Cultura 27/09/2019

Quando l'olivo, l'olio extra vergine di oliva, la bellezza e l'etica fanno business

Quando l'olivo, l'olio extra vergine di oliva, la bellezza e l'etica fanno business

La semplicità della natura, unita alla consapevolezza data dalla scienza e infine un tocco di umanità. Mescolare amabilmente e abilmente il tutto per ottenere il prodotto perfetto per i mercati del Nuovo Millennio. Si parte dalle Marche con L'Oro di Loriana


La presidente dell’Associazione culturale Pandolea, Loriana Abbruzzetti, regala una giornata di grande valore formativo ed umano, e sorprende ancora, presentando la scorsa domenica 22 Settembre un progetto di ampio respiro culturale, la sua nuova linea di prodotti di bellezza dedicati alle donne, ‘L’Oro di Loriana’. Presso l’azienda agricola Abbruzzetti, sita a Fermo in contrada San Pietro Vecchio, offre ai presenti non solo la migliore espressione della sua passione di tanti anni per l’universo dell’olio di oliva ma anche un esempio di come sia possibile coniugare la ricerca dell’eccellenza nella produzione ad una sempre più necessaria educazione al patrimonio storico e paesaggistico, che ne illustri le motivazioni,
l’impegno, la visione, l’etica, il connubio indissolubile con l’estetica nelle sue forme più profonde.

La mattinata, dedicata ad una tavola rotonda su temi fondamentali dell’attuale scenario olivicolo nazionale ed internazionale, si è aperta all’insegna di un’atmosfera cordiale tra relatori di altissimo livello, che subito si è trasmessa agli ascoltatori; Loriana ha introdotto i lavori ad un pubblico molto numeroso, con l’eleganza degna di una ‘madrina’ e con l’energia e la disciplina che solo la passione per il proprio lavoro può innervare ogni volta di nuova linfa vitale.

Gli interventi che si sono succeduti hanno conquistato l’interesse di tutti e sono stati previsti in un ordine, ad avviso di chi scrive, molto ben congegnato, in modo che il ‘focus’ principale della giornata, la presentazione dei prodotti di bellezza, non fosse mai disgiunto dal contesto tematico di più ampio riferimento, quello dell’eredità tradizionale di cui, soprattutto come italiani - è sempre urgente sottolineare, non dovremmo mai dimenticare di rispettare il debito simbolico di provenienza. Su questo
specifico tema del riconoscimento della nostra responsabilità nei confronti dell’’eredità culturale’ non si dovrebbe mai smettere il dibattito ed ogni approfondimento possibile, non solo tra gli addetti alla promozione e alla commercializzazione, ma anche, più diffusamente, nelle piazze, nelle aule scolastiche, in tutte le agenzie educative, farne quell’esercizio quotidiano che faciliti, con l’impegno necessario, la comprensione del rapporto in cui stanno un prodotto ‘made in’ e ‘place specific’, se veramente unico ed autentico, con la conoscenza complessa, ‘tacita’ e stratificata nella storia, di cui esso può farsi vettore, moltiplicandone valore sociale, economico e intellettuale. E’ quanto ha rilevato, con ampia e compiuta sintesi, Andrea Sisti, agronomo, che ha aperto con un prezioso ‘excursus’ sul tema del paesaggio rurale e in generale dei paesaggi antropizzati, con riferimenti alla storia della Costituzione italiana e internazionale ma, soprattutto, mettendo in rilievo, tra i molti spunti di una riflessione ad ampio spettro, che la comunicazione di un prodotto che abbia valore di bellezza e di sostanza culturale deve essere supportata da una grande consapevolezza di quel valore da parte di tutti i membri della comunità di riferimento: questa presa di coscienza, a sua volta, può essere il risultato, destinato mai a compiersi, di un costante lavoro degli attori di un determinato areale geoantropico, in cui alla strategia ed alla
visione d’insieme si coordinino le azioni di intervento specifiche, ad essa subordinate, affinchè - parafrasando le parole di Sisti-, non si perda ‘il puzzle’ degli elementi che costituiscono, nella loro
delicata associazione, il volto inconfondibile della formazione diacronica e sincronica di un
paesaggio, che “è esso stesso ‘il prodotto’” e il più diretto testimone del benessere del territorio.
La stessa lingua, nella volontà di cooperare per questa conquista, dovranno parlare gli operatori dei diversi settori produttivi, ma anche i portatori d’interesse di comparti non produttivi, o meglio, più segnatamente dediti alla tutela ed alla valorizzazione, in ogni modo partecipi della costruzione di un organico e coerente tessuto di ‘idealità’ materiali ed immateriali e della più rispettosa trasmissione di ogni testimonianza di quella civiltà, in una leggibile evidenza, dall’oliveto al frantoio, da questo al museo, ai borghi, da questi al sistema di accoglienza, in una qualità strutturale dell’insieme. Un contributo, quello del dott. Sisti, di grande stimolo e di respiro panoramico sulla relazione strettissima in cui stanno indissolubilmente paesaggio, produzioni e qualità della vita.

