L'arca olearia

L'olivicoltura e l'olio extravergine di oliva Italiani: speculazione, resilienza ed opportunità di crescita

L'olivicoltura e l'olio extravergine di oliva Italiani: speculazione, resilienza ed opportunità di crescita

La nuova olivicoltura dovrebbe essere fatta all'italiana, con attenzione alle nuove varietà: debbono rispettare i parametri di purezza e non tutte lo fanno. L'olio extravergine di oliva italiano andrebbe differenziato intanto sulla base di una qualità misurabile

28 novembre 2025 | 16:00 | Maurizio Servili

Olivicoltura Nazionale, olio italiano, produttività e tutele delle produzioni olivicole nazionali, futuro del settore e qualità del prodotto.

Vorrei dire prima di tutto che non mi affascinano i soliti scontri di stampo calcistico che in questo Paese sembrano essere associati a qualunque problematica si affronti nei vari settori olivicolo compreso, ma devo dire che anche il dibattito sull’alta qualità Italiana, pur essedo stato rivalutato da possibili citazioni nel piano olivicolo nazionale, rientra purtroppo nella fattispecie sopra ricordata e finirà per spegnersi in modo inconcludente sostituito dall’ennesima novella crisi che pervade il settore e che, al momento, prede il nome di speculazione sul prezzo del 100% italiano, drasticamente sceso soprattutto, per gli oli prodotti in Puglia e Calabria. Ora mi domando, non è la prima vola che questo accade e non sarà neppure l’ultima, le speculazioni, in un mercato poco organizzato dalla parte dell’offerta, si verificano e rischiano, se ben organizzate, anche di avere successo ma il problema dovrebbe essere non quello di gridare allo scandalo quando questo accade ma di trovare delle fome di organizzazione del mercato che mettano al riparo il settore da tali eventi dannosi, per il mondo della produzione si intende.

Non sono un esperto di speculazioni né  di olio di carta e tanto meno di movimenti dei “bastimenti” veri o presunti di olio tunisino che dovrebbe passare come italiano, in barba ad ogni registro Sinal, ed andare, magari per Natale, sugli scaffali per l’ennesima promozione a 5,99 euro, ma una cosa la so, da ricercatore che si occupa da anni di rintracciabilità analitica degli oli, posso affermare con certezza, che se queste presunte bottiglie, contenenti olio Tunisino, fossero prelevate allo scaffale dagli organismi di controllo ed analizzate e fossero stati fissati  dei parametri analitici di qualità che differenziassero l’olio 100% Italiano da quello che italiano non è, i prodotti verrebbero subito sequestrati o non arriverebbero neppure sullo scaffale. È sì perché per differenziare un olio tunisino da uno italiano, prodotto in qualunque parte del nostro amato Paese, basta una semplice analisi degli acidi grassi senza scomodare metodologie analitiche più complesse. Una semplice analisi quindi e la speculazione di cui sopra oggi sarebbe di fatto impossibile oppure dovrebbe prevedere gradi di raffinatezza della frode di molto superiori a quelli necessari a “bastimenti” di olio tunisino per diventare, notte tempo, italiano.

So che quanto detto può sembrare una provocazione ed in parte lo è ma è purtroppo la verità, se noi avessimo caratterizzato e certificato l’olio italiano di alta qualità già dal 2012 sulla base della proposta avanzata con il sistema qualità nazionale, l’acido oleico sarebbe stato fissato per gli oli italiani al 70% e quindi addio speculazione con il Tunisino che a stento arriva al 60%. Ma questo è solo un esempio di quanto non si è fatto e non si continua a fare per proteggere le produzioni olivicole di qualità di questo Paese. Si certo certificazione della qualità e dell’origine, forse il Sistema Qualità Nazionale non è lo strumento migliore ma sarebbe senza dubbio meglio dell’attuale giungla legata all’assenza di qualunque controllo analitico sull’origine e nessuna certificazione. In questo contesto ci si dovrebbe chiedere ad esempio perché la speculazione non abbia toccato l’olio Siciliano se non marginalmente, semplicemente perché la Sicilia è stata in grado di creare valore sulla sua filiera olivicola regionale grazie ad imprenditori illuminati, ad una adeguata politica regionale di supporto all’impresa ed alle certificazioni di oli di qualità ormai riconosciuti sul mercato internazionale tra i quali l’IGP Sicilia che, di fatto, nei volumi certificati, in pochi anni, ha superato l’IGP Toscana. La Sicilia sta poi migliorando ed aumentando la superficie olivetata ed è in grado di produrre valore anche grazie al mercato delle olive da tavola, altra grande opportunità inespressa per l’olivicoltura nazionale.

