Cultura 13/10/2007

L'ALTRO VOLTO DI EUGENIO MONTALE, INTENTO A CERCARE AIUTI INFLUENTI. IN UN LIBRO DI DANIELA MARCHESCHI I RAPPORTI, MAI MESSI IN LUCE, DEL GRANDE POETA CON IL FASCISMO

E' tempo di premi Nobel, per questo risalta ancor di più, fresco di stampa, il volume "Alloro di Svezia". Tra particolari inediti, dotte incursioni e curiosità, su Montale peraltro si legge: "Come non comprendere le ragioni borghesi del decoro e le umane motivazioni di chi ha bisogno di un lavoro per vivere?"


Come ogni anno, è arrivato il tempo dell'assegnazione dei premi Nobel. Quello riferito alla letteratura, in particolare, ha visto quali diretti protagonisti gli italiani Carducci, Deledda, Pirandello, Quasimodo, Montale e Fo.

Nell'edizione 2007, oltre al nome di Claudio Magris, tra i papabili, si sussurravano perfino quelli di Roberto Benigni e Bob Dylan, un brutto segnale, pur se questi ultimi due personaggi meritano comunque un indubbia considerazione, ma non certamente un ruolo di primo piano in ambito letterario. Per fortuna che il riconoscimento alla fine sia andato a una scrittrice vera, all'inglese Doris Lessing:
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Ora, tuttavia, vogliamo anticipare ai lettori di "Teatro Naturale" un brano tratto dal volume
Alloro di Svezia, a firma del critico letterario Daniela Marcheschi, edito da Monte Università Parma.

Daniela Marcheschi è tra i maggiori critici italiani, particolarmente apprezzata per le sue dotte incursioni nelle letterature europee e in particolare in quella svedese. Nel libro, pubblicato nei giorni scorsi, l'autrice commenta le motivazioni dei nostri Premi Nobel per la Letteratura, chiarendo le ragioni critiche che hanno determinato la vittoria a Carducci, Deledda, Pirandello, Quasimodo, Montale e Fo.

La Marcheschi ovviamente ha indagato con cura ogni aspetto che ha condizionato le decisioni dell'Accademia di Svezia e dei suoi membri, tenendo conto non soltanto di ciò che appare a prima vista, ma anche del peso esercitato dalle estetiche di ciascuno degli autori premiati, con un ricco nucleo di particolari inediti capaci di suscitare curiosità e interesse anche nel lettore comune

Il brano riportato qui di seguito non comprende le note dell'autrice, presenti invece nel testo in modo dettagliato e preciso; per questo consigliamo vivamente la lettura integrale dell'opera, onde scoprire altri aneddoti e indagare oltretutto su questioni non sempre di pubblico dominio.
Si ringrazia vivamente la casa editrice Mup, Monte Università Parma, oltre che la stessa autrice, per averci concesso di pubblicare uno stralcio dell'opera
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LO SGUARDO DI MONTALE SULLA REALTA'

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"Montale non sarebbe il poeta che è, se non fosse profondamente convinto che la poesia – lontana dall’essere uno strumento di massa – sia ancora oggi una forza costante capace di agire, in segreto, come una delle voci della coscienza umana, certamente una voce flebile, ma anche indistruttibile ed indispensabile». Del resto, il giovane Montale, in una lettera al poeta Francesco Meriano – sodale suo e di Solmi alla scuola militare di Parma, ma anche amico di Mussolini e fondatore nell’agosto del 1919 del primo Fascio di Combattimento della Romagna –, aveva già significativamente scritto da Genova il 12 marzo 1920: «Ma […] per ora mi basti riaffermarti il mio vivo attaccamento alla tradizione nel cui corso, in perpetuo divenire, vorrei poter giungere ad inserirmi». Nel complesso, la motivazione propone argomenti che lasciano intendere la conoscenza e l’accoglimento delle ragioni delle letture critiche più recenti e valide intorno a Montale – quella dell’autorevole Gianfranco Contini, prima di tutto, il cui nome era noto ad Anders Österling che, nel 1954, ne aveva ricevuto la candidatura al Premio Nobel di Riccardo Bacchelli. Non a caso, nel testo svedese si allude alla continuità fra «osservazioni ironiche ed epigrammi» del Diario del ’71 e del ’72 e poetica del Montale maggiore, oppure allo sviluppo di «un percorso parallelo» a quello di Eliot: elementi, questi, sottolineati appunto da Contini anche negli scritti raccolti in Una lunga fedeltà. È tuttavia oramai noto che Montale ed Eliot si conoscevano – almeno sul piano della reciproca lettura delle opere – già nel 1928, ossia in un momento importante per la maturazione del nostro poeta. Rispondono infine ad una arcinota vulgata critica italiana i riferimenti all’Ermetismo come rifiuto – in sé e per sé, su un piano quasi ontologico per le sue stesse ragioni di poetica – del Fascismo e all’antifascismo di Montale.

