Cultura 26/10/2018

L'olio d'oliva nelle quotidianità delle genti mediterranee, è la Bibbia a ricordarcelo

L'olio d'oliva nelle quotidianità delle genti mediterranee, è la Bibbia a ricordarcelo

Nel viaggio iniziato con Pandolea alla scoperta delle tracce dell'olio d'oliva nella Sacra Scrittura, scopriamo come l'olio d'oliva sia fertile e fecondo, aggettivi affiancati a questo grasso nell'antichità, in contrapposizione con altri: "più untuosa del burro" è la bocca del malvagio. Le immagini e le evocazioni dell'olio di oliva nella Bibbia


L’olivo è immagine di Israele e simboleggia la bellezza e la fecondità. Geremia profetizza la distruzione del popolo di Israele descritto come olivo verdeggiante, bello e ricco di frutti che Dio aveva piantato e che ora è costretto a distruggere: «Olivo verdeggiante, bello, dagli splendidi frutti, era il nome con cui il Signore ti aveva chiamato. Con grande strepito ha dato fuoco alle sue foglie, sono bruciati i suoi rami. Il Signore degli eserciti, che ti ha piantato, ha pronunciato contro di te una minaccia (ra‘ah) a motivo del male (ra‘ah) della casa di Israele e della casa di Giuda» (Ger 11,16).

L’immagine dell’olivo verdeggiante è presente anche nel libro del Siracide (180 a.C.). Esso rappresenta lo splendore del sommo sacerdote Simone quando svolge le funzioni sacre: si susseguono immagini di segni cosmici, liturgici e vegetali. L’olivo conclude la serie con la sua fecondità: «Come olivo verdeggiante (zait ra‘anan), pieno di frutti, come olivo (‘es³ šemen) che gonfia i suoi rami» (Sir 50,10 ebraico). «Come olivo che porta frutti, come cipresso che si innalza tra le nubi» (Sir 50,10 greco). L’olivo è anche immagine di splendore e vitalità della sapienza, in un contesto che richiama il paradiso terrestre indicando luoghi dove crescevano le piante: «Sono cresciuta come un cedro del Libano, come un cipresso sui monti dell’Ermon. Sono cresciuta come una palma in Engaddi, e come le piante di rose di Gerico, come olivo maestoso (o bello a vedersi, euprepes) nella pianura, sono cresciuta come un platano» (Sir 24,13-14). Il riferimento è alla zona costiera a sud-ovest del paese, nota come terra di uliveti e di depositi di olio, segno della benedizione divina.

Il salmo 128 esalta l’uomo che rispetta il Signore, perché procede sul retto cammino, i cui figli sono paragonati a virgulti d’olivo: «Beato l’uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie. Vivrai del lavoro delle tue mani, sarai felice e godrai di ogni bene. La tua sposa come vite feconda (lett. fruttuosa) nell’intimità della tua casa. I tuoi figli come virgulti d’olivo intorno alla tua mensa». Analogamente prospera il giusto come olivo verde: «Io invece, come olivo verde nella casa di Dio. Ho confidato nella fedeltà di Dio, ora e sempre» (Sal 52,10).

Invece l’empio che confida nei suoi beni sarà sradicato dalla terra dei vivi (Sal 52,2-9) e la sua distruzione nel libro di Giobbe è rappresentata con l’immagine della vite spogliata dell’uva ancora acerba e dell’olivo che perde la sua infiorescenza: «Ancora immaturo avvizzirà e i suoi rami non rinverdiranno; sarà spogliato come vigna dei suoi acini e getterà come olivo la sua fioritura» (Gb 15,33).

Il profeta Osea descrive l’esperienza di Dio con un’immagine che esalta la bellezza dell’olivo, la fragranza di gigli e cedri, la freschezza della rugiada: «Sarò come rugiada per Israele: fiorirà come un giglio, getterà radici come (un albero del) il Libano, si spanderanno i suoi germogli, sarà come l’olivo il suo splendore (kazzayit hôdô),e il suo profumo come il (= albero del) Libano» (Os 14,5-7).