Quindi il problema non sono le speculazioni temporanee che, suonano un po' come lo sparare sulla Croce Rossa o il piovere sul bagnato o qualunque altra amena massima equivalente che si voglia applicare alla descrizione di un settore, come il sistema olivicolo nazionale, debole non organizzato e che non riesce a fare sistema, il problema è la mancanza di un progetto a medio e lungo periodo in una parola mancanza di una strategia.

Il piano olivicolo nazionale, del quale si è molto parlato negli ultimi anni, potrebbe essere fondamentale e dovrebbe definire questa strategia e mettere a disposizione le risorse per attuarla. Tale strategia dovrebbe prevedere qualcosa di più ampio del solito piano Xylella i problemi dell’olivicoltura nazionale non si fermano alla Xylella che è sicuramente una grande tragedia per il settore olivicolo nazionale e non solo pugliese. Pur tuttavia l’abbandono continuo di migliaia di ettari di oliveto collinare nel centro-nord come quello che si osserva in alcune aree del sud come per esempio in Calabria, dove monumenti alla natura quali sono gli oliveti secolari di Ottobratica e Sinopolese, unici nel mediterraneo per la loro maestosità, vengono rimpiazzati con coltivazioni di Actinidia, tutto ciò non è di certo di gravità inferire per la produzione Nazionale rispetto alla Xylella. Ci vorrebbe quindi una strategia che dovrebbe essere appiccata a partire dagli imprenditori olivicoli, abbiamo bisogno di persone che, adeguatamente supportati dalle istituzioni pubbliche e dalla ricerca scientifica, portano avanti un programma comune tra produzione, politica e ricerca un vero piano di rilancio del settore olivicolo nazionale considerandolo strategico per la produzione agro-industriale  di questo Paese, cosa che, al di là delle dichiarazioni di facciata, nei fatti non lo è o non lo si considera tale. Il piano dovrebbe essere organizzato in due pilastri, 1) produzione 2) differenziazione, protezione e valorizzazione del prodotto.  

Produzione

Si dovrebbero definire le aree produttive dell’olivicoltura tradizionale che possono essere considerate agronomicamente ed economicamente efficienti e distinguerle da quelle di mantenimento e di mero interesse paesaggistico o di salvaguardia idrogeologica del territorio. Questo perché l’olivicoltura tradizionale non è tutta da considerarsi obsoleta e quindi fuori mercato dl punto di vista delle potenzialità produttive, una parte se viene gestita tecnicamente bene ed il prodotto risulta correttamente valorizzato, vedi caso Sicilia e non solo, è in grado di produrre reddito e restare adeguatamente sul mercato anche a partire da oliveti tradizionali. Vi è poi una parte della superficie olivetata, di bassa efficienta produttiva, che potremmo definire da “olivicoltura eroica” che però rende unico ed irripetibile il paesaggio di diverse aree nazionali e diviene quindi economicamente importante per l’industria turistica e per salvaguardia idrogeologica del territorio. E’ inutile dire che in alcune aree del nostro Paese senza il paesaggio olivetato, non ci sarebbe turismo e quindi economia, di conseguenza, la permanenza della popolazione sul territorio.  Basti pesare a certe aree dell’Umbria o della più blasonata Toscana, il Monte Pisano per tutti, dove le aree olivicole abbandonate aumentano e con esse lo spopolamento. Questa olivicoltura andrebbe salvaguardata ed aiutata anche con incentivi economi che dovrebbero essere concentrati in queste aree è inutile disperdere risorse distribuendole a pioggia quelle poche che ci sono in termini di aiuti comunitari, nazionali o regionali andrebbero utilizzate in modo mirato. 

