L'arca olearia

Nuovi oliveti, scatta il totocultivar. Quale scegliere per rispondere alle richieste del mercato?

Confessioni di un vivaista olivicolo: anche nell'olio di oliva si va per "mode". Ci fu il boom dell'Itrana e quest'anno vi è stato l'exploit della Leccio del Corno. Occorrebbe invece un'attenta gestione e pianificazione per valorizzare davvero il patrimonio genetico nazionale

26 maggio 2017 | Pietro Barachini

Ogni anno quando si arriva ad aprile in vivaio scatta il totocultivar, si crea il dilemma di quali varietà innestare cercando di indovinare il trend dei due anni successivi.

La scelta è ampia; abbiamo in collezione circa 40 cultivar certificate di tutta Italia e, nonostante questo, ogni volta ci troviamo in difficoltà a soddisfare le richieste dei clienti. In realtà non c'è una regola precisa per cui un cliente sceglie una cultivar rispetto ad un altra, tutti vorrebbero produrre un olio profumato ad alto contenuto nutraceutico.

Ma prima bisogna pensare a produrre le olive in base a fattori pedoclimatici, per rendere l'oliveto economicamente sostenibile. E' per questo che i nostri "amici" spagnoli hanno pensato bene di creare cultivar in laboratorio, brevettando ogni anno un clone nuovo con caratteristiche agronomiche sempre più impattanti.

Per fortuna però al mondo l'olio extravergine italiano di qualità, viene acquistato ad alto prezzo per la sua origine , perché le cultivar Italiane sono quelle con i più alti valori nutrauceutici al mondo. Allora dobbiamo darci da fare e cercare di recuperare ogni anno delle cultivar in via di estinzione; ogni regione olivicola ha in media 60 /70 cultivar di olivo autoctone, di queste però non ne recupera nemmeno il 10 % .

La tendenza del momento è piantare cultivar di altre regioni o addirittura di altri paesi.

Il mondo del vino ci ha insegnato bene che standardizzare le cultivar in Italia, a lungo tempo, si rivela contro producente, perderemmo tutto il valore aggiunto che altri paesi non hanno e che ci fa sopravvivere. E' vero dobbiamo produrre di più, ma forse dovremmo ripristinare terreni con piante più produttive e fare olio sempre di alta qualità.

Ogni anno assistiamo ad un andamento dei trend sempre più contrastanti.

Ricordo il caso dell'Itrana quando si utilizzò per la prima volta come oliva da olio, l'anno dopo tutti volevano piantare itrana nei loro terreni stravolgendo quello che era il gusto tipico regionale.

Il 2017 è l'anno del Leccio del corno; mi ricordo quando abbiamo iniziato a produrla nel 2012 con appena 500 innesti ora siamo a 20.000 . Certo c'è da dire che è una varietà molto compatta, che può essere usata su sesti anche più stretti, che resiste bene all'umidità e che se raccolta presto dà un olio deciso con profumi eccezionali. La richiesta per l'anno 2017 è stata al di sopra delle aspettative: volevano piantarla anche in Puglia e in Sicilia, cosa che sono molto contrario in quanto è una cultivar Toscana e come tale esprime il massimo al centro Nord.

A parte le cultivar "estere" o "brevettate " per cui sono pienamente contrario a piantarle in Italia, per la mancanza di origine, credo che debba essere fatto un programma con le regioni italiane ed aziende vivaistiche specializzate, mettendo intorno ad un tavolino produttori, dirigenti regionali, vivaisti, Dop e Igp programmando insieme ogni due anni le cultivar da produrre.

Sono molto preoccupato del futuro di alcune regioni come la Puglia gia duramente colpite dalla Xylella , nei prossimi mesi dovranno decidere che cultivar mettere e le notizie che arrivano non sono le migliori.

C'e solo un posto in Italia per far crescere la Coratina, la Cellina, l'Ogliarola , ed è la Puglia. Altre cultivar andrebbero a trasformare in maniera irreversibile il gusto tipico dell'olio pugliese con conseguenze di mercato devastanti.

La ricerca in Italia è la migliore al mondo ma purtroppo programmi di recupero ed identificazione delle cultivar autoctone sono sempre piu rari.

Spero tra qualche anno di vedere un inversione di tendenza e magari riprodurre piante di olivo certificate per tutte le regioni d'italia , e scrivere che i trend futuri sulle cultivar saranno le 538 varietà divise in ogni regione di origine.

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Pietro Barachini

28 maggio 2017 ore 08:35

Il paragone era doveroso , sono ancora poche le persone che comprendono il concetto "olio di alta qualita" , soprattutto tra I produttori . Cosi come e' stato nel vino c 'e' bisogno di cambiare cultura , e' un momento pericoloso se non si capisce l'unica strada e' la biodiversita' , tra 10 anni non ci sara' piu un olio di cultivar autoctone ed a quel punto non converra' piu produrre olio in Italia .

Vittorio Capitanio

27 maggio 2017 ore 15:42

Paragonare il vino con l'olio è un errore strategico nascente dalla mancanza di conoscenza del posizionamento dell'olio italiano sui mercati mondiali.
Questo modo di pensare ci condanna a rimanere nel Medioevo e piano piano a soccombere felici.