Legislazione

Tariffe professionali abrogate. E ora che fare?

Ogni riferimento ai tariffari è venuto a cadere, un fatto che ha portato a una evoluzione nelle modalità di gestione del rapporto col cliente. Problemi anche sul fronte giurisdizionale

05 maggio 2012 | Roberto Accossu

Il 13 agosto 2011 rappresenta una data di grande importanza per tutti i liberi professionisti perché sancisce l’inizio di un percorso che nel giro di un anno porterà ad una completa trasformazione del loro modo di operare, soprattutto nelle modalità di gestire il rapporto con il cliente e di determinare l’onorario.

Tale affermazione è suffragata dai recenti interventi legislativi che, a partire dal D.L. n° 138, del 13 agosto 2011, art. 3 comma 5 lettere a, b, c, d, e, f, g, convertito in legge n° 148 il 14 settembre 2011, hanno determinato una costante evoluzione delle modalità di calcolo degli onorari.

Si è passati infatti dall’applicazione delle tariffe, inizialmente prevista dall’art. 3 comma 5 lettera d, del D.L.138/2011, alla loro cancellazione con il D.L n. 1 del 24 gennaio 2012, il cosiddetto Decreto Cresci Italia o Decreto Liberalizzazioni, convertito, con modificazioni, in legge n. 27 del 24 marzo 2012.

In particolare è l’art. 9 del D.L. n. 1 del 24 gennaio 2012 (“Disposizioni sulle professioni regolamentate”) che sancisce la fine delle tariffe.

Infatti, tale articola recita al comma 1: “ Sono abrogate le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico” ed al comma 5: “ sono abrogate le disposizioni vigenti che, per la determinazione del compenso del professionista, rinviano alle tariffe di cui al comma 1”.

Questo implica che dall’entrata in vigore di tale disposizione tutti i liberi professionisti non possono più utilizzare in modo diretto e/o indiretto i propri tariffari di riferimento, fino ad allora utilizzati, nei rapporti con i clienti privati e pubblici.

Le conseguenze dell’abrogazione delle tariffe nei rapporti tra i liberi professionisti ed i loro clienti, siano essi o pubblici o privati, sono tali da imporre una completa rimodulazione della gestione dell’attività libero professionale.

Una così repentina abrogazione delle tariffe ha avuto inoltre un forte impatto anche sugli organi giurisdizionali, tanto da costringere il legislatore ad intervenire in sede di conversione in legge del decreto, per evitare pericolosi vuoti normativi suscettibili di paralizzare il sistema giudiziario.

Il comma 2 dell’art. 9 del D.L. 1/2012 nel testo risultante dopo la conversione in legge, dispone che, ferma restando l’abrogazione delle tariffe di cui al comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante da adottarsi nel termine di 120 giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione. Entro lo stesso termine – prosegue l’art. 9 comma 2 - con decreto del Ministro della Giustizia, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, sono anche stabiliti i parametri per oneri e contribuzioni alle casse professionali e agli archivi precedentemente basati sulle tariffe.

Ma nella versione originaria, prima della conversione in legge, l’art. 9 ha generato tra i vari organi giurisdizionali una eterogeneità di comportamenti, atteso che esso non specificava entro quale termine sarebbero stati fissati i richiamati parametri né che – come successivamente aggiunto dalla legge di conversione al comma 3 – le tariffe sarebbero rimaste in vigore limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali fino ai centoventi giorni successivi all’entrata in vigore della legge di conversione (24.03.2012).

Pertanto, nel caos generato dall’abrogazione tout court delle tariffe, disposta originariamente nel testo del D.L. 1/2012, alcuni tribunali, vista la mancanza dei parametri, hanno continuato ad utilizzare le tariffe non più in vigore, come il Tribunale di Roma, altri, come il Tribunale di Cosenza, hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale della norma che non consentiva al Giudice di liquidare le spese, altri ancora hanno rinviato la decisione sulla liquidazione dei compensi ad una data successiva in attesa di un quadro normativo più chiaro.

Di fatto il legislatore, pur abolendo le tariffe nei commi 1 e 5 dell’art. 9 del D.L. n° 1/2012, le ha poi “resuscitate” per gli organi giurisdizionali nel comma 3 del medesimo articolo.

Analizzando meglio l’aspetto semantico delle parole “tariffa” e ”parametri” si osserva come entrambe rimandano a unità di riferimento:

il Devoto – Oli definisce la tariffa:

come “gruppo di prezzi di determinati beni o servizi non suscettibili di variazione di mercato, ma fissati una volta per tutte (salvo periodiche revisioni) da pubbliche imprese in condizioni di monopolio da produttori vincolati da particolari accordi, da un Ordine professionale”;

il Sabatini - Coletti definisce il parametro:

- in senso estensivo: grandezza nota cui si fa ricorso per avere un criterio di valutazione per altre grandezze;

- in senso figurativo: criterio di misurazione e di valutazione.

Pertanto, pur cambiando il nome non cambia la sostanza, ossia: ho una determinata grandezza, tempo, valore, estensione, ecc. su cui calcolare la liquidazione della prestazione, ossia il compenso ad opera del giudice.

Ma allora che differenza esiste tra il parametro così determinato e la vecchia tariffa?

La differenza risiede nel procedimento di adozione.

Infatti, le tariffe venivano adottate con atto formale dal Ministro ma erano formulate ed elaborate dai consigli nazionali degli ordini professionali, mentre i parametri dovrebbero essere elaborati direttamente dal Ministero.

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