L'arca olearia 28/10/2022

Con l’olio buono in cucina si risparmia e si fa mangiare meglio

Con l’olio buono in cucina si risparmia e si fa mangiare meglio

Inutile parlare di tipicità se non si parte dalla varietà. L’olio è un mezzo per conoscere persone che dedicano il loro tempo a un prodotto straordinario ma è tutto inutile se ne facciamo un uso sbagliato in cucina. Il pensiero di Fabio Ferrara dell'Osteria del Tarassaco


“L’innovazione del processo produttivo ha modificato la tipicità di un olio stabilita con parametri validi un tempo e non più oggi. Non è che abbiamo cambiato la tipicità varietale di un’oliva, abbiamo adeguato il prodotto al gusto di consumatori consapevoli e attenti, nessuno di noi oggi consuma un olio simile a quello di 25 anni fa. Oggi i consumatori chiedono qualcosa di diverso, perché nel tempo sono stati educati a un olio migliore e hanno capito che un buon olio migliora i piatti e fa bene alla salute, e aggiungo io, anche allo spirito, se permettete!”.

E in cucina cos’è cambiato, se non in quella di casa, in quella dei ristoranti, di ogni livello, qual è l’attenzione all’olio? Nella stragrande maggioranza dei casi, l’olio in cucina è differente da quello in sala, a volte c’è olio di palma. Ci sono grandi eccezioni, poche ma ci sono, e la differenza non la fa il portafoglio, ma la testa di chi propone, cui si affianca la capacità di intercettare una clientela culturalmente predisposta e desiderosa di conoscere per capire. Teste che fanno la differenza in cucina e a tavola.

A Rivisondoli, paese di mezzo tra Pescocostanzo e Roccaraso sta crescendo da qualche tempo un progetto ambizioso, la culla è l’Osteria del Tarassaco, la mente è quella di Fabio Ferrara, che ha un’idea chiara in testa, o come dice lui “…da fuori di testa”, tanto che lavora senza l’assillo di dover dar da mangiare a chi ha fame, accompagnando i suoi ospiti in strade per molti sconosciute. “Volevo parlare di olio con un amico e lui mi disse che non lo avrebbe fatto finché non avessi frequentato un corso di analisi sensoriale. L’ho fatto e non solo di analisi sensoriale e dopo l’incontro con Barbara Alfei e Maurizio Servili la mia vita è cambiata. Mi hanno aperto la mente e l’olfatto, ovunque andavo cercavo odori, restituendo valore e vita a quell’olfatto che le multinazionali, non solo dell’olio, ci hanno fatto addormentare. Tutto ha un odore, un olio, un frutto, una carne, una persona e se l’odore è buono, è meglio”.

Nelle rare volte in cui l’olio è protagonista in cucina in sala o nelle trasmissioni televisive, senti cuochi che al massimo parlano di extravergine, ‘punto di fumo’, perché?

“Probabilmente perché non hanno frequentato un corso di analisi sensoriale e finché non lo faranno, non sapranno mai cosa può essere l’olio in cucina”.

All’Osteria del Tarassaco a Rivisondoli l’olio cosa è?

“L’olio è il protagonista del mio lavoro, nel quale offro l’opportunità ai miei clienti di riconoscere i sapori e il loro valore. Ho una cinquantina di oli monovarietali con i quali faccio ricerca nelle cotture, ma l’olio è un mezzo per conoscere persone che dedicano il loro tempo a un prodotto straordinario, noi sentiamo il dovere di condividere la vita di queste persone e di dare dignità e rispetto al loro lavoro. Olivicoltori, ma anche ortolani che curano un pezzo di terra per raccogliere una cicoria che poi spesso uccidiamo in pentola. Oggi parliamo di tipicità ed è giusto, perché dobbiamo ridare dignità alle varietà, ma chi controlla, chi va a vedere cosa c’è realmente in una bottiglia, chi ne ha le competenze giuste? Ci si limita a leggere l’etichetta! Bene, io vado a conoscere le persone”.

Solo monovarietali?

“Sì, solo monovarietali, l’Italia paese di frantoiani che fanno l’olio, spesso ne fanno solo uno, per me anche un grande blend parte da un grande monovarietale. Il gioco sta nello scoprire quelle che io chiamo le ‘Madri dell’olio’, basi olfattive che aiutano a capire; Pomodoro, Carciofo, Mandorla, Frutti di bosco, amaro, piccante e le loro intensità, e non basta comprendere il buono, bisogna saper riconoscere i difetti nelle loro diverse intensità e per questo ringrazio Barbara Alfei. Poi logicamente ci ho messo del mio, mentre in tutti i corsi al momento degli abbinamenti si insegna a unire in concordanza olfattiva o gustativa, io in cucina vado in contrapposizione. Su una pasta al pomodoro, con un pomodoro eccellente, non posso mettere un olio che sa di pomodoro, la uccido, metto il cardo o il carciofo di frantoio e leccino e il pomodoro ti colpisce il cuore”.

La tua ricerca sulle reazioni dell’olio alle diverse temperature in cottura è continua. 

“La cottura è una reazione chimica - spiega Ferrara - ma in molti ancora oggi pensano che la chimica sia una medicina. Immaginate un treno che va da Roma a Milano, il macchinista è impegnato a far arrivare i passeggeri sani e salvi, ecco l’olio in cucina è quel macchinista, è l’unico elemento che tiene uniti i vagoni del treno fatto degli ingredienti che compongono un piatto. Su uno stufato devo mettere un olio ricco di polifenoli, altrimenti il treno si rompe, mentre se ne metto uno carico di polifenoli su una zucchina ne comprometto la dolcezza. Mi sono trovato a io replicare quello che vedevo fare a mia nonna e che ho finalmente capito, metto olio nell’acqua prima di immergere la verdura. Ma così pare un banale ripetere di un uso, ma con i miei ragazzi in cucina, Andrea, Antonio e Francesco, studiamo la reazione delle diverse varietà alle diverse temperature di cottura. Quella verdura, da verdura morta in acqua bollente, con il giusto olio, la giusta temperatura dell’acqua e il giusto tempo, diventa viva, per colori e sapori”.

Cosa pensa dei suoi colleghi che usano un olio in cucina e un altro in sala?

“Che non si rendono conto di cosa fanno, ma soprattutto che non hanno capito che con l’olio buono in cucina si risparmia e si fa mangiare meglio. Più stiamo bene più vivremo a lungo”.

Il viaggio continua. Come stanno le cose nel mercato di massa, cosa offre e c’è un’evoluzione sull’approccio all’acquisto dell’olio? Ne parleremo con il prof. Andrea Marchini, ordinario di Economia e Marketing al Dipartimento di Agraria dell’Università degli studi di Perugia.

di Maurizio Pescari