L'arca olearia 28/10/2016

L'olio d'oliva, questo sconosciuto, non solo dai media americani

L'olio d'oliva, questo sconosciuto, non solo dai media americani

Hanno fatto discutere le affermazioni di Rachael Ray, co autrice di Dottor Oz, sul colore dell'extra vergine e sull'acidità libera. Prima di puntare l'indice sui rozzi americani, però, bisognerebbe vedere cosa accade in Italia. Anche nel nostro Paese gli errori non si contano e sono anche più gravi


Una delle trasmissioni enogastronomiche più seguite negli Stati Uniti si chiama Dottor Oz e, quindi, ha fatto piacere a tutti che sia stato dedicato un piccolo spazio all'olio extra vergine d'oliva.
Il problema, semmai, è che Rachael Ray, co autrice e conduttrice della trasmissione, ha fatto un sacco di errori.
Prima di tutto ha affermato che un buon test per misurare la qualità e genuinità di un extra vergine è il colore. Se è verde, questo il messaggio della Ray, siamo sicuri che sia di qualità poiché “non è stato filtrato e purificato in alcun modo.”
Inutile ribadire che il colore dell'olio non è un indice di qualità né di genuinità. Un olio giallo paglierino può essere decisamente superiore, per qualità intrinseca del prodotto (parametri chimici e organolettici) a un verde intenso. Assolutamente falsa l'affermazione che il colore, poi, possa essere collegato a processi di filtrazione o purificazione. Vero è invece, che una gramolazione prolungata, a temperature elevate e in assenza di ossigeno può solubilizzare una maggiore quantità di clorofilla nell'olio. "Per essere classificato come extra vergine – ha dichiarato la Ray - l'olio deve avere un gusato e un aroma superiore e un bel colore (ndr verde)” Se può essere vero che un extra vergine deve avere un gusto e un aroma superiore (assenza di difetti e sensazione di fruttato di oliva) è assolutamente falso che il colore sia un parametro di qualità o genuinità. Errore anche sul grado di acidità dell'olio, indicato all'1%, quando da molti anni è ormai allo 0,8% per l'extra vergine d'oliva.

Gli Stati Uniti sono un paese produttore da pochi anni e il consumo di olio d'oliva, ancorchè in crescita, è comunque limitato e inferiore a un litro pro capite all'anno.

Simili errori possono provocare l'ilarità da parte dei produttori e degli operatori del settore. Facile puntare l'indice contro l'ignoranza a stelle e strisce in materia olearia.

Solo che, prima di scorgere la pagliuzza nell'occhio altrui, dovremmo vedere prima la trave nel nostro.

Non mancano, purtroppo, gli esempi di errori grossolani, a voler essere generosi, apparsi su siti internet e media negli ultimi giorni. E' infatti tempo di olio nuovo e c'è la corsa a scrivere articoli sull'argomento, spesso scivolando sull'extra vergine.

Ecco la definizione di olio vergine di oliva data da La Terra di Puglia da parte di Ilaria Scremin: “E’ un olio di qualità inferiore rispetto all’olio EVO. Può contenere un buon 90% di olio raffinato, ovvero lavorato (deodorato, decolorato, ecc) con sostanze chimiche. La sua acidità è pari al 2%. Non è male, ma a crudo vi consigliamo di preferire sempre l’evo.” Vero che l'olio vergine di oliva sia di qualità inferiore rispetto all'extra vergine. Infatti la stessa Unione europea riconosce che l'indicazione “categoria superiore” possa essere attribuita solo all'extra vergine e non al vergine. Il vergine, come l'extra vergine, però è un olio unicamente estratto dall'oliva unicamente mediante procedimenti meccanici. Nulla di chimico. Vero che l'acidità è al massimo il 2%. Da ricordare che il vergine di oliva può presentare piccoli difetti organolettici.

Altro esempio, firmato da Sonia Milan su 6sicuro: “...per un buona frittura è preferibile utilizzare oli ricchi di acidi grassi monoinsaturi e che abbiano subito processi di raffinazione. In questo modo, la loro stabilità al calore (e il punto di fumo) saranno più alti, e non si degraderanno con l’utilizzo alle alte temperature. Per una buona frittura, quindi, preferite l’olio di oliva raffinato non vergine, l’olio di arachidi, così come gli oli di colza e girasole...” L'affermazione è solo parzialmente corretta. Se è vero che, normalmente, la raffinazione consente di avere oli con punti di fumo più elevati, sconsigliare l'extra vergine significa ignorare che quest'olio ha un punto di fumo di 210 gradi contro i 230 gradi dell'olio di arachide. Una differenza non così significativa se consideriamo che, oltre al punto di fumo, bisognerebbe considerare la stabilità ossidativa, molto più alta per l'extra vergine grazie al contenuto fenolico.

Ancora Sonia Milan: “Una delle caratteristiche che deve avere un olio per essere consumato a tavola è che si stato spremuto (o pressato) a freddo. Perché è così importante questa caratteristica? Perché la pressatura a freddo ci dà alcune garanzie:
la materia prima utilizzata deve essere di ottima qualità: con la pressatura a freddo non intervengono altre lavorazioni che consentano di migliorare il prodotto, pertanto se la materia prima non è buona lo si capisce al primo assaggio;
la pressatura a freddo ci dice che il prodotto non ha subito interventi quali l’uso di solventi per l’estrazione, la decolorazione chimica o la deodorazione.
In generale, l’olio extravergine di oliva (EVO), per forgiarsi della denominazione di extravergine, deve essere sempre spremuto e lavorato a freddo. Gli oli di oliva non extravergine e gli oli di semi, invece, sono speso estratti a calda con lunghe e poco salutari lavorazioni. Ecco perché, nel caso in cui si volesse scegliere un olio di semi, è necessario accertarsi che l’estrazione sia avvenuta a freddo. Ricordiamo, infatti, che un buon olio di semi estratto a freddo può arrivare a costare quanto un buon olio extravergine di oliva (EVO).
Falso che l'olio extra vergine, per essere tale, debba essere spremuto a freddo. Esistono anzi due indicazioni facoltative aggiuntive “estratto a freddo” e “prima spremitura a freddo” per questa caratteristica. Falso che gli oli di semi ottenuti per spremitura non subiscano altri trattamenti. Questi oli devono comunque venire raffinati prima di poter essere consumati, rendendo difficile percepire al gusto la differenza rispetto a un olio convenzionale. L'unica differenza tra un olio di semi “estratto a freddo” ovvero per pressatura e uno convenzionale sta nell'estrazione che, per l'olio convenzionale, avviene per mezzo di solventi chimici.

Anche in Italia, patria dell'olio extra vergine di oliva, non mancano enormi e grossolani errori sull'olio extra vergine d'oliva. Scagli la prima pietra chi è senza peccato...

di T N