Economia

FALSI IN AGGUATO, LE INSIDIE DEL FENOMENO “LOOK-ALIKE”. SE DISATTESE LE PIU’ ELEMENTARI NORME DI CONCORRENZA LEALE, E’ POSSIBILE DIFENDERSI?

Le imitazioni non sono di per sé da criticare, rappresentano una scelta strategica lecita. Nel mercato concorrenziale esistono da sempre aziende “leaders” e “followers”. Il recente caso Prosecco apre scenari preoccupanti. E’ il caso di prendere precauzioni per ogni nostro prodotto agroalimentare

14 ottobre 2006 | Mena Aloia

L'imitazione dei prodotti più rappresentativi dello stile di vita italiano è un fenomeno che abbiamo imparato a conoscere bene negli ultimi anni.
Sugli scaffali di tutto il mondo troviamo falsi e mal imitati prodotti nostrani.
Ora, il fatto di imitare di per sé non è da criticare, l'imitazione è un meccanismo da sempre utilizzato e conosciuto in un mercato concorrenziale dove esistono aziende “leaders” ed aziende “followers”.

Le prime in genere dispongono della maggior quota di mercato e precedono le altre nelle variazioni di prezzo, nell'introduzione di nuovi prodotti, nella copertura promozionale, le seconde sono imprese che perseguono strategie di imitazione rispetto al leader, in genere non lo attaccano, lo seguono.
Imitare, dunque, è una scelta strategica lecita se si rispettano, però, le regole della leale concorrenza fra imprese.

Una delle regole certamente più importanti è quella di non imitare creando confusione nel consumatore.
Il consumatore dovrebbe sempre e facilmente essere in grado di sapere la provenienza del prodotto che acquista.
Questo, purtroppo, sta diventando sempre più complicato ed ecco, allora, i casi Parmesan, Tocai o, l'ultimo in ordine di tempo, Prosecco, per restringere il campo al solo settore dell'agroalimentare.

Sono tutti casi scandalosi perché, pur se supportati da decisioni prese in sede europea, disattendono le più elementari regole di una concorrenza leale e contravvengono anche al nostro ordinamento giuridico che prevede espressamente la condanna di alcune fattispecie illecite di concorrenza sleale.

All'articolo 2598 del nostro Codice Civile si legge:
“..compie atti di concorrenza sleale chiunque:
1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altri mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività di un concorrente.....”


Si delinea chiaramente, come fatto illecito, l'attitudine a determinare confusione sul mercato e si vieta pertanto ogni comportamento che incide sulle scelte dei consumatori inducendoli ad imputare un determinato prodotto ad un imprenditore diverso da quello a cui effettivamente appartiene.
È vietato sia l'uso di segni distintivi quali marchio, ditta, insegna, emblema, slogan pubblicitario, ecc. che l'imitazione servile.

L'imitazione servile concerne quella parte del prodotto che risulta all'esterno, cioè la sua forma e la sua confezione. È il fenomeno del cosiddetto “look-alike” ovvero un'imitazione consapevole del prodotto altrui avendo però cura di differenziarsi dal prodotto imitato per sfuggire alle ipotesi più classiche di contraffazione.

Anche in questo caso, alla base, vi è un chiaro intento di causare confusione nel consumatore. Infatti il consumatore può ritenere originale il look-alike, si crea una la confusione totale e si finisce per identificare il look-alike come prodotto originale.
Oppure si può ritenere il look-alike come un prodotto proveniente dalla stessa fonte produttiva, o, ancora, il look-alike equivalente al prodotto originario. Molte volte l'imitazione è acquistata senza riflessione sulla base di un ricordo del prodotto originario senza un reale confronto.
Numerose sono le sentenze italiane dove si è condannato chi ha avuto un comportamento di concorrenza sleale confusoria.
La stessa tutela non vi è, però fuori dal territorio nazionale.

L'Unione Europea autorizzando la Germania ad usare il nome Prosecco ha certamente ignorato l'effetto distorsivo nei confronti del consumatore oltre, naturalmente, ad aver ignorato i danni che ciò può causare ai nostri viticoltori.
Poco importa anche al nostro Ministero delle Politiche Agricole se il lavoro di tanti anni e di tanti uomini per migliorare e far conoscere il Prosecco in tutto il mondo, venga, improvvisamente ceduto ai nostri vicini che possono tranquillamente appropriarsi dell'avviamento di un prodotto ormai noto.
Perché dobbiamo ricordare che di regola il consumatore opera le proprie scelte d'acquisto non in virtù di una comparazione diretta di prodotti, bensì confrontando una realtà con il ricordo, spesso vago ed impreciso.

Il Prosecco è ormai entrato nell'immaginario del consumatore come prodotto italiano quindi quando lo acquista né è convinto anche se nella realtà ha acquistato un vino tedesco.
Possiamo fare ancora qualcosa per difendere il vero Prosecco italiano?
Risponde a questa domanda Giampietro Comolli direttore del Forum degli Spumanti d'Italia:
“ Oggi l’unica strada percorribile è: ampliare intelligentemente il territorio Doc, armonizzare gli interessi di tutti sulle rese massime per area e per tipologia, definire i macro-crus territoriali, accorpare e chiarire le funzioni dei tanti enti che ruotano attorno al Prosecco Doc e al territorio di elezione. Occorre fare squadra e creare un sistema rete ma bisogna anche che i doppioni spariscano: fare tutela prima di tutto sui nomi, farla bene e senza altri scopi e interessi con una sola regia di promozione e valorizzazione sul territorio, agendo da ambasciatore del territorio di produzione e trovando il modo di una certificazione di tutte le imprese che interagiscono con le cantine, dagli alberghi agli agriturismi, dall’edicola al distributore di benzina. Tutto questo grande e impegnativo lavoro ‘di tutela’ per il territorio, per il produttore, per il consumatore svolto dal Consorzio deputato e forte ha bisogno però di una grande operazione di comunicazione, continua e dettagliata che può svolgere solo una struttura speciale come una agenzia di marketing territoriale che sappia competere con i grandi colossi e sappia competere e riceva, come ha fatto la Regione Friuli per il Tocai, il giusto sostegno finanziario”.

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