Cultura

IL LINGUAGGIO DEL FUMETTO / 2

Una lettura divertente di una realtà assai complicata, con le avventure di Diabolik e le assenze di alternative in un mondo ingessato in cui perfino gli antieroi si borghesizzano

11 ottobre 2003 | Anna Irma Farinaro

Come scrivevo nella prima parte dell’articolo la scorsa settimana, il fumetto può esprimere il momento culturale in cui viene ideato. Quindi, tanto quanto Maus esprime la ferma volontà di vincere la battaglia contro coloro che vorrebbero annichilire la cruda realtà di un genocidio, tanto Diabolik è espressione della contestazione degli anni ’60.

Una lettura facile e divertente
Diabolik è un fumetto italiano della casa editrice Astorina. Nasce nel 1962 per opera delle sorelle Giussani, che pur se volevano creare una lettura facile e divertente, inevitabilmente hanno rispecchiato la mentalità dell’epoca.
E’ la storia di un ladro e della sua compagna: Eva Kant. Lo scheletro che sorregge il corpo del racconto rimane sempre fedele a se stesso: Diabolik decide di fare un colpo e lo pianifica insieme ad Eva Kant; produce maschere di plastica di sua invenzione e si sostituisce ad una vittima; qualche cosa va storto e incominciano i guai. E’ del tutto plausibile che l’ispettore Ginko riesca a catturarlo, ma poco prima dell’esecuzione Diabolik riuscirà a fuggire in modo rocambolesco. Ogni puntata si conclude con un bacio fra i due innamorati, un altro aspetto immutabile della serie.
La componente sociale si basa soprattutto sulle Motivazioni che inducono Diabolik e Eva Kant a rubare. Loro sono contro la società e questo è il loro modo di reagire all’assurdità di un’esistenza che si basa solo sui soldi. Rubare per togliere sicurezza ad un mondo che altrimenti non si accorgerebbe di essere disumano. Diabolik non è né un teorico né un politico, non discute, agisce.
E’ quindi contro al sistema, “questa ricchezza che produce ricchezza”(Giussani); è solo, e quindi imprevedibile e inattaccabile; è un anarchico.
La psicologia di Diabolik è studiata. I rapporti affettivi sono prestabiliti e immutabili. Diabolik ama sinceramente Eva e nutre un profondo rispetto per Ginko, l’ispettore di polizia che gli dà la caccia. Tra loro due è instaurato un rapporto ambiguo, infatti uno non potrebbe esistere senza la presenza dell’altro, sono due facce della stessa medaglia, il bene assoluto e senza cedimenti contro il cattivo assoluto senza ripensamenti, talmente lontani da essere vicinissimi, da essere disegnati quasi uguali. Sono divisi e inseparabili in un mondo di “comparse” in cui solo loro (ed Eva) sono persone “vere”. La realtà è gelida e finta, mentre loro tre provano sentimenti.
La realtà come dicevo è finta: a Clerville e a Ghenf, le due località nelle quali si svolgono le storie non c’è vita vera; nessun negozio, cinema, nessuno per strada.
Inoltre c’è la totale assenza di risata e umorismo, la vita per Diabolik è un gioco serio.

Negli anni della contestazione
In realtà il ’68 fu l’anno della contestazione in tutto il mondo e al riguardo un importante ruolo fu svolto dagli studenti. La ribellione giovanile che ebbe origine negli Usa per poi dilagare nell’Europa occidentale e in alcuni paesi dell’Est europeo fu l’effetto di una crisi che si era andata preparando negli anni precedenti al ’68.
In Italia e all’estero la contestazione trovò una sua bandiera nell’Uomo ad una dimensione di Herbert Marcuse, pubblicato negli Usa perché era fuggito dalla Germania con l’avvento del Nazismo, che apparve in italiano nel 1967.
Fu proprio sul nostro continente che in pochi mesi a suon di centinaia di migliaia di copie, L’uomo a una dimensione fece dell’autore il maestro della nuova sinistra che in quegli anni - distinguendosi dalla “vecchia” sinistra per l’atteggiamento critico assunto anche nei confronti dell’Unione Sovietica - andava mettendo vigorosamente radice nelle università europee.
Per quanto riguarda l’Italia, si può dire che negli anni intorno al ’68 non vi sia stato studente universitario che non abbia letto il libro, o non ne abbia respirato in qualche modo gli argomenti. In una società dove era cresciuta la soddisfazione per aver sconfitto il fascismo e la povertà si ritrovava ad essere dipinta dai suoi giovani come un nuovo sistema oppressivo, tanto più efficace per la sua inedita capacità di inserire nella coscienza stessa dei suoi membri la convinzione di vivere in un regime di autentica libertà. Nel libro di Marcuse i giovani del ’68 trovarono gli argomenti e le parole atte a conferire forma definita ad un’idea che in modo meno articolato circolava già da tempo in Europa. Era l’idea che le società europee uscite ormai da oltre vent’anni dall’esperienza del fascismo e della guerra, e dedicatesi con conclamata devozione alla pratica della democrazia, ricca di promesse per un continuo, dinamico rinnovamento di rapporti sociali, di uomini, e di idee, fossero in realtà, ciascuno a suo modo, forme di società bloccata.

