Cultura

Turisti in un mondo immaginario e diverso

È stato lo “sguardo del turista” a trasformare i luoghi. Le sue aspettative di un mondo naturale, autentico e incontaminato sono state accolte e soddisfatte. E tutto è cambiato. Le lucide osservazioni di Daniele Bordoni sul tema dell’autenticità dei luoghi turistici

19 dicembre 2009 | Daniele Bordoni



L’immagine di maggiore impatto che colpisce in questi giorni è quella del presepe, con San Giuseppe, la Vergine Maria e Gesù Bambino, in una grotta o una stalla, con il bue e l’asinello a scaldarli. Questa immagine non è solo simbolica, ma appare pressoché identica nella realtà. Basta guardare alcune foto dell’inizio del secolo scorso in Piemonte. Non si tratta della documentazione di una rappresentazione religiosa, ma di una realtà di stenti vissuta da persone reali. La condizione di miseria così bene dipinta dalle testimonianze raccolte da Nuto Revelli, ne Il mondo dei vinti ci dice molto dell’autenticità della vita delle valli e dei monti piemontesi.

Lo stesso discorso è probabilmente applicabile a molte delle realtà alpine di quei tempi. A far fuggire il contadino o l’alpigiano non fu solo l’attrazione esercitata dalla vita di città, ma quella semplicemente di una vita migliore e non fatta solo di stenti e di privazioni, di fame e di miseria.

Oggi, in una nuova fase di benessere generalizzato, nonostante la concomitanza di una grave crisi economica, emerge il desiderio di un mondo arcadico idealizzato di contadini e pastori felici, a contatto con la natura, che conducono una vita sana e possono offrire prodotti e cibo di grande qualità: non si tratta del desiderio di un ritorno al passato, ma di un’esigenza dello spirito.

Gli agriturismi e le fattorie di oggi sembrano avere poco o nulla a che vedere con la tradizione autentica del luogo a cui appartengono e dei tempi a cui ci si riferiva prima e neppure l’enogastronomia. Si tratta di fatti culturali recenti, generati anche dall’incontro tra le richieste generate dall’immaginario del turista proveniente dalla città, che si prefigurava un mondo “incontaminato” e non soggetto ai ritmi dello stile di vita urbano e una realtà locale che avrebbe anch’essa anelato a quella modernità che la città aveva già raggiunto e superato.

È stato in sostanza lo “sguardo del turista” a trasformare i luoghi. Le sue aspettative di un mondo naturale, autentico ed incontaminato sono state accolte dai locali che si affacciavano al mondo dell’accoglienza turistica e hanno contribuito a modellare il mondo delle valli alpine. Sono quindi sorte strutture alberghiere in stile a chalet, non troppo imponenti e rigorosamente in legno. Sono stati aperti ristoranti tipici, che non c’erano. Si sono aperte boutique, locali di divertimento. Si è trasformato il paesaggio del villaggio, in un paesaggio di villaggio idealizzato, con staccionate in legno, cartelli stradali rustici, arredi urbani e illuminazioni adeguate. Una sorta di parco a tema montano.

Il turista, soddisfatto di aver trovato quello che si aspettava nel suo immaginario, ha iniziato a trasmettere questa sua soddisfazione ed aspettativa ad altri e specialmente oggi, in epoca di social network, questa trasmissione è riuscita ad alimentare una crescita di aspettative di altri turisti nella stessa direzione.

A questo punto, dato per scontato ciò che ci si attende, la differenza la fanno i prezzi, la qualità dell’accoglienza, che nel frattempo è divenuta professionale e la capacità di anticipare quella voglia di autenticità e di tipicità che il turista chiede.

C’è da chiedersi allora dove sia finito l’autentico, il naturale, l’incontaminato e se sia mai veramente esistito. Andiamo con ordine. Siamo veramente sicuri che anche in epoche remote esistesse un paesaggio alpino “incontaminato”? La presenza umana è sempre stata una costante. Nelle valli alpine e in molti mi hanno confermato che nel secolo scorso il paesaggio era molto diverso, molto più antropizzato. C’erano terrazzi ovunque dove si coltivavano con gran fatica, cereali, patate e verdure. Gli alpeggi, nati da una deforestazione massiccia e metodica coprivano intere montagne, lasciando spazi molto più radi degli attuali per i boschi e la crescita spontanea delle piante.