Sempre in termini di produzione gli oliveti produttivi tradizionali andrebbero mantenuti ma la loro efficienza produttiva andrebbe migliorata applicando adeguate ed innovative pratiche agronomiche ma a questi andrebbero certamente affiancanti nuovi impianti. La nuova olivicoltura però dovrebbe essere fatta all’italiana, e cioè adattando le pratiche agronomiche al territorio, gli impianti di alta densità vanno bene dove possono essere impiantati, in termini di orografica dei terreni e disponibilità di acqua. Inoltre, anche negli impianti di alta densità andrebbero preferite cultivar che siano in grado di mantenere la biodiversità e la qualità italiana. A me non entusiasma affatto il dibattito tra Gelfi e Ghibellini tra superintensivo si e superintensivo no, gli impianti di alta densità sono una necessità oggettiva,  e tanto meno quello su quanto vasta è la biodiversità nazionale e quanto poco vasta è quella dalla quale otteniamo il 70% della produzione, argomento questo che i paladini, più o meno economicamente disinteressati del super intensivo, propongono come argomento per dire che siccome comunque produciamo grandi quantità di olio su poche cultivar nazionali  potremmo ulteriormente ridurne il numero tanto nessuno se ne accorge. Mi limito a dire su questo punto che se anche fosse vero che le cultivar che producono il 70% dell’olio italiano sono meno di 20 sulle 540  appartenenti alla biodiversità italiana, è anche vero che sono molte di più di quelle che producono il 70% dell’olio spagnolo, tunisino o greco e che, comunque, rimane sempre il restante 30% che è indiscutibilmente biodiverso e con caratteristiche qualitative uniche al mondo. Quindi gli impianti ad alta densità andranno sicuramente fatti, dove si possono fare, scegliendo cultivar tra quelle tradizionali italiane o prodotte da nuovi incroci ma che però mantengano livelli qualità del prodotto elevate. Ce ne sono diverse tra quelle tradizionali o varietà antiche recuperate, vedi il caso della Calatina in Sicilia, adattabili alla elevata densità oltre ovviamente alle nuove cultivar.  Su quelle nuove però mi permetto di dire attenti ai parametri di purezza, quando si immettono sul mercato nuove varietà non si deve valutare la sola produttività e magari, in seconda battuta, alcuni aspetti fondamentali quali  le proprietà sensoriali e salutistiche, ma anche e, mi permetto di dire prima di tutto, se l’olio che si ottiene, è conforme ai parametri internazionali di purezza  che ne decretano la corrispondenza alla specie botanica di appartenenza, in altre parole che sia classificabile come olio estratto dalle olive. La questione della mancata coincidenza, ad esempio, dell’olio estratto da nuove cultivar con i parametri di purezza non è iniziata attualmente in Puglia con la Lecciana già la Barnea selezionata negli anni novata dal compianto Prof. Shimon Lavee, aveva problemi con il limite massimo di campesterolo che insieme agli altri fitosteroli ed all’acido linolenico sono i parametri più importanti che adrebbero essere verificati sugli oli prima di impiantare migliaia di ettari di oliveti e non dopo. Dove abbiamo aree collinari non adatte ad un modello super intensivo un buon oliveto intensivo che, mantiene la biodiversità, qualità e paesaggio, riducendo i costi di produzione grazie a pratiche agronomiche adeguate, inclusa la raccolta meccanica con scuotitori al tronco, sarebbe da auspicare in tutte quelle zone dove c’è poca disponibilità idrica e le pendenze sono talli che non premettono l’uso di macchine scavallartici.

