Cultura

Frittate ed eros. La passione che travolge

Parole a doppio senso. Cosa sottintende una ciambella bucata ed unta? In un dizionario storico del lessico erotico italiano, il cibo fritto diventa metafora degli organi genitali maschili e femminili. Oddio, ma questa è perversione!

15 maggio 2010 | Luigi Caricato



Chi l’avrebbe detto. Già, chi l’avrebbe mai detto che una millenaria pratica culinaria come la frittura nasconda in sé delle connotazioni erotiche? Ma non è solo la frittura in se stessa, anche tutto ciò che può essere fritto può essere considerato in qualche maniera metafora degli organi genitali maschili e femminili.

Qualcuno non ci credrerà, eppure è così. Basta sfogliare il Dizionario storico del lessico erotico italiano, per farsi un’idea più circostanziata, anche su altre voci (link esterno).
Edito da Longanesi, il volume ha come autori Valter Boggione e Giovanni Casalegno. Ed è sufficiente andare alla voce “frittella” che subito si scopre che questa viene associata all’immagine della ciambella bucata e unta, con motivazioni che ben si intuiscono.

Nel Veneto, non a caso, la frìtola è un’espressione che viene utilizzata per indicare il sesso femminile. Non ci credete? Basta leggere il romanzo Libera nos a malo (link esterno), del grande Luigi Meneghello, che scrive: Ecco dunque: si possono fare i pettegolezzi sul culo, ma sulla frìtola no.

La parola frittella attira e attizza così tanto che in passato aveva stuzzicato non poco la fantasia del grande poeta Giuseppe Gioacchino Belli, che in particolare scrive: Noantri fijacci de mignotta / dimo... / sorca, vaschetta, fodero, frittella.

E frittella sia, dunque. La parola è senz’altro da rivalutare, visto che con l’espressione “frìtola” si intende in generale indicare anche una ragazza allegra, nel senso ovviamente di “facili costumi”.

Non solo sesso al femminile, però. La frittura intesa come metafora è stata utilizzata anche dal poeta milanese Carlo Porta per indicare i testicoli: Oh quanti parentell han tiraa in pee / per nominà i cojon! Gh’han ditt / ... / frittur.
In questo caso specifico, come molto opportunamente precisano gli autori del Dizionario, Boggione e Casalegno, l’interpretazione viene fornita dallo studioso di letteratura Dante Isella, il quale collega la metafora in questione alla consuetudine di friggere le animelle delle bestie macellate.

E’ ciò che si dice la polisemia del linguaggio. Portate dunque un po’ di pazienza: il linguaggio nasconde sempre qualche inaspettata sorpresa, e se il vocabolo “frittata” viene inteso, in questo caso in senso strettamente allegorico, come il mescolarsi e intrecciarsi dei sessi, alla stessa stregua, la frittata vera, quella insomma che si mangia, anch’essa la si ottiene mescolando i più diversi ingredienti.
Sono buone entrambe le frittate? Ma sì! Perché no?