Anche gli animali, cacciati per necessità, come fonte di cibo, erano di meno. Oggi a seguito dell’abbandono delle montagne, la natura ha preso il sopravvento, molti alpeggi sono scomparsi, riassorbiti dai boschi che hanno ripreso possesso dei loro spazi. I terrazzamenti, sono stati compromessi dalla crescita di alberi e di sottobosco, gli animali, in libertà e meno cacciati, si sono moltiplicati divenendo spesso un problema. Per assurdo che possa sembrare, sono proprio le zone che sembrano più abbandonate ad avere un’autenticità che forse non avevano mai avuto prima dell’abbandono.

Spesso dimentichiamo che la componente umana è una parte fondamentale del paesaggio, lo plasma, lo trasforma e lo rende adatto alla propria esistenza. Il bosco non ha bisogno di strade di città, di illuminazione, di servizi. Chi ha avuto la possibilità di osservare interi villaggi abbandonati e in cui la natura è tornata in possesso delle terre, sa di cosa si sta parlando.

È anche chiaro che laddove la crescita generata dal turismo è stata più forte, l’antropizzazione del paesaggio è continuata, sino a creare questa sorta di parco tematico artificiale, frutto dell’immaginario idealizzato del turista di provenienza cittadina. Di conseguenza, la trasformazione e, in parte lo stravolgimento, dell’ambiente è proseguito. Proseguito, non iniziato. Perché anche in epoche lontane, a partire dai primi insediamenti umani, il paesaggio aveva subito trasformazioni, che nei luoghi in cui ci fu l’abbandono più marcato si è arrestato, mentre in quelli che sono divenuti mete turistiche è proseguito e ha visto l’aggiungersi di più elementi in successione.

Alla fine, il piccolo paese, anonimo e senza attrattive, è divenuto un grazioso luogo di ritrovo, attraente in sé stesso. Anche le modeste botteghe di artigiani, trasformate in “boutique” di prodotti tipici, hanno contribuito alla spettacolarizzazione del paesaggio e alla creazione di un’atmosfera raccolta, intima, affascinante.

Questa tematica del villaggio, molto attraente e accattivante, è stata alla base della costruzione dei villaggi “commerciali” i Factory Outlet Village, che hanno sfruttato l’immaginario dell’attrattiva del piccolo villaggio, con casette a un piano con vie e panchine, per creare vere e proprie cittadine del commercio a sé stanti, poste in aree dove non c’era nulla e riuscendo a diventare una meta turistica esse stesse. I cosiddetti non luoghi sono divenuti mete e fonte di attrazione non solo per il turista di passaggio, ma anche per il cittadino, che vive a breve distanza.

Siamo lontani dal punto di partenza, dall’autenticità del “presepe” della vera origine della vita contadina e alpina. La realtà è che il turista non è mai stato in cerca di quella “autenticità”. Questa immagine è relegata al simbolismo idealizzato del presepe, che in questi giorni decora le nostre case. I

Il benessere, sia chiaro, è tutt’altro che un male. Era inevitabile che quelle trasformazioni ci fossero. Oggi però sentiamo che la vita che ci siamo scelti, i ritmi, lo stress, gli appartamenti tutti uno affianco all’altro, uno sopra l’altro, ci hanno tolto qualcosa, ma non si tratta di qualcosa di fisico o del desiderio di un ritorno al passato che francamente è improponibile, ma di qualcosa che parte da una necessità interiore e dello spirito: da un lato l’esigenza di maggiori rapporti umani, qualitativamente migliori e dall’altro quella del rapporto con i ritmi naturali, col susseguirsi delle stagioni, col contatto stesso con la natura.




Bibliografia

Ritratti vita estremamente ben rappresentati
Nuto Revelli, Il mondo dei vinti. Testimonianze di vita contadina, Einaudi, Torino 1977

Sulle trasformazione dei luoghi, soprattutto urbani
Claudio Minca, Introduzione alla Geografia Post-Moderna, Cedam, 2001

Per lo sguardo del Turista
Rachele Borghi e Filippo Celata, Turismo Critico, Unicopli, Milano 2009 (pp-11-28)

Per i Factory Outlet Village e i non luoghi
Chiara Rabbiosi nel libro a cura di Rachele Borghi e Filippo Celata, Turismo Critico, Unicopli, Milano 2009 (pp-173-195)

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