dispersione, ecco un’analisi puntuale:
“La campagna non si è fermata - spiega Mimmo Fazari da San Giorgio Morgeto - uliveti e agrumeti hanno proseguito la loro vita, la natura non si è arrestata, per questo siamo stati pronti ad accogliere la richiesta di lavoro di tante persone che, impegnate in settori toccati pesantemente dalle chiusure, hanno dovuto convertire le loro capacità, rivolgendole all’agricoltura e qui nella Piana di Gioia Tauro, di lavoro ce n’è tanto. Abbiamo verificato comportamenti diversi, - continua Fazari - condivisibili e non, da una parte abbiamo apprezzato la volontà di chi, rimasto senza lavoro, ha mutato il destino della sua opera, scegliendo l’edilizia e l’agricoltura, dall’altra chi perso il lavoro qui, vicino a casa, ha preso la valigia ed è andato all’estero. Poi purtroppo, c’è anche di voglia di lavorare non ne ha tanta, e in questo caso il ‘reddito di cittadinanza’ ha determinato che fossero fatte scelte diverse. Alla resa dei conti, chi è abituato a lavorare non ha accettato di non farlo più, oggi abbiamo con noi un ragazzo che faceva l’aiuto cuoco a Rimini”.
Il valore di fondo, pertanto, è legato alla disponibilità dell’individuo a impegnarsi; se c’è, bene, altrimenti di motivazioni o giustificazioni diverse se ne trovano, magari non tutte campate in aria; argomenti questi che fanno parte di una coreografia ‘social’, non è questa la sede per dirimere o denunciare la corretta applicazione del contratto nazionale di lavoro.
SOSTENIBILITÀ: UMANA E DI PRODOTTO - “Nel lavoro, agricolo nel nostro caso - spiega Marco Caprai, viticoltore in Umbria, a Montefalco - la sostenibilità non è solo ambientale, ma anche sociale. Da anni abbiamo avviato un percorso nel quale la Caritas diocesana ci segnala i giovani disponibili a lavorare nei nostri vigneti. Ci siamo resi disponibili a essere motivo di incontro di due necessità oggettive, perché è innegabile che da quando è stato istituito il reddito di cittadinanza è diventato difficile trovare manodopera. L’attività agricola è tipicamente stagionale, legata all’andamento climatico e alle diverse lavorazioni ed è difficile offrire contratti a tempo indeterminato. Poi è indubbio che la campagna per i giovani non è la prima scelta, se a tutto ciò uniamo il Covid-19, ecco che la condizione è persino peggiorata. In campagna abbiamo la necessità di manodopera, unita alla ferma volontà di affidarci a pratiche contrattuali limpide e giuste, evitando, ad esempio, terzisti o cooperative che non conosciamo: il welfare è un tema importante e serio per un’impresa che voglia essere realmente sostenibile”.
E quindi dalla Caritas chi arriva a lavorare nella vostra azienda?
“Arrivano ragazzi straordinari - continua Caprai - molti dei quali arrivati in Italia con i famosi barconi, e poi redistribuiti nei diversi centri in giro per il Paese. Sono ragazzi che si prestano al sacrificio, arrivano alle 6 di mattina, tanti di loro dopo aver fatto sei o sette chilometri in bicicletta, alcuni in motorino e qualcuno che è già da tempo con noi, in automobile. Sono una risorsa importante e spesso e volentieri sono la parte migliore dei Paesi da cui scappano: molti di loro hanno studiato ed è bello vedere nei loro occhi, alla fine di una dura giornata di lavoro, la soddisfazione di aver trovato un’opportunità, un posto in cui mettere radici. È una storia che sfata il mito che l’immigrazione è soltanto un problema: non è così, nessuno arriva dal Centro Africa per rubare il lavoro agli italiani o per delinquere. Con questa azione concreta, vogliamo anche distruggere i pregiudizi su fenomeni complessi come quelli dell’immigrazione e dell’integrazione”.
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