L'arca olearia 15/12/2023

L’olivicoltura italiana al bivio: varietà brevettate o cultivar autoctone?

L’olivicoltura italiana al bivio: varietà brevettate o cultivar autoctone?

La situazione olivicola italiana, senza un piano olivicolo nazionale, è molto frammentata e preda di interessi particolari. Oggi le Dop e domani certificazioni adatte per gli oliveti superintensivi? Il punto di vista di Pietro Barachini, già patron di Spo Olivi


Non si può pensare di capire cosa realmente accade all’olivicoltura nazionale senza dirigere lo sguardo anche sul sistema vivaistico che dovrebbe sorreggere e permettere la messa a dimora dei nuovi oliveti.

Da un periodo in cui gli olivi si dovevano prenotare, con quasi due anni di anticipo, fino all’abbondanza odierna. Una situazione confusa e destabilizzante, se consideriamo che si va diffondendo la voce che molti degli olivi che si trovano nei vivai italiani in realtà viene dall’estero, magari da vivai del nord Africa.

Ovvia la preoccupazione degli olivicoltori, considerando che proprio dall’estero e dall’importazione di piantine è venuta Xylella fastidiosa.

Oltre a questo si va diffondendo l’utilizzo, che probabilmente crescerà nel futuro, di varietà brevettate, che sarebbero più adatte agli impianti superintensivi.

Una situazione caotica tra voci, opinioni e dati di fatto che richiede qualche punto fermo. Abbiamo quindi scelto di interpellare il vivaista Pietro Barachini.

- dopo il boom dell’ottimismo sulla scia del piano olivicolo nazionale, il numero di nuovi impianti olivicoli sta scendendo. Il vivaismo olivicolo italiano reggerà di fronte alla concorrenza internazionale?

Il fu "nuovo piano olivicolo nazionale" doveva attivarsi gia nel marzo 2016, poi , con l'avvento della Xyella in Puglia e del Covid19 , abbiamo solo visto i fondi (molto pochi) per l'ammodernamento dei frantoi . Il che , fa' gia molto ridere di suo, perché in un momento in cui tutto il mondo ci dice che se non interveniamo nella ristrutturazione della filiera olivicola recuperando gli oliveti vetusti molto presto saremo totalmente dipendenti dai paesi emergenti o dalle multinazionali - che stanno occupando terreni per piantare in superintensivo ibridi varietali del tutto estranei alla nostra identità - noi, di contro, continuiamo a costruire frantoi anche se le olive non ci sono.

In compenso, però, oggi succede qualcosa di strano: a parte il caso fs17 in superintensivo che, come previsto, sta piano piano sostituendo l'extravergine pugliese per giustificare la necessità di importare olio dal mondo, le stesse multinazionali che prima si limitavano ad imbottigliare olio europeo in Italia ora sono scese in campo . Di conseguenza, l'industria che diventa imprenditore agricolo. In altre parole, con i fondi di cui l'industria agroalimentare dispone di suo, essa stessa si appropria anche dei fondi destinati ai piccoli imprenditori agricoli. Le agevolazioni fiscali, i piani marketing ecc ecc. allo stato sono ancora celati, per giunta con il bene placet delle associazioni, anche se tra qualche anno inizieremo a vedere gli effetti. Credo che per l'olivicoltura italiana sarà il colpo mortale dal momento che la situazione evolverà in questi termini: prima fase, diventare produttore, seconda fase, produrre un olio 100% Italiano con ibridi varietali che non hanno nulla di "Italiano" , terza ed ultima tappa, quando questi impianti falliranno per motivi gravi strutturali (es mancanza di acqua) e non ci sarà piu traccia di olivicoltore autoctono , le multinazionali invocheranno la necessità di importare olio. Per esempio,nel sud della Toscana stanno nascendo migliaia di ettari di oliveti in superintensivo con varietà ibride, un mix tra varietà toscane e varietà brevettate spagnole, con l'intento di sdoganare il concetto "nato in Toscana". Questi, vengono finanziati da gruppi bancari o da fondi europei. Guarda caso, nello stesso momento sono nate delle nuove varietà di olivo brevettate dalla multinazionale Agromillora che si chiamano "Florentia" e "Brunella". Si sa, il brand "Toscano" fa molta gola alle multinazionali poiché è troppo faticoso e poco speculativo creare progetti di recupero della nostra biodiversità olivicola. Quando la quota produttiva di questi impianti "industriali" supererà la quota produttiva degli olivicoltori toscani , gli stessi chiederanno di essere inseriti nella certificazione IGP TOSCANO o, ancora meglio, presenteranno un progetto per creare una nuova certificazione ad hoc. È solo questione di tempo .