La parola è passata quindi al professor Roberto Barbieri, docente di chimica presso il prestigioso I.T.I.S. Montani di Fermo, che ha presentato l’indirizzo agrario di cui più recentemente si è dotato lo storico istituto industriale fermano, che va così ad implementare una consolidata tradizione negli studi sperimentali di chimica, in direzione di un investimento, che ci auguriamo crescente, nella preparazione di professionisti del comparto rurale, nel trasferimento di competenze tecniche e gestionali e nella progettazione agrotecnica territoriale.

A seguire, nel ritmo intenso della mattinata, l’intervento di Leonardo Seghetti: docente presso l’Istituto tecnico agrario C. Ulpiani di Ascoli Piceno, ha offerto all’uditorio uno spaccato di storia e di emozioni, il ricordo più vivo che mai di tanti studi e di tanti ‘maestri’ che nell’ambito della ricerca chimica, e non solo, dedicata all’olio di oliva e all’olivicoltura hanno rappresentato punti di svolta e tracciato linee teoriche e di indagine diagnostica fondamentali nel lungo percorso della tutela e della valorizzazione del patrimonio elaiologico regionale, nazionale e mondiale. L’esperienza del professor Seghetti, che lo ha visto protagonista di tante conquiste, e la sua parola, sono tutt’uno con la sua forza di organizzazione retorica, in un’unità che trasporta, come fiume in piena, fine sapienza tecnica, profondo senso della relazione, vissuto sanguigno, ironia mordace, visione sociologica, letteratura antica e recente, un viaggio coinvolgente dalla tradizione rapsodica omerica, dove la dea Mnemosyne vigilava rigorosa su ogni singolo piede del ritmo poetico, all’attuale minaccia per la perdita della ‘memoria etica’. Questo della memoria di tanti protagonisti e della dimensione etica del singolo nella comunità ritengo possa essere il nucleo portante del discorso di Seghetti, supportato da numerosissime note e da aneddoti di squisito raccordo tecnico, quel terreno sempre fertile in cui gettare i nuovi semi della riflessione, per le vecchie e per le nuove generazioni. Diversamente, sarà inevitabile incorrere – parafrasando - nella scottante delusione della ‘cultura facile’, del ‘copia e incolla’ a portata di click, dell’ ‘insalatone fast way’, della merendina barattata con la necessità di introiti per l’istruzione, dei libri abbandonati per la difficoltà dello sforzo di conservarli, della deriva edonica, che confonde il piacere fugace con la gioia profonda e che decide, facendo mercato dell’ingenuità sempre assetata di facilitazioni, il prezzo di un caffè come di un litro di olio di oliva definito extravergine, perfetto per ‘target’ ritenuti popolari, perché fanno ‘massa’, dis-informati perché non ‘formati’, distratti da spese in cui più evidente possa essere la vanità, stomaci forti, data la chimica del contenuto in bottiglia, palati che hanno perso la memoria del sapore, perché esso costa la fatica del ‘sapere’, la fragranza della natura, il senso delle cose e della misura. Piacevole davvero allora ascoltare la rassegna di Leonardo, perché la sua voce e i suoi occhi sono quelli ‘bioattivi’ di chi i libri li ha letti e riletti, di chi ha ascoltato, di chi ha assaggiato e de-gustato, di chi ha saputo soffermarsi, e di chi con tutta evidenza ancora lo fa, con qualche rammarico per i paradossi da sempre presenti ma con lo stesso entusiasmo.

