Cultura
L’olio di oliva torbido era già considerato scadente ai tempi dell’Impero Romano
La parola latina faex significa “fondo” o “ciò che si deposita in basso” ma anche “feccia, rifiuto”. Nel linguaggio medico veniva usato anche per indicare gli escrementi umani. Ecco perchè è meglio non acquistare un olio di oliva torbido
26 agosto 2025 | 14:00 | Silvan Brun
L’olio d’oliva torbido suscita emozioni. Per alcuni rappresenta genuinità, autenticità e lavorazione artigianale – per altri è una garanzia di rapido deterioramento. Già i Romani conoscevano questa categoria sotto il nome di Oleum fæculentum e la consideravano di bassa qualità. Anche nei secoli successivi l’olio torbido doveva essere camuffato visivamente per poter essere venduto. La storia è chiara: oggi “naturale torbido” suona romantico, ma da sempre significa semplicemente scadente.
In un mondo industrializzato “naturale torbido” evoca quasi genuinità, basso grado di lavorazione, autenticità e qualità. Questo attributo è noto soprattutto in relazione a birra, succo di mela e tè fermentato, oggi chiamato “kombucha”. Una certa magia sembra emanare da questo termine quando descrive l’olio d’oliva. Gli oli torbidi vengono presentati come qualcosa di particolarmente delicato, ed è per questo che sembrano piacere ai consumatori.
In realtà dietro il termine “naturale torbido” – oppure “non filtrato” – non si nasconde altro che ciò che i Romani chiamavano già duemila anni fa Oleum fæculentum: un olio pieno di impurità, poco conservabile, sensorialmente instabile e di qualità inferiore.
Lucio Giunio Moderato Columella, uno dei più importanti scrittori agronomici dell’antichità e proprietario terriero nella Hispania Baetica, descrive nel dodicesimo libro della sua De re rustica con grande precisione come l’olio veniva prodotto e distinto. Scrive dell’“olio fiore” (oleum flos), che usciva spontaneamente dalla pasta di olive, dell’olio fruttato da olive raccolte all’invaiatura (oleum viride) e di prodotti di qualità inferiore come l’acido e fermentato oleum acetinum o appunto l’oleum fæculentum. Di quest’ultimo dice chiaramente:
«Oleum autem faeculentum neque bonum neque diuturnum est, quoniam celeriter corrumpitur.»
Un olio torbido non è né buono né durevole, poiché si guasta rapidamente.
Columella descrive quindi questo deposito nell’olio come causa di cattivo odore e scarsa durata. Un fattore rilevante di deterioramento.
Feci e olio torbido: un legame etimologico sorprendente
La parola latina faex significa “fondo” o “ciò che si deposita in basso” quando vino, mosto o olio vengono lasciati a riposo. In concreto, indica il deposito di lieviti nel vino o le particelle di frutto e residui d’acqua nell’olio d’oliva.
Allo stesso tempo faex aveva anche un significato figurato: “feccia, rifiuto”. Nel linguaggio medico veniva usato anche per indicare gli escrementi umani – ciò che nel corpo viene espulso come scarto. Da qui derivano il francese matières fécales e, più in generale, il termine italiano feci.
Che al termine fæculentum associamo subito l’idea di escrementi non è quindi un’esagerazione, ma un fatto radicato nella storia linguistica. E chiunque abbia mai aperto una bottiglia di olio d’oliva torbido dopo alcuni mesi confermerà quanto l’associazione sia azzeccata: ciò che a novembre sembra fresco e “robusto”, a maggio sa al meglio di juta, e nei casi peggiori di stalla o addirittura di fanghi di depurazione.
Non acquistate mai oli d’oliva non filtrati
Ed è proprio questo a rendere così problematica la moderna commercializzazione degli oli torbidi. Produttori e commercianti giocano con il desiderio di autenticità, con l’illusione di un olio “direttamente dal frantoio”, non filtrato, che contiene ancora tutte le “sostanze naturali” ed è ricco di biofenoli. In realtà un olio torbido non significa altro che un olio non filtrato con cura e che, una volta arrivato sullo scaffale, è già quasi improponibile al consumo.
Se l’olio non viene filtrato immediatamente dopo la produzione, rimangono residui d’acqua, particelle di frutto, enzimi, zuccheri e sporcizia che forniscono nutrimento ai microrganismi e accelerano drasticamente i processi enzimatici di degradazione. Il risultato è un olio che si deteriora più velocemente di qualsiasi altro, sviluppando cattivi odori che non hanno nulla a che fare con i pregi di un vero extra vergine. Perciò l’unica raccomandazione possibile è: non acquistate mai oli non filtrati!
I Romani conoscevano bene questi processi e scartavano sistematicamente l’Oleum fæculentum. L’olio torbido non veniva portato a tavola, ma usato come combustibile per le lampade. Il fatto che oggi gli oli non filtrati vengano elevati a prelibatezza con termini di marketing come “naturale torbido”, “autentico” o “Novello” è un’ironia della storia.
Bottiglie d’olio liguri avvolte in carta dorata
Non serve nemmeno risalire tanto indietro nel tempo per capire che l’olio torbido, già nel XIX secolo, fosse considerato difettoso persino dai commercianti disonesti. In Liguria, con le sue quattro città mercantili più importanti – La Spezia, Savona, Genova e Imperia – la coltivazione di olive era limitata dai ripidi terrazzamenti. La regione importava molti prodotti via mare – anche l’olio d’oliva.
Quest’olio arrivava su velieri in botti dal Maghreb e dalla Spagna. Ma al momento di travasarlo nelle bottiglie di vetro trasparente disponibili all’epoca, emergeva il problema: l’olio non filtrato era marrone, torbido e poco appetibile – più simile a liquame che a un nobile alimento. Per nascondere il difetto, i commercianti avvolgevano le bottiglie in carta marrone. Così una sostanza poco invitante appariva come un prodotto raffinato. Questo stratagemma è sopravvissuto fino a oggi: molti oli liguri vengono ancora presentati in bottiglie avvolte in fogli dorati o in carta.
Questi fatti mostrano quanto poco si sappia davvero sull’olio d’oliva nelle società moderne.
La filtrazione non è affatto un difetto, ma un passaggio necessario. Non toglie nulla all’essenza dell’olio, anzi la preserva.
La lezione della storia è letteralmente chiara: un buon olio d’oliva è sempre un olio limpido.
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