Tutto un mondo gia visto e rivisto nel panorama olivicolo Italiano. Tutti i player istituzionali conoscono molto bene le dinamiche future ma, come sempre,si tende a "mantenere gli equilibri",lo status quo. Gli stessi equilibri che stanno piano piano distruggendo il sud della Puglia e l'olivicoltura Italiana.

Purtroppo le milioni di piante che impianteranno in Toscana arrivano dai vivai spagnoli perché sono cultivar brevettate , facendo piattaforma logistica in Toscana. Quindi anche per i vivaisti autoctoni Toscani, nessun tipo di beneficio se non per pochi eletti.

- Gli impianti olivicoli che continuano a essere proposti per l’olivicoltura italiana sono ad alta densità o superintensivi. Quali sono le varietà nazionali adatte a tali sistemi?

Nel mio iter professionale ho passato gli ultimi 20 anni a studiare tutte le cultivar Toscane per vedere se potevano essere adattate ai sistemi "intensivi". Parlo di intensivo e non di superintensivo perché sappiamo gia da anni che gli impianti di superintensivo non si adattano alle nostre cultivar autoctone e dopo qualche anno muoiono per mancanza di risorse o malattie .

Sì , la soluzione esiste gia da tempo , impianti di Leccio del corno e Maurino in intensivo. Qualità , durata , gestione meccanizzata ecc. Naturalmente non è stato molto sponsorizzato perché non ci sono interessi economici, non ci sono brevetti non ci sono multinazionali dietro .Il problema vero non è aumentare la superficie produttiva Toscana o Italiana, ma salvare le nostre cultivar autoctone in collina. Siamo disposti a perdere per sempre mille cultivar autoctone di olivo solo e soltanto per lo sviluppo degli interessi finanziari legati ai brevetti ed alla loro crescita sul territorio Italiano?

Vedendo gli andamenti politici del settore la tendenza ora è di "unificare", "controllare". La biodiversità fa paura, il singolo spaventa. Quando la Toscana perderà le colline olivetate , che senso avrà produrre ancora olio extravergine Toscano?. Lo stesso olio con le stesse cultivar non autoctone, con gli stessi impianti industriali, verrà prodotto in Marocco ed in Tunisia. Con la differenza che in Toscana un litro in superintensivo costerà comunque 4-6 euro in Tunisia 2-3 euro il litro.

- Con Spo Olivi avete riscoperto e rilanciato molte varietà nazionali dimenticate o quasi. Il caso scuola è probabilmente la Leccio del Corno, ormai diffusa in tutto il centro Italia. Ci sono altre varietà italiane che Spo Olivi vuole riscoprire?