L’olio e la sua terminologia

In ebraico due sono le parole per indicare l’olio: šemen e yizhar. Il primo ricorre 87 volte nella Bibbia; il secondo 24 volte e indica l’olio d’oliva fresco o nuovo, appena spremuto nel frantoio. Šemen è l’olio o il grasso, unguento e profumo e l’aggettivo šamen, šamenah vuol dire fertile, grasso, fecondo, ubertoso, riferito sia alla terra che alle persone. Per il salmista l’olio profumato, versato sul capo, scende lentamente e si diffonde su tutto il corpo e sul vestito: «È come olio prezioso versato sul capo che scende sulla barba, la barba di Aronne, che scende sull’orlo della sua veste» (Sal 132,2). Però talvolta si sottolinea anche il suo aspetto viscido, quindi negativo: «Viscide come olio» sono le parole della «straniera» (Prov 5,3); «più untuosa del burro» è la bocca del malvagio, «più fluide dell’olio le sue parole» (Sal 55,22). Così, per descrivere la sensazione di una maledizione che avvolge e penetra in maniera persistente, il salmista minaccia: «Ha indossato la maledizione come un mantello, è penetrata come acqua nel suo intimo e come olio nelle sue ossa» (Sal 109,18).

Uso quotidiano dell’olio

L’olio faceva parte dell’uso quotidiano, rientrava tra le provviste ritenute necessarie, come la raccolta di vino, frutta e olio (Ger 40,10), o l’elenco di grano, orzo, olio e miele (Ger 41,8). Era adoperato per le lampade e, in cucina, come cibo. Merce di scambio con i paesi vicini (cfr. Ez 27,17; 1Re 5,25-26), era ritenuto dono prezioso (Is 57,9; Os 12,2); se ne riconosceva il potere terapeutico (Is 1,6; cfr. Lc 10,34). Nei suoi composti diventava un profumo (šemen tôb oppure šemen roqeaḥ), come i profumi inebrianti del Cantico (cfr. Ct 1,3; 4,10), unguento per il capo e il corpo (Ez 16,9; Am 6,6;
Sal 141,5; Est 2,1226). Al contrario, in tempo di lutto ci si asteneva dall’ungersi con l’olio (Dt 28,40 e 2Sam 12,20; 14,2; Mi 6,15). Alla povera vedova di Sarepta non era rimasto che «un po’ di olio per profumarsi» (2Re 4,2). Anche gli scudi venivano unti con olio (cfr. 1Sam 1,21; Is 21,5).

Uso sacro dell’olio

Uso liturgico: Esodo 27,20 e Levitico 24,2 (cfr. 1Re 5,25) attestano l’uso di «olio d’oliva puro» (šemen zayit zak) per il candelabro e la lampada perennemente accesa nel santuario (cfr. Es 35,8; Nm 4,16). Probabilmente l’olio puro è ottenuto per frantumazione o sgocciolatura delle olive prima della torchiatura. Ezechiele stabilisce una «norma per l’olio» che veniva misurata in bat (45 litri, Ez 45,14) e menziona l’olio e l’incenso tra le offerte da presentare al Signore, che Israele e Giuda destinano invece agli altri dei. Il contesto sembra ricordare una specie di ritorno alla costruzione del vitello d’oro (cfr. Es 32): «Con i tuoi splendidi gioielli d’oro e d’argento, che io ti avevo dato, facesti immagini umane e te ne servisti per peccare; poi le adornasti con vesti ricamate [per le statue vestite, cfr. Ger 10,9] e davanti a quelle immagini presentasti il mio olio e il mio incenso. Il pane che io ti avevo dato, il fior di farina [riservata in particolare al culto], l’olio e il miele di cui ti nutrivo ponesti davanti ad esse come offerta di soave odore» (Ez 16,17-19). «Per loro (uomini e dèi venuti da lontano) ti sei lavata, ti sei dipinta gli occhi, ti sei adornata dei tuoi vestiti preziosi, ti sei stesa su un magnifico divano davanti a una tavola imbandita, sulla quale hai posto il mio incenso e il mio olio» (Ez 23,40-41).