Il capitolo dei rapporti di Montale con il Fascismo è però meno schematico di quanto non si dica comunemente, con il richiamo sia alla sua adesione al manifesto degli intellettuali antifascisti, redatto da Benedetto Croce e pubblicato – col titolo Una risposta di scrittori, professori e pubblicisti italiani, al manifesto degli intellettuali fascisti – sul quotidiano «Il Mondo» il 1° maggio 1925, sia all’esonero nel 1938 (non nel 1939 come ritenevano gli Accademici di Svezia), per ragioni politiche, dalla direzione del Gabinetto Vieusseux. In realtà, come del resto molti altri intellettuali italiani del suo tempo, Croce incluso, Montale guardò con simpatia al Fascismo nei primi anni di vita di questo movimento. Lo provano il tono dei suoi rapporti con il «carissimo» Francesco Meriano, cenni sparsi nella corrispondenza con lui e, in particolare, un’altra lettera da Monterosso del 7 agosto 1922 in cui si legge: «sbirciando il “Popolo d’Italia” d’ieri vengo a sapere per la prima volta che gli “uomini rossi” di Romagna han cercato di “farti la pelle”, tanto per impiegare una frase “du terroir”. Sono molto addolorato per le condizioni in cui ti trovi, ma anche fiero di un amico come te, sempre pronto a portare la parola e il braccio in difesa di cause sacrosante. Non è da oggi che ti seguo su le colonne del “Popolo”. Col tuo attuale sacrificio, nessuno del nostro gruppo di Parma (rammenti?) ha mancato di pagar del proprio a questa amatissima e scandalosissima Italia il suo tributo di sofferenze. Amen; e speriamo nel futuro». L’adesione di Montale al manifesto degli intellettuali antifascisti fu un gesto importante e particolarmente apprezzabile in un clima come quello del 1925. Tuttavia, alcuni autori che ebbero modo di frequentare Montale a Firenze, nella prima metà degli anni Trenta, e che si impegnarono poi attivamente nella Resistenza, non erano inclini a riconoscergli una autorevolezza speciale quanto ad antifascismo. Ad esempio, in ripetute testimonianze raccolte da chi scrive qui, il critico del «Giorno» Romeo Giovannini – le cui Anacreontiche, edite con successo dalla Cometa a Roma nel 1941, rappresentano l’antecedente, per alcune significative scelte formali, degli epigrammi di Fenoglio – non perdeva occasione per ricordare, con la sua memoria vigile e straordinaria, quanto Montale rimanesse spesso in silenzio e come estraniato dalle conversazioni che animavano il Caffè delle Giubbe Rosse. Per Giovannini e l’amico allora inseparabile Guglielmo Petroni – ventenni innamorati della poesia e desiderosi di indirizzi chiari – il fascinoso Enrico Pea e il più giovane Arturo Loria erano piuttosto i punti di riferimento di quel gruppo di intellettuali riunitisi a Firenze. Ciò concorderebbe
indirettamente con la raccomandazione rivolta dallo stesso Montale a chi scrive qui, al Forte dei Marmi nell’estate del 1979, in occasione di una conversazione anche sugli anni fiorentini: l’invito caloroso e ripetuto a studiare per l’appunto l’opera narrativa e teatrale di Pea. D’altra parte, nelle discussioni fra amici sui rapporti degli intellettuali italiani con il Fascismo, Petroni parlava di una lettera indirizzatagli da Montale poco dopo l’esonero dal Vieusseux, nel quale era sollecitato dall’amico a cercargli a Roma protezioni ed aiuti politici influenti. Anche in grazia di un simile documento, dopo la scomparsa di Petroni, Maria Corti aveva deciso di accettare le carte dello scrittore lucchese nel Fondo Manoscritti di Pavia da lei creato. Come non comprendere le ragioni borghesi del decoro e le umane motivazioni di chi ha bisogno di un lavoro per vivere? Ma il magistero intellettuale vero, che scaturisce dall’unione perfetta del rigore etico con la forza del lavoro artistico-letterario, è un’altra cosa".
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Daniela Marcheschi


Testo tratto da: Alloro di Svezia. Le motivazioni del Premio Nobel per la Letteratura; a cura e con un saggio introduttivo di Daniela Marcheschi, traduzione di Raffaella Giuliani; Mup editore, pp. 120, euro 16

di T N