Forza della presenza; al professor Roberto Miccinilli, medico specialista in Scienze dell’alimentazione e fitoterapia, Università della Tuscia di Viterbo, è stata affidata la relazione successiva sulla pianta dell’olivo, una rassegna dettagliata delle principali caratteristiche ambientali, fisiche e chimiche sia della pianta sia del prodotto olio, corredata di numerosi riferimenti agli usi medici, fitoterapici e terapeutici in generale, con particolari storici, geografici ed altri tratti dalla tradizione epistemologica di settore. Nella relazione del professore sull’olivo, l’indagine scientifica si fonde, nonostante i necessari e preziosi tecnicismi dell’analisi, con l’eco del mito che risuona ancora dal discorso precedente, l’una e l’altro facendo affiorare tutte le risorse di una perfetta sintesi umanistica. In particolare, il racconto delle esperienze e delle ricerche sul monte Atos, in Grecia, che il professor Miccinilli realizza ancora, l’impresa di investire tempo e
idee nel voler restituire alla loro originaria armonia campi di olivi lasciati all’abbandono e confusi tra boschi inselvatichiti, risultato dei normali processi di riappropriazione della ‘natura naturans’, queste come altre testimonianze di ‘dedizione’ possono essere considerati un dono del ripristino della memoria, la restituzione della fiducia che Atena ha concesso all’umanità, perché potesse giovarsi di un albero eterno, che non muore mai, che produce frutti generosi di gusto, bellezza e salute. Il messaggio salvifico affidato all’olivo e all’olio di oliva si completa di ulteriori significati nel successivo e ultimo intervento della mattinata, quello di Gianluca Ranno, ‘food marketing innovation project leader’ ed esperto consulente di settore, che, con un cambio di registro oratorio e peculiare stile espressivo, ha illustrato con brio e freschezza l’avventura recente che lo ha avvicinato al mondo dell’olio extravergine e alla linea dei prodotti di Loriana, per i quali ha curato comunicazione e progettazione d’immagine coordinata. Alle parole chiave della brillante presentazione di Gianluca, fra tutte ‘coraggio’ e ‘comunicazione’, si legano aspetti tra i più
importanti ed elevati della storia del progresso umano: il coraggio come ‘pensiero del cuore’, oggi lontano dall’essere apprezzato e praticato, anche perché offuscato dall’efficientismo funzionale, ha anch’esso bisogno di confrontarsi con la voce della tradizione, perchè solo attraverso il rispetto della ‘memoria comunicativa storica’ sarà possibile interpretare un nuovo modo di relazionarsi con l’uomo  ontemporaneo, con le sue emozioni, con le sue sensazioni, con il suo vissuto, carico da un lato di passato e dall’altro sempre ed inevitabilmente proteso verso un destino dinamico di ‘eredità’, di quella “continuità nella discontinuità” evidenziata in diversi contributi da Massimo Recalcati, di mancanza, di rivoluzione, di evoluzione, di cambiamento, di trasformazione, di ‘cultura’. Una comunicazione quindi può definirsi ‘coraggiosa’ se in essa emerge fortemente la necessità della condivisione di un ‘munus’ – cum munus agere - di un ‘dovere’ per l’Altro di cui farsi interprete (‘interpretum fungi munere’, in Cicerone), ma anche di un ‘prodotto’, un lavoro, un’opera, come degno dei lavoratori e dei produttori di tutti i tempi; inoltre, un ‘dono’, che è nello stesso tempo, secondo un’altra linea del significato del termine latino, ‘difesa’, ‘rinforzo’ (‘munera Liberi’, in Orazio, è il dono di Bacco, il vino, in Ovidio quello di Cerere è il frumento). Se dunque la comunicazione esiste nel segno indelebile ed etimologico di un dovere da assolvere nella comunità, del dono e della difesa ‘im-munitaria’, della risorsa che protegge, di una ‘muni-cipalità’ (‘munus capere’), di necessità essa consiste anche di paesaggio nel suo insieme organico, di comportamento, della relazione in tutta la sua complessità, non solo degli individui tra loro ma anche tra questi e gli elementi materiali ed immateriali del ‘tessuto reale’, viaggiando ‘ipso facto’ sempre sulla strada dell’etica. Lo sapevano bene le popolazioni italiche che già in età protostorica e arcaica ‘comunicavano’ la loro diversità, talora irriducibile, attraverso lo scambio dei doni e dellerisorse patrimoniali dei rispettivi ‘ghènos’, risolvendo così a seconda dei casi il rapporto di ostilità in uno di ospitalità e viceversa. ‘Hostis’ e ‘hospes’, il potenziale nemico e ad un tempo il potenziale ospite, attingevano audacemente, ciascuno con la propria ‘chìlix’, dallo stesso cratere la mescola del vino impuro, invocando e provocando la potenza ambigua di Dioniso, che corre sempre sul filo della follia. Oggi, in pieno regime tecnologico, nell’era della comunicazione bulimica, del tutto pieno e ininterrottamente connesso, dei ‘mega’ e dei ‘giga’, comunicare significa spesso - in antitesi al modello radicale - offendere, recriminare, polemizzare, accusare, replicare, duplicare, moltiplicare, semplificare, giudicare, annullare, in una girandola ininterrotta di veri e propri spettacoli pubblici, ’gladiatorum munera’, in cui la parola ‘munus’ perde il suo valore di scambio, assumendo quello più nocivo e sterile, dimenticando la raccomandazione di Cicerone: ‘iustitiae primum munus est ut ne cui quis noceat’. Novello Sisifo, l’’homo media-digitalis’, in uno sforzo nichilistico mai visto prima, vive senza sosta nel ‘tempo del collegamento’ come fosse l’unico possibile, il più produttivo, il più utile, inesorabilmente sospinto lontano dal ‘dòron’, dal dono, e dalla ricchezza generosa e munifica dell’incontro delle facce, quelle vere, dei profumi, dei colori, degli odori, delle sensazioni, della piena umanità. Il vaso di Pandora, nonostante le raccomandazioni di Prometeo, è stato scoperchiato. La ‘bellezza’ ed il ‘coraggio’ parlano linguaggi estranei a quelli dei tempi in cui agli uomini era concesso di partecipare alla mensa degli dei.
Tuttavia, oggi nella realtà come nel mito, molta ‘speranza’ può illuminare ancora il cammino dell’uomo; se solo ci ricordassimo ogni giorno che, da sempre, in tempi più drammaticamente automatizzati e meccanizzati, la tecnologia più avanzata sta in quel tanto di umanesimo che resiste alle periferie dei centri di potere (‘principum munus est resistere’, Cicerone). Le lingue antiche ci possono dare una mano, ma la lotta contro la pulsione istintiva di Epimeteo è sempre più ardua; esse ci aiuterebbero a comprendere cosa possiamo intendere per bellezza, armonia, bene, visione, saggezza, sapere, meraviglia, etica, estetica, felicità persino, ma occorrono i libri, ci vuole tempo e pazienza, perché “la cultura è anche una questione di pazienza”.