Anche questo secondo testo contiene un’allusione cultuale. Incenso e olio, doni riservati al Signore, sono offerti agli dèi pagani descritti come amanti (cfr. Os 2,8). L’uso sacro dell’olio è attestato in molteplici contesti e applicato in diverse occasioni. Era l’«olio dell’unzione» (šemen hammišḥah) per consacrare le persone, ma anche oggetti e suppellettili. In primo luogo l’olio sacro veniva usato per consacrare i re. Giudici (9,8-9) richiamava il compito prezioso e le qualità sacre dell’olivo e dell’olio con cui si onorano dèi e re. Lo usò Samuele per consacrare re Saul. Era custodito in un’ampolla (1Sam 10,1) o in un corno (2Sam 16,1-13; 1Re 1,39): «Samuele prese l’ampolla dell’olio e gliela versò sul capo [a Saul], poi lo baciò dicendo: ‘Ecco, il Signore ti ha unto/consacrato sopra Israele suo popolo’» (1Sam 10,1). Lo stesso avviene per Davide e Salomone (2Sam 16,1-12-13, cfr. 1Re 1,39; Sal 89,21). Lo spirito del Signore è effetto e dono dell’unzione che conferisce al re le qualità per ben governare, concede forza e vittoria (cfr. Is 11,2; 61,1; Sal 72,1-5). L’azione del re avrà perciò un carattere spirituale o carismatico: sarà il Messia (Māšiaḥ) del Signore (Sal 2,2; 45,8; 1Sam 24,7.11; 2Sam 1,14.16; 19,22, ecc.), ossia l’Unto, il Consacrato, o Cristo, e come tale sarà inviolabile (1Sam 26,9; 2Sam 1,14). A lui lo stesso Signore «prepara una lampada» (Sal 132,17), ma dovrà governare in nome di Dio ed essere a lui sottomesso e fedele (v.12). I profeti lo ricorderanno ai re, contestandoli pubblicamente, anche a rischio della vita, in caso di infedeltà al compito legato alla loro «unzione». La stessa unzione sarà riservata al «sommo sacerdote» (cfr. Es 29,7.29; Lv 4,3-5-16; 8,12), quindi estesa a tutti i sacerdoti (Es 30,30; 28,41; 40,15: Aronne e i suoi figli; Lev 7,35s; Nm 3,3). È dunque l’olio «santo» (qadôš o haqqôdeš Nm 35,25; Sal 89,21) che consacrava re e sacerdoti con una funzione da parte della divinità. Lo ricorda il Siracide (45,15): «Mosè riempì la sua mano e lo (Aronne) unse con olio santo».

L’olio è un elemento determinante anche nei riti purificatori e consacratori. Infatti il sacerdote purificava il lebbroso con il sangue di un sacrificio espiatorio e, dopo averlo unto con l’olio, veniva riammesso nella comunità: «Il sacerdote prenderà sangue del sacrificio di riparazione e bagnerà il lobo dell’orecchio destro di colui che si purifica, il pollice della mano destra e l’alluce del piede destro. Poi, preso l’olio dal log (= vasetto di 6 dl) lo verserà sulla palma della sua mano sinistra; intingerà il dito della destra nell’olio che ha nella sinistra; con il dito spruzzerà sette volte quell’olio davanti al Signore. E del rimanente olio che tiene nella palma della mano, il sacerdote bagnerà il lobo dell’orecchio destro di colui che si purifica, il pollice della destra e l’alluce del piede destro, sopra il sangue del sacrificio di riparazione. Il resto dell’olio che ha nella palma, il sacerdote lo verserà sul capo di colui che si purifica; così farà per lui il rito espiatorio davanti al Signore» (Lev 14,14-18).

L’unzione con sangue e olio ricorre anche nella consacrazione sacerdotale (Lev 8,22-30): il sangue è applicato nelle stesse parti, olio e sangue sono spruzzati sulle vesti. Le applicazioni alle estremità del
corpo rappresentano la totalità; la stessa funzione esercitano i due corni dell’altare per tutto l’altare (8,15). L’olio usato per le consacrazioni e il sangue, cioè la vita, che appartiene solo a Dio (cfr. Gn 9,4; Lev 1,5), indicano che il candidato ridiventa proprietà di Dio? Di fatto, con questo rito egli è riammesso nella comunità santa. Forse l’olio veniva utilizzato perché era un alimento fondamentale, corroborante, e anche per le sue qualità igienico-sanitarie e terapeutiche.

