Cultura

"Il vento fa il suo giro", un film di Giorgio Diritti

Un'opera prima con interessanti riflessioni sul futuro delle comunità chiuse e isolate delle valli alpine, tra un destino di estinzione che appare inevitabile e l’incapacità di adattarsi agli apporti esterni e al nuovo

07 febbraio 2009 | Daniele Bordoni



Sono circa due anni che il film “Il vento fa il suo giro” (2005) è in programmazione al cinema Mexico di Milano. Si tratta di un’opera prima del regista Giorgio Diritti, interamente girato in Val Maira, area montana del cuneese al confine con la Francia e importante in quanto portatrice della cultura occitana. Ancora oggi e nel film stesso, i protagonisti dialogano in occitano. Il film ha ottenuto molti riconoscimenti, da festival critica, tra cui spiccano 5 nomination al David di Donatello e il 1° premio al Festival di Lagonegro 2007. Il fenomeno non sembra volersi esaurire e il film continua ad avere un seguito di interesse e di pubblico che era del tutto inatteso da parte dei gestori del cinema. A quanto hanno affermato fu un rischio mettere in programmazione un’opera prima, ma i risultati sono andati al di là delle più rosee aspettative. Chi l’ha visto torna portando gli amici, molti tornano per rivederlo o per comprare il CD della colonna sonora o il DVD del film stesso in vendita presso il cinema.



Il film narra di un francese, ex insegnante, che aveva cercato una propria dimensione, riaccostandosi alla vita di campagna ed intraprendendo l’attività di pastore di capre e producendo formaggi nei Pirenei francesi. L’installazione di una centrale atomica in prossimità del suo paese lo spinge a cercare altrove un luogo in cui stabilirsi con la famiglia ove poter continuare la propria attività. Dopo molti giri arriva in Val Maira e rimane affascinato dalla bellezza e anche dall’asprezza del paesaggio, rimasto ancora lontano dai pericoli dell’urbanizzazione. Il racconto è incentrato sulle difficoltà che emergono nel trovare casa e pascoli prima e nell’essere accettato, con la propria diversità, dalla comunità di Chersogno, un piccolo paese, nel cuore della Val Maira.

I contrasti e la chiusura appaiono subito, ma sembrano inizialmente accantonati, anche grazie all’intraprendenza del sindaco che vede una possibilità di rilancio e di crescita della sua comunità, grazie all’apporto di esperienze nuove ed esterne. Il pastore riesce a trasferirsi nel paese e la gente l’accoglie quasi trionfalmente con una grande rinfresco e una fiaccolata.

Man mano che i giorni passano, le difficoltà e le incomprensioni aumentano, la chiusura della comunità si accentua. Due mondi sono in contrasto, quello della tradizione, dell’oralità, dei cicli e delle stagioni, di riti e della lingua occitana di Chersogno e il mondo moderno, disinibito, colto, della scrittura, della linearità, del “progresso” portato dal pastore francese, ex insegnante.

Il racconto pone interessanti riflessioni sul futuro delle comunità chiuse ed isolate delle valli alpine, il cui destino di estinzione appare inevitabile e sull’incapacità di adattamento all’apporto esterno e al nuovo. Dall’altra parte mette in evidenza la mancanza di attenzione, da parte del pastore, alla filosofia di vita della piccola comunità. Non ci pensa neppure. Lui sa cosa è giusto ed ha le idee molto chiare, troppo chiare. La realtà non è mai semplice e neppure lui è in grado ci comprendere un mondo che non è mai stato il suo.

Vengono poste diverse questioni che interpretate in chiave antropologica permettono di vedere delle realtà complesse. In un certo punto il pastore, parlando con l’amico musicista, fa emergere uno dei punti più significativi del film. Il musicista afferma che nei secoli passati convivevano in quella comunità popoli di diverse lingue, razze e credenze, perché la gente era “troppo” tollerante, poi si rinchiuse e rimase solo la cultura occitana. Il pastore obietta che la parola “tollerante” non era corretta: se si deve tollerare qualcuno, afferma, significa che non si riesce ad accettarlo veramente.