Dopo la pausa pranzo, la giornata, coordinata da un’infaticabile Loriana in stretta collaborazione con la figlia Luisa Fioravanti - performer e insegnante di yoga, testimonial nelle immagini di body art rappresentate sul packaging dei singoli prodotti della collezione-, riprende altrettanto intensamente con una serie di workshop tematici ed esperienziali più miratamente dedicati all’ambito della cosmesi, della fitoterapica, dei componenti e degli estratti vegetali utilizzati negli integratori, dell’uso alimentare e curativo delle erbe spontanee e aromatiche. Prendono la parola, nell’ordine, Marco Sarandrea, fitopreparatore ed erborista, titolare della ditta Sarandrea Marco & Co., Francesco Tommaselli, ricercatore ed esperto di preparazioni gastronomiche ed usi in cucina delle erbe, infine Scheila Lattaro, chimica e cosmetologa, titolare della Società Herba Sapiens s.r.l., laboratorio di fitocosmesi artigianale che ha realizzato i prodotti di bellezza della linea ‘L’Oro di Loriana’. La dottoressa Lattaro ha descritto nel dettaglio ed in modo molto appassionato la tecnica e la scienza erboristica classica che stanno alla base della realizzazione dei singoli prodotti della linea, in sintonia con l’applicazione delle più recenti tecnologie che consentono di esaltare al massimo i fitoelementi presenti nelle composizioni, in rapporto alla loro specifica biodisponibilità.
Ha quindi illustrato compiutamente come nei prodotti cosmetici firmati ‘L’Oro di Loriana’ l’olio extravergine e le olive non danno solo i principi attivi ma diventano anche fondamentali per l’estrazione di altri fitoelementi, oleoliti, permettendo sia la loro concentrazione migliore sial’assorbimento ideale da parte del corpo. La naturalità, l’agricoltura biologica, la più rigorosa lavorazione artigianale e la primissima qualità certificata degli elementi ‘made in Italy’ garantiscono l’integrità ed il più elevato valore nutriente ed antiossidante in tutti i prodotti, autentico ‘munus’ per il corpo e la pelle nel contrastare gli effetti degli agenti esterni e di stili di vita spesso disordinati. Gli interventi di Marco Sarandrea e di Francesco Tommaselli si sono perfettamente integrati, con una presentazione di alcuni dei possibili utilizzi curativi ed alimentari delle erbe officinali, in rapporto alle loro singole caratteristiche botaniche, ai benefici e alle virtù
salutari. Sarandrea, maestro nella produzione liquoristica da piante della flora mediterranea, presenta subito agli uditori un cespuglio di piante e di erbe fiorite che ha raccolto quel giorno stesso, poco prima, salendo verso la tenuta dell’agriturismo e, in un abbraccio che le contiene tutte e che definirei affettuoso, ne porta ai presenti alcuni elementi, invitando al tatto, a sentire i profumi, ad osservare attentamente le infiorescenze, i colori, le forme, l’inaspettata bellezza. Sono parte della vegetazione che quotidianamente potremmo notare nelle nostre campagne, sulle scarpate ai bordi delle strade, oppure che arrivano sulle nostre mense con un aspetto che ci fa trascurare e spesso dimenticare la loro provenienza, la loro vera natura e soprattutto la loro ricchezza in termini di proprietà medicamentose, naturalistiche, come testimoniano la storia dell’erboristeria, in età antica e nella pratica monastica, e la più recente civiltà contadina. Stupisce venire a conoscenza del fatto che molto spesso i più analitici approcci scientifici non fanno che confermare a livello terapeutico e medico quanto nell’antichità era già stato intuito, verificato