Infine, va ricordato anche l’uso terapeutico dell’olio, ben conosciuto nell’antichità. La corteccia dell’olivo serviva per uso medicinale, come cicatrizzante; si riteneva che le foglie, oltre a essere intrecciate per farne materiale da scrittura, avessero proprietà astringenti e febbrifughe. L’olio era usato come lassativo ed era prescritto anche come antidoto per il veleno e come vermifugo. Il profeta Isaia descrive la diffusa corruzione del popolo intero nell’immagine di un corpo affetto da una ferite trascurate non curate che lo riduce a una piaga diffusa. L’olio è l’elemento curativo principale: «La testa, tutta è malata, ogni cuore langue. Dalla pianta dei piedi alla testa non c’è in esso parte illesa, ma ferite e lividure e piaghe aperte: non ripulite né fasciate, né curate con olio» (Is 1,6). Questo uso è attestato anche nella parabola del buon samaritano che «versa sulle ferite olio e vino» (Lc 10,34). Forse è proprio grazie a tale proprietà terapeutica che si ungevano i malati, come riferisce la lettera di Giacomo già agli albori del cristianesimo: «Chi è malato chiami a sé i presbiteri della Chiesa preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato» (Gc 5,14-15). Non si tratta di un gesto magico, ma di un segno della premura di Dio verso la persona nella sua totalità. È un’unzione nel nome del Signore, un atto di fede che salva tutto l’uomo. Gesù predicava la buona novella curando malattie e infermità del popolo (Mt 4,23; 9,35; 10, 1-6.8). Quella stessa buona novella è affidata alla Chiesa che continua a utilizzare l’olio per ungere i suoi fedeli, ma anche per i luoghi e gli oggetti sacri.

Nel libro dell’Esodo si dice che Mosè, oltre a costruire l’«altare dei profumi», preparò «l’olio dell’unzione sacra e il profumo aromatico da bruciare puro, secondo l’arte del profumiere» (Es 37,29).
L’olio era l’elemento basilare per la preparazione dei profumi o degli unguenti sacri con cui venivano consacrate alcune suppellettili. Il loro uso era esclusivamente riservato al santuario e ogni destinazione profana era severamente proibita: «Il Signore parlò a Mosè: procurati balsami pregiati: mirra vergine per il peso di cinquecento sicli (ogni siclo equivale a 11,4 gr.), cinnamomo odorifero, la metà (= 250), canna odorifera (250), cassia (500) e olio d’oliva, un hin (= 6 dl). Ne farai l’olio per
l’unzione sacra, un unguento composto secondo l’arte del profumiere: sarà l’olio per la unzione sacra. Con esso ungerai la tenda del convegno, l’arca della Testimonianza, la tavola e i suoi accessori, il candelabro, l’altare del profumi … Consacrerai queste cose le quali diventeranno santissime: quanto le toccherà sarà santo» (Es 30,22-29. cfr. vv. 34-38).

Un rito analogo lo aveva compiuto Giacobbe a Luz-Betel, al risveglio dopo un sogno rivelatore della presenza di Dio in quel luogo: «Ebbe timore e disse: ‘Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio (bêt ’El), questa è la porta del cielo’. Alla mattina presto Giacobbe si alzò, prese la pietra che si era posta come guanciale, la eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità» (Gen 28,17-18, cfr. 35,14). La pietra è segno della presenza divina, il luogo diventa santuario che viene unto con olio come atto di culto. Queste pratiche erano comuni nella religione cananea e in tutto l’ambiente semitico. In seguito le stele condannate dai profeti e abolite dalla legge dovranno essere frantumate (cf. Es 23,24). Si continuerà invece a offrire pani e focacce intrisi d’olio (Lv 2,1-3-4-8); 14,10; Es 29,40) come primizie, in segno di ringraziamento per i frutti della terra. Probabilmente erano riti analoghi ai sacrifici di olio del mondo fenicio, comuni a tutte le culture antiche: «Con il primo agnello (olocausto quotidiano) offrirai un decimo di efa (4,50 litri circa) impastata con un quarto di hin (circa 1,87 litri) di olio vergine e una libazione di un quarto di hin di vino» (Es 29,40).

di Domenico Nasini

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