Cultura
Tre ritratti antichi, tre
La principessa omerica dai capelli neri raccolti in un complicato giro di trecce; la figura femminile dalla criniera a riccioli fitti come maglie d’armatura; e il discorrere fitto di domande e risposte, tra i silenzi che prendono forza e armonia
02 luglio 2011 | Nicola Dal Falco
Ifigenia in Aulide
L’abito di una principessa omerica, di una kore che appare sulla spiaggia, circondata da un esercito in ansia. Sul petto a mo’ di presagio un gorgo che si spalanca, l’occhio di mare che la consegnerà al fato, al dio delle partenze. La veste d’argento tintinna ad ogni passo, accecando i presenti, trasformando la ragazza in una mandorla di luce. I capelli sono neri, raccolti in alto in un complicato giro di trecce. Tutto anticipa lo scioglimento violento del nodo, il colpo che spezzerà l’incanto di un cielo senza vento.
Diana
Si nasconde tra i bambù, nell’esotica foresta ai margini del parco. In quella penombra aguzza, dove la luce bagna d’azzurro la terra. Dove sembra ristagni l’ora dolce del bagno, della spugna. Un fruscio d’ali e sottane. Puoi scorgervi una gamba, la nuca tonda come un acino, al massimo l’avorio del collo. Ma sono forme che cambiano, metamorfosi d’animali. Una criniera a riccioli fitti come maglie d’armatura. A volte pare vicinissima, quasi si potesse assistere al parto di una piuma.
Eco
Passarono sei notti a parlare: un discorrere fitto di domande e di risposte, accarezzando il vuoto che li circondava. Era come se scegliessero il terreno, studiando i venti, contando i passi alle stanze. Per sei notti non si toccarono che con lo sguardo, nel vigore delle parole, nell’abiezione di un orecchio senza fondo. Restava sempre un margine, una distanza inviolata, corteggiata, che in certi momenti assumeva addirittura un aspetto solenne. Anche i silenzi presero forza e armonia, perché è alla voce che tutto ritorna. Perché, fuori d’ogni inganno, fioriva il tatto sulle labbra come un bacio.

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