empiricamente e spiegato, magari attraverso la mitologia o lo studio delle relazioni tra i fenomeni fisici, l’astronomia e l’’epos’. Immersi come siamo nel rumore della quotidianità – sottolinea Tommaselli – divorando sempre più frequentemente pasti veloci, rigorosamente e molto dispendiosamente ‘bio’, non di rado davanti a scoppiettanti programmi televisivi di tutorial e competizioni in cucina, non ci accorgiamo di quello che potremmo mettere nel nostro piatto con un semplice gesto, raccogliendo le numerose erbe e fiori eduli che noi italiani abbiamo a disposizione in ogni stagione dell’anno, perché spontaneamente donate da una ‘biodiversità’ unica al mondo, da una natura rigogliosa che tutti ci invidiano, ma a cui noi stessi dovremmo essere più riconoscenti, per non dissipare un patrimonio di gusto, di meraviglia per tutti i sensi, di sapere, di naturalità, di salute. Parafrasando, ‘…l’ortica non è solo urticante…’, come il caffè non è solo tonificante e la radice di zenzero non è solo un toccasana; la natura a cui apparteniamo come esseri umani ci invita alla conoscenza, alla misura, alla costruzione lenta di una consapevolezza, di una convivenza ‘eco-logica’, ad ‘abbracciare’ ciascuno il nostro fascio di fiori ed erbe, come è abituato a fare Marco, che ci stimola alle numerose associazioni possibili tra noi e gli elementi vegetali, metafore del nostro umile appartenere all’’humus’, simboli della sacra e misteriosa divinità della terra. Ci sono piante – illustra Marco – i cui semi e pollini viaggiano nell’aria permezzo del vento, basta agitarle un po’, sono amanti del vento, ‘anemofile’: ‘ànemos’ è il soffio del vento – precisa-, ‘spiritus’ in latino, e a noi umili umanisti che navighiamo immersi nelle figure del linguaggio, dei processi logoanalitici e metabletici, non può sfuggire tutta la potenza ‘animica’ della parola, la sua carica energetica, non può sfuggire un moto di compassione, di ‘pietas’ per l’’anima del mondo’, a cui abbiamo il privilegio di appartenere, quel ‘fare anima’ che James Hillman ha costantemente approfondito nei suoi scritti di psicologia, indicandone con forza la necessaria urgenza. Lo sguardo rispettoso che avremo riservato all’’anima mundi’ sarà restituito;con la stessa percezione meravigliata e attenta delle cose del mondo - ‘àisthesis’ - con cui avremo concepito la nostra ‘estetica’ riceveremo in cambio meraviglie, e così, con lo stesso ‘èthos’, vale a
dire con la stessa abitudine e consuetudine con cui avremo fatto in modo che la nostra testimonianza di vita fosse prova della parola e del pensiero, avremo del nostro destino una scrittura coerente. Il comportamento, l’’habitus’, il carattere, sono il destino per ciascun uomo: ‘èthos antròpo dàimon’, Eraclito, VI secolo a.C. Scrivere ciascuno in modo unico, irripetibile ed insostituibile un nuovo capitolo nell’eredità culturale dell’umanità, questo è sempre nelle nostre possibilità, se un modo diverso di ‘sentire il mondo’ sarà reso possibile dall’’educazione al sentimento’ di questa eredità, di questa mancanza. Nella misura classica della bellezza della cultura greca, sintetizzata nella nota formula della ‘calocagathìa’, dell’unità compiuta del bello e del buono, di ciò che reputiamo ‘calòn cài agathòn’, è implicito anche un altro indispensabile elemento, rappresentato da ciò che è ‘chrestòn’, degnamente utile, ciò che è proprio dell’”opera buona” fatta ‘come si deve’, eticamente incarnata, che Sofocle descrive nel Filottète (409 a. C.) e che Senofonte riconduce a ciò che è ‘onesto’ e ‘perbene’ nel suo Economico; ‘nobile’ quindi non
solo in quanto efficace, ma perché degno della sua utilità, giovevole nella sua dignità, ottimale nella sua equilibrata relazione con il cosmo, nell’intimo rapporto, che mai va perso, tra il paesaggio naturale e quello dell’anima, scambievolmente, reciprocamente. Educati a riconoscere quel soffio di vento che impollina e che genera vita, quell’’ànemos’’ che Loriana ha saputo raccogliere in un nuovo scrigno e confezionare ‘cosmeticamente’ in un progetto possibile, riempiendo il ‘vaso di Pandolea’ con l’Oro di una rinnovata speranza.

di Cristiano Berilli