Differenziazione, protezione e valorizzazione del prodotto

Il prodotto italiano andrebbe differenziato intanto sulla base di una qualità misurabile, se non piace il sistema qualità nazionale troviamo altri modelli per dire che se vuoi confezionare olio 100% italiano non può avere l’acido oleico al 56% o  i composti fenolici a 50 mg/Kg  o una nota marcata di “provenienza” Spagnola, in altre parole il reg. UE 182/2009 sull’obbligo dell’origine andrebbe associato ad un sistema di certificazione nazionale del 100%  italiano basato su parametri più restrittivi rispetto alla norma Coi o Codex. Se questo non proteggerà gli oli di sicura origine italiana in tutti i casi, lo farà molto di più di quanto non succeda ora, ma sicuramene proteggerà la qualità del prodotto confezionato come 100% italiano e di fatto sia la sua reputazione che il prezzo. In oltre  se vogliamo tutelare il 100% italiano anche dal punto di vista della rintracciabilità analitica, al momento disponiamo di metodi NMR, Isotopi stabili, NIR, analisi dei composti volatili ed altre metodologie che se adeguatamente applicate e supportate dal punto di vista della ricerca scientifica, potrebbero certamente arginare la speculazione e salvaguardare il prodotto italiano. Per il resto non ci sono DOP, IGP, monovarietali e quant’altro, prodotti in Italia, che non potrebbero rispettare valori più restrittivi di qualità, al di sotto di quelli riportati su invecchiati disciplinari di produzione senza vedere nel 100% Italiano certificato una forma di concorrenza commerciale. 

In conclusione, vorrei proprio che il dibattito e le decisioni sulla salvaguardia e lo sviluppo dell’olivicoltura nazionale siano indirizzate su dibattiti di questo tipo e non sulla speculazione temporanea o sullo scandalo di turno che lascia il tempo che trova per tutti quei produttori, frantoiani a confezionatori onesti di questo Paese che combattono ogni giorno con passione e caparbietà la loro battaglia per mantenere e sviluppare la filiera olivicola nazionale.

Potrebbero interessarti

L'arca olearia

Il segreto delle varietà di olivo più produttive

Se la dimensione dell'olivo risulta inferiore è dovuto alle diverse caratteristiche di ramificazione, che concentrano più germogli in un piccolo volume di chioma, senza necessariamente implicare una crescita inferiore dei germogli. Le correlazioni tra crescita vegetativa, vigore ed entrata in produzione di 12 varietà di olivo italiane

28 novembre 2025 | 15:00

L'arca olearia

L’effetto della temperatura di frangitura sulla qualità e sulla composizione dell'olio extravergine di oliva

L'influenza della frangitura è meno considerata rispetto alla gramolazione, sebbene sia anch'essa una fase fondamentale della produzione dell'olio d'oliva. L’impatto della temperatura di frangitura su fenoli e caratteristiche organolettiche

28 novembre 2025 | 14:00

L'arca olearia

L’uso di consorzi di batteri per combattere gli stress dell’olivo e gli agenti patogeni

Diversi batteri hanno proprietà di promozione della crescita dell’olivo ma anche possono offrire protezione contro stress abiotici e persino patogeni, come Verticillium dahliae. L’efficacia dei presidi commerciali è però limitata, ecco perchè

28 novembre 2025 | 13:00

L'arca olearia

L'effetto di compost e biochar sulla disponibilità di fosforo e sulla produttività dell'olivo

La concimazione organica da fertilizzanti ottenuti da sansa di olive può aumentare la produttività dell'olivo del 93%. I batteri stimolanti la crescita delle piante possono essere utilizzati nell’arricchimento del compost e del vermicompost per migliorare la qualità del suolo e la produzione di olive nei terreni calcarei

28 novembre 2025 | 10:00

L'arca olearia

Il packaging dell'olio extravergine di oliva tra marketing e moda

I nuovi packaging per l'olio extravergine di oliva funzionano davvero o sono solo una moda? se andiamo a guardare chi ha, nel suo andare controcorrente ha da poco iniziato a confezionare nel vetro il proprio olio

27 novembre 2025 | 14:00 | Giosetta Ciuffa

L'arca olearia

L’aroma dell’olio extravergine di oliva cambia: l’influenza della varietà di olivo sulla via della lipossigenasi

Il contenuto totale dei volatili nell’olio extravergine di oliva è influenzato da fattori come cultivar, tecnica agronomica, tecnologica e conservazione. I rapporti tra i composti volatili C5 e C6 dipendono dalla varietà e da come vengono attivati gli enzimi della via della lipossigenasi

27 novembre 2025 | 12:00

Commenta la notizia

Per commentare gli articoli è necessario essere registrati

Accedi o Registrati