Assenze di alternative
Società bloccate soprattutto sul piano politico, per l’assenza di un’alternativa realistica di governo, come in Italia a quel tempo. Infatti, fin dalla caduta del fascismo sebbene a livello teorico gli italiani avevano votato per una democrazia, effettivamente per quasi vent’anni si ebbe un governo della Democrazia cristiana, o comunque di fatto dominato dalla Dc.
Dunque il movimento studentesco del ‘68 in Italia tese in particolare a sottolineare questo stato di cose cercando una soluzione pratica e perpetrando una protesta contro l’impossibilità di avere un’alternanza politica.
L’uomo ad una sola dimensione è l’individuo alienato della società. Il sistema tecnologico ha, infatti, la capacità di far apparire razionale ciò che è irrazionale e di stordire l’individuo in un frenetico universo cosmico in cui possa mimetizzarsi. Il sistema si ammanta di forme pluralistiche e democratiche che però sono puramente illusorie, perché le decisioni in realtà sono sempre nelle mani di pochi. “Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non libertà - egli afferma - prevale nella società industriale avanzata segno di progresso tecnico”; la stessa tolleranza di cui si vanta tale società è repressiva perché è valida soltanto riguardo a ciò che non mette in discussione il sistema stesso.
Tuttavia, la società tecnologica non riesce ad imbavagliare tutti i problemi e soprattutto la contraddizione di fondo che la costituisce, quella tra il potenziale possesso dei mezzi atti a soddisfare i bisogni umani e l’indirizzo conservatore di una politica che nega a taluni gruppi l’appagamento dei bisogni primari e stordisce il resto della popolazione con l’appagamento dei bisogni fittizi. Tale situazione fa sì che il soggetto rivoluzionario non sia più quello individuato dal marxismo classico, cioè la classe operaia, in quanto questa si è completamente integrata nel sistema, bensì quello rappresentato dai gruppi esclusi dalla benestante società, quello che Marcuse in un passo chiave del suo libro descrive come: “Il sostrato dei reietti e degli stranieri e degli sfruttati e dei perseguitati d’altre razze e di altri colori, dei disoccupati e degli inabili. Essi permangono al di fuori del processo democratico, la loro presenza prova quanto sia immediato e reale il bisogno di porre fine a condizioni e istituzioni intollerabili”.
Bisogna però ricordare che soprattutto in Italia la critica totalizzante di Marcuse suggerì alla nuova sinistra, con la sua insistenza ossessiva sull’impossibilità di contrastare il sistema dominante con qualsiasi tipo di argomentazione, le strade della violenza che una cospicua parte dei suoi esponenti cominciò a praticare sin dal ’68.

In Diabolik l’archetipo della contestazione
E’ facile capire come in questo contesto storico-filosofico si inserisca il fumetto Diabolik.
Lui, l’anti-eroe, il cattivo, il ribelle, che ci viene presentato come il vincente e non come un pericolo da cui è necessario difendersi. È per lui, l’uomo senza nome perché rappresenta l’archetipo della contestazione, che parteggiamo durante il fumetto, non speriamo che questa volta l’ispettore Ginko riesca a prenderlo, ma entriamo anche noi nel mondo della contestazione.
Diabolik è propriamente l’uomo che dopo anni di silenzio decide di prendere la vita nelle sue mani e di fare qualche cosa per cambiarla, e per cambiare la società in cui è immerso. Diabolik lo fa rubando, gli studenti del ’68 protestando.
È chiaro però che anche il fumetto, insieme ai tempi, è cambiato. Ormai le tensioni sociali che erano provocate da una staticità politica sono venute meno, e Diabolik non avrebbe avuto più senso di esistere così come è stato creato. Infatti, con il passare del tempo il nostro anti-eroe si è borghesizzato, per esempio sono anni che non uccide più nessuno e si è trasformato in un ladro-gentiluomo; mentre alla sua nascita faceva uso, a volte immotivato, della violenza ed era un vero e proprio “anarchico” completamente escluso dalla società.

(2.Fine. La prima parte è stata pubblicata nella sezione "Cultura" di TN n. 5 del 4 ottobre 2003)

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