L'azienda SPO nasceva a fine ottocento, ed a maggio di quest'anno purtroppo è entrata in liquidazione controllata. Nel 2017, quando esisteva ancora una comunione di intenti, nasceva con la mia ex moglie il progetto Spoolivi, proprio per recuperare le cultivar autoctone regionali. Purtroppo anche in questo caso ha prevalso su tutte la smania dei "nuovi soci" di fare business a tutti i costi. Questo ha determinato in maniera irreversibile la divisione delle nostre strade, personali e lavorative, e mi ha fatto assumere la decisione di prendere le distanze da Spoolivi con l'intento di ricostruire un mio nuovo progetto di vita in linea con i miei veri valori umani e professionali. Sono felice di aver dato il mio contributo all'olivicoltura Italiana in maniera "sana". Per ora sono tornato alle origini del mio esordio lavorativo, lavorare con, e tra la gente, orientando le scelte di acquisto vivaistiche di migliaia di persone in una nota azienda nel nord Italia. Un mondo che avevo già vissuto nel vivaio di famiglia, allorquando iniziavo a fare l'operaio dopo aver interrotto gli studi universitari, che tuttavia avrei intenzione di riprendere per aumentare sempre più il mio bagaglio personale.Questo nuovo percorso mi dà modo di riflettere sugli errori commessi, così da prendere nuove strade, per nuovi progetti olivicoli futuri, in linea con le mie idee e i miei valori. Non sono a conoscenza di ciò che farà Spoolivi nei prossimi mesi / anni, non ne ho idea e sinceramente non mi interessa, non avendo più comunanza di progetti e valori. Quei valori che hanno indotto il mio bisnonno a fondare la Società pesciatina di Orticoltura SPO, oggi in liquidazione controllata. Certo è che la crisi è sempre in agguato e le opportunità di diventare reseller spgnoli in Toscana sono sempre piu pressanti…..In Italia vi sono ancora 700 varietà di olivo sconosciute, cui nessuno pare essere interessato. Il recupero varietale non è remunerativo, troppo lungo; allora, a questa stregua, meglio creare di nuovo, ingarbugliare i dna, inventarsi nomi altisonanti …e chi vivrà vedrà…

Spero che in Italia vi sia ancora qualche vivaista che abbia voglia di salvare la nostra biodiversità olivicola.

- Chiusa la sua esperienza centenaria con SPO e poi con SPOLIVI , la dicotomia tra un’olivicoltura intensiva “da produzione” e quella “da valore aggiunto”, come può essere risolta e quale ruolo può giocare il vivaismo olivicolo italiano?

Chi mi conosce lo sa, per me la coerenza è imprescindibile,non potrei allontanarmi dai miei principi senza perdere la mia identità. L'Italia del vivaismo olivicolo è stata abbandonata da anni da tutte le istituzioni. Tutti ci ripetevano "ma che perdete tempo a fare a recuperare ed innestare vecchie varietà di olivo ". I soldi veri sono nei brevetti, nelle nuove tecnologie meristematiche , li dovete puntare ….

Dopo 20 anni sono molto fiero di non aver intrapreso quella strada, anche se probabilmente ora sarei un general manager di una multinazionale spagnola ubicata in Toscana. Ma non sono quel tipo di persona, dal settembre del 1860 a maggio 2022 posso garantire che ogni singola pianta portata fuori da quel cancello verde a Pescia, era di assoluta qualità. Ci ho sempre messo la faccia, anche nelle mille battaglie, che ho portato avanti (da solo); purtroppo ad oggi sono fallite e ne vediamo i risultati nefasti (il superintensivo, le varietà brevettate ,ecc ecc. ). Il futuro del vivaismo olivicolo Pesciatino va di pari passo con il futuro dell'olivicoltura autoctona regionale. Fino a che ci saranno vivaisti "sani" che amano recuperare cultivar antiche, potremmo sperare di trovare ancora migliaia di extravergini differenti. La biodiversità è una grande risorsa , ma non fa fare business come l'omologazione.

La ricetta resta sempre la stessa: creare un nuovo "100% Italiano" prodotto solo ed esclusivamente da cultivar antiche non ancora conosciute. Produzione in zone svantaggiate ad alto valore turistico e paesaggistico. In questo modo si salverebbe il triste destino dell'evo 100% Italiano omologato a morte certa e migliaia di colline sarebbero recuperate e salvate dagli incendi.

di T N