L'arca olearia

Giuseppe Fontanazza: la pianta dell'olivo è matrigna e capricciosa

Innovatore per definizione, tanto da venire a lungo contestato, il professor Giuseppe Fontanazza lanciò un vastissimo programma di miglioramento genetico, da cui nacquero Don Carlo e FS17, creature sue e di cui era molto geloso

03 giugno 2020 | Marcella Cipriani

Caro Professore,

un pezzo della mia vita l’ho passato a colloquiare con Lei; di olivicoltura e di antiquariato.

La ascoltavo in ogni caso per imparare, per cercare di capire questa pianta che lei chiamava a volte “matrigna” e a volte “capricciosa” perché “ la si può studiare una vita intera, non si riuscirà mai a capirla fino in fondo” . Portavo sempre dietro un quaderno per gli appunti perché nei primi anni 2000, da giovane ricercatrice dell’IRO CNR (Istituto di Ricerca per la Olivicoltura), non mi potesse sfuggire niente di quello che diceva su questa o su quella varietà, quando nei campi sperimentali con quel fisico piccolo e agile mi precedeva sempre in salite improponibili.

La sua sicilianità emergeva sempre, nei suoi discorsi contorti e nella angustia di non essere gradito, Lei emigrante in terra straniera, l’Umbria. E poi, non mancava mai occasione di dire che erano le cultivar siciliane a dare l’olio migliore; e ne convinceva tutti perché ne dava una spiegazione scientifica e storica: la Nocellara del Belice, la Biancolilla, la Moresca, la Tonda Iblea sono cultivar a duplice attitudine e sono state selezionate nel tempo per la loro sapidità, ed è per questo motivo che quando vengono molite non possono che esprimere il meglio dal punto di vista aromatico.

E le prospezioni varietali da nord a sud che ho avuto il piacere di condividere con Lei, compresa quella nella provincia di Enna mi hanno insegnato a guardare il territorio attraverso il suo paesaggio, la vetustà delle sue espressioni, la sua biodiversità, quella biodiversità che non tutti hanno capito che lei voleva conservare, anzi implementare partendo dal germoplasma locale per la programmazione degli incroci controllati.

Un progetto di miglioramento genetico così imponente non lo aveva ancora pensato nessuno negli anni in cui ricopriva il ruolo di direttore del centro di ricerca di Perugia. Negli anni 2000 avevamo quasi 15.000 genotipi in osservazione, campi sperimentali ovunque dislocati nel territorio nazionale, dal lago di Garda a Nardò, da Copanello all’Oltrepò pavese. Adoperare le varietà locali per migliorarle geneticamente con incroci inter-varietali era un progetto ambizioso fatto di grandi numeri e di tanta fatica, anche la mia e di tanti altri ricercatori e ricercatrici che passavano le giornate a misurare ogni tipo di drupa e ad analizzare il contenuto di vitamina E e di altri composti antiossidanti negli oli più diversi.

Lei mi ha insegnato il metodo di ricerca che ancora porto come bagaglio preziosissimo. E così quando ero disperata perché del nostro campo sperimentale tra Genga e Fabriano dopo una gelata che portò le temperature a – 14°C non era rimasto quasi nulla, Lei esordì: “ma invece di essere contenta… la sperimentazione è riuscita perfettamente!” ; un campo sperimentale voluto da Francesco Casoli, titolare della Elica S.p.A e figlio di una Pieralisi, dove avevamo in prova 16 varietà per la resistenza al freddo; fu una strage di piante che però ci ha permesso di constatare quanto la “Nostrale di Rigali e la Don Carlo siano le varietà in assoluto tra le più resistenti al freddo, molto più del Leccino.

Lei mi ha insegnato a cogliere i dettagli con il suo acume scientifico. Ed anche a potare, “vaso policonico” e “monocono” perché “prima di insegnarlo bisogna saperlo fare”. E abbiamo contribuito a ristrutturare l’oliveto del Vittoriale di Gardone Riviera con l’aiuto di Silvano Zanelli, presidente di una OP Lombarda, oggi sindaco di Puegnago.

Se la cavava bene anche con l’Inglese, quando a Morgester in Sud Africa nella bellissima tenuta di Giulio Bertrand, dava direttive ai responsabili del vivaio o del frantoio, o quando in Australia teneva conferenze o lunghe disquisizioni negli interminabili viaggi in macchina che ci portavano da un’azienda all’altra.

Quello che riteneva fosse il difetto diffuso e peggiore di tutte le cultivar tradizionali italiane, più di 500 tra cultivar ed ecotipi locali, era la vigoria, l’eccessiva vigoria, carattere selezionato e consolidato da millenni di selezione empirica verso quella direzione, quando le piante di olivo dovevano sopravvivere da sole senza troppe cure; una direzione che bisognava invertire andando a cercare “il gene del nanismo” e selezionando le varietà per il loro adattamento ai metodi di coltivazione della frutticultura industriale.

Si spendeva tanto per promuovere la olivicoltura intensiva, ma poi si emozionava quando mi faceva notare scorci di paesaggio toscano, o la maestosità delle piante secolari di Coratina. Cercava l’olivo nei quadri che acquistava nelle botteghe degli antiquari, l’iconografia di una coltura che era diventata la sua stessa vita.

Io credo che Lei sia stato un grande ricercatore, un innovatore, un uomo di grande cultura e sensibilità.

Un cosa però gliela devo rimproverare: aver creduto che le piante di olivo frutto di incrocio fossero tutte sue creature, sue e solo sue; una gelosia che insieme ad altre circostanze non ha premesso di valorizzare un patrimonio di biodiversità che poteva dare molti risultati scientifici, se solo Lei avesse avuto il coraggio di condividerlo.

Mi spiace tanto non averLa potuta salutare e capire quali erano le Sue ultime impressioni sullo stato della olivicoltura italiana e degli ultimi successi della Sua Favolosa contro la Xylella.

La saluto qui con questo ricordo che ho di Lei e con la copertina di un libro “olivicoltura alternativa” del 1982 che è quello che, secondo me, rappresenta meglio di tutti la Sua lungimiranza e la innovazione che ha portato nel mondo olivicolo italiano e che molti capiranno, forse, soltanto dopo questa Sua dipartita.

Buon viaggio Professore Fontanazza!

Marcella Cipriani

Allieva del Prof. Fontanazza e ex ricercatrice IRO CNR

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