La comunità alpina, come molte in altre aree delle alpi, è ferocemente legata al proprio territorio che difende in modo ossessivo da qualsiasi intromissione, anche i pascoli, benché abbandonati, non devono essere usati da qualcuno che non era stato autorizzato. Ma il territorio difeso è anche un “territorio culturale” minacciato dal nuovo. Se lo straniero avesse deciso di passare le vacanze in quel luogo non ci sarebbero stati problemi. Non avrebbe fatto parte della comunità e non sarebbe stato una minaccia. La sua presenza è un fattore disgregante che rompe il sonnolento equilibrio e del lento ed inesorabile declino del paese.

Il paesino non ne esce bene, il quadro è impietoso e fa ben comprendere che il destino di estinzione è segnato. Il modo in cui la comunità respinge il nuovo venuto è espressa a tinte forti. Tra insulti, più o meno velati, si arriva a una sorta di pubblico muto processo: una riunione voluta dal sindaco, in cui il francese avrebbe dovuto presenziare e scusarsi per il suo comportamento. In realtà, la riunione non è altro che un processo, la cui sentenza è già scritta: l’ostracismo, l’espulsione dalla comunità. Il pastore trova due capre morte appese ad un’arcata, vicina alla chiesa. Non si presenta alla riunione, prende la propria famiglia e se ne va.

Emergono diverse figure, tra le quali quella del sindaco, col suo tentativo di rivitalizzare il paese, consapevole del declino. Progressivamente rinuncia. Il film inizia con lui e l’uomo più anziano del paese che risalgono la valle. Il film sviluppa la sua storia come un flashback e al termine si vedono di nuovo i due personaggi, l’uno, il sindaco, simbolo del tentativo di rivitalizzazione della comunità e l’altro il vecchio, simbolo della tradizione e dell’immutabilità. Il vento fa il suo giro affermano e dopo avere sconvolto tutto, tutto torna come prima e nulla cambia. Questa è la riflessione, un po’ amara di entrambi.

L’attaccamento alla terra è rappresentato dalla megera, che arriva a rompersi due dita della mano, pur di far accusare il francese di comportamento violento. L’espressione della libertà è rappresentata dal giovane ritardato, che simula correndo a braccia aperte il volo di un uccello o di un aeroplano. Pur facendo parte della comunità era tollerato come elemento diverso, ma una volta accettato in famiglia dal francese si “civilizza” e non è più in grado di tornare al suo vecchio mondo quando il francese se ne va. Si uccide, impiccandosi allo stesso arco in cui erano state appese le capre.

Alla chiusura degli abitanti di Chersogno si contrappone una certa presupponenza da parte del pastore che apporta i propri modelli culturali senza minimamente curarsi di quelli preesistenti, considerando i propri, gli unici giusti. La sua visione del mondo contadino è una visione arcadica (di pastori felici e di comunità solidali) che non risponde più alla realtà.

Ci sono poi da valutare i numerosi simboli che appaiono ad una osservazione più attenta: l’arco in pietra in cui sono appese le due capre, forse un’indicazione di sacrificio espiatorio e in cui il ragazzo ritardato si impicca. Forse questo punto simboleggia un punto di passaggio tra due mondi che non riescono a comunicare, come appare anche dall’orazione funebre recitata dal sindaco.

In conclusione si tratta di un’opera ricca di contenuti, che dipinge e testimonia di un mondo che forse tra qualche anno non esisterà più, ma è anche ricca di messaggi e di simbolismi, che si approfondiscono man mano che si ripensa a tale opera nel suo insieme. Si tratta di un film che non si dovrebbe perdere e che è consigliabile a tutti, sia a coloro che vivono in città, sia a coloro la cui esperienza di vita contadina o montana ricorda molti di questi brani di vita.



L'Autore
Daniele Bordoni. Laureato in Lingue e Letterature Straniere, all’Istituto Universitario di Lingue Moderne di Milano, nel 1980, con il massimo dei voti e tesi specialistica incentrata sulla letteratura inglese del ‘600 e su un’analisi testuale dell’opera di Sir Thomas Browne, di cui è uno dei maggiori conoscitori.
Ha acquisito una grande esperienza di viaggiatore, conseguenza del suo lungo impegno pluriennale nella finanza internazionale, che lo ha portato a viaggiare e visitare moltissimi angoli del mondo, in una sorta di Grand Tour moderno. Da molti anni studioso di Economia del Turismo e del Costume con particolare riferimento alle aree del turismo naturale sostenibile nelle aree montane.

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