L'arca olearia

Torna il sottocosto, l'olio extra vergine d'oliva non ha alcun valore

Tornano prepotentemente i prezzi pazzi sull'olio extra vergine di oliva in Grande Distribuzione. Il comparto olivicolo-oleario, dopo l'annus horribilis, non ha saputo creare valori e valore. L'olio artigianale è una promessa ma occorre promozione e comunicazione

27 maggio 2016 | Alberto Grimelli

Chi pensava che i prezzi pazzi sull'olio extra vergine di oliva fossero ricordi di un passato lontano dovrà ricredersi.
Un litro di olio extra vergine di oliva a 2,69 euro da Eurospin, offerta volantino dal 23 al 28 maggio.
Tutto come prima, insomma.
La colpa, è bene dirlo subito, non è dei consumatori e neanche della Grande Distribuzione. La colpa è del settore olivicolo-oleario italiano, soprattutto di quello olivicolo, che non ha saputo sfruttare l'occasione dell'annus horribilis per creare valori e valore intorno all'olio extra vergine di oliva.
Il messaggio che è arrivato alla casalinga di Voghera l'anno scorso è stato: ce n'è poco, quindi costa di più. Visto che però la campagna olearia 2015/16 è stata buona... ce n'è di più, quindi può costare meno.

A testimoniarlo in maniera evidente è la relazione, presentata nel corso del Congresso straordinario di Aifo, di Tiziana Sarnari di Ismea. Tra la mole di dati che ha fornito mi ha colpito l'analisi dei margini lungo la filiera. Si legge: “I prezzi al dettaglio hanno dinamiche che risentono più delle strategie delle catene distributive che non dei movimenti all’origine. Del resto, le forti oscillazioni all’origine sono assorbite parte dall’industria e parte dal distributore in modo da attenuare la variabilità del prezzo finale.” E ancora: “Quella delle Dop è una filiera mediamente più integrata rispetto a quella dell’olio extra di «massa». Non sempre il prodotto Dop riesce a spuntare un premium pricee questo spiega anche lo scarso interesse spesso mostrato dai territori ad aderire al «progetto» di certificazione.”
Insomma, qualità e origine non riescono a spuntare un premio di prezzo sul mercato, anche perchè chi fa il prezzo a scaffale è industria e GDO che, per loro natura, ragionano in un'ottica di mercato di massa (piccoli margini su grandi volumi).

A confermarlo, indirettamente, è stata Giovanna Mennella della direzione commerciale di Coop Italia: “il consumatore non sceglie solo sulla base del prezzo. E' disponibile a pagare di più, per esempio, un prodotto di origine italiana. Il problema diventa quando non percepisce il valore a fronte del prezzo. Quel prodotto resterà a scaffale e se prenderà polvere non sarà destinato a restare in vendita a lungo. Il valore lo deve creare il mondo della produzione, poi la GDO farà la sua parte.”

Cosa significa valore? Una bottiglia di Dom Perignon costa alla Moët & Chandon tra i 17.28 e i 22.28 euro, a fronte di un prezzo di vendita consigliato in enoteca di 129 euro. Un Musigny Grand Cru 2006 di Roumier, prodotto in sole 450 bottiglie, che costa in enoteca 1.500 euro, ha un costo di produzione di 30 euro. Lo Chateau Petrus esce dalla cantina a 450 euro più tasse, ed ha un costo di circa 30 euro.
Questo è valore.

Tiriamo le somme.
Finchè un prodotto non ha un valore rientra nella logica del prodotto di massa, per cui si applicano bassi margini su alti volumi. L'industria e la GDO, come è avvenuto nel 2015, sono disponibili ad avere anche margini nulli o negativi pur di mantenere inalterate le quote di mercato. Questo significa assorbire parte dell'incremento dei costi all'origine per non trasferirlo al consumatore.
Entrare in una logica di prodotto di massa significa competizione sui centesimi. Significano offerte promozionali, offerte volantini e sottocosto.
Per uscire dalla logica del prodotto di massa bisogna costruire un valore. Un valore, voglio sottolinearlo molto bene, che sia percepibile e ben chiaro nella testa del consumatore. Un lavoro di comunicazione e marketing che spetta al mondo della produzione. Non spetta certo all'industria che ragiona, per sua stessa natura, in una logica di mercato di massa. Non spetta, come dichiarato da Coop Italia, neanche alla GDO che può vendere valore ma non crearlo.

Creare un valore significa dare un'identità a un prodotto. Significa renderlo riconoscibile e distintivo. Non meglio o peggio, semplicemente diverso.
Personalmente, l'ho detto più volte, credo fortemente nell'idea dell'olio artigianale. E' un concetto semplice, chiaro e facilmente intelleggibile da chiunque. Si lega alla nostra storia, gli artigiani sono i mastri di rinascimentale memoria, si lega alla territorialità, al saper fare, al “gusto” italiano. Un sacco di valore a saperci scavare, tirandolo in superficie. Ma richiede un lavoro di comunicazione e marketing.

Il mondo della produzione dell'olio extra vergine di oliva ha un esempio da seguire, che è quello della birra. La nascita dei microbirrifici, la proposta sul mercato di birre artigianali con gusti, sapori e profumi molto diversi, la scoperta di un mondo. E' nata la birra artigianale, si è diffusa, è diventata fenomeno di moda, ora il legislatore se ne sta occupando, regolamentando l'uso della definizione “birra artigianale”.
Non vorrei che il mondo dell'olio sia tentato invece di fare invece il percorso contrario. Ovvero prima creare una legge per “proteggere” l'olio artigianale per poi proporlo sul mercato. Significherebbe che non ha imparato nulla dal “fallimento” della Dop. Una legge di tutela non crea valore. Come dice la parola stessa, una norma tutela un valore esistente.
L'olio artigianale deve crearsi un'identità, una riconoscibilità e una distintività, attraverso un sapiente lavoro di marketing e comunicazione, basato ovviamente su una realtà ben tangibile e documentabile, solo dopo potrà chiedere alla politica di tutelare questo valore con una legge.
Finchè questo non accadrà l'olio extra vergine d'oliva non avrà valore e lamentarsi del sottocosto di turno non produrrà nessun effetto.

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NICOLA BOVOLI

31 maggio 2016 ore 12:57

Caro Alberto, sono anch'io d'accordo con te e con Giampaolo. Per far capire il concetto di valore aggiunto, oggi che va di moda lo Strory telling io ricordo sempre che in una realtà contadina il valore aggiunto dell'olio rispetto al vino risultava evidente nell'economia del baratto: per un fiasco d'Olio l'olivicoltore otteneva dal Vignaiolo 10 fiaschi di vino! Ed in ogni caso, facendo sempre un paragone col vino: qualsiasi consumatore sa che c'è una bella differenza tra una tanichetta di "Tavernello" e una bottiglia di "Sassicaia". Io non sarei però così pessimista: il consumatore consapevole si rende perfettamente conto della differenza che c'è tra un olio industriale ed un olio Artigianale con le sue caratteristiche di Tracciabilità (Produttore-Frantoio-Imbottigliatore) e per questo che è necessario utilizzare sempre più la leva della comunicazione per spiegare le differenze tra due tipologie: sarà poi il consumatore a fare le sue scelte tenendo conto anche degli aspetti salutistici ed organolettici rispetto a quelli meramente economici. Sarò un illuso ma voglio credere in un Risorgimento dell'Olio Artigianale di qualità rispetto ad un olio industriale. Spes...ultima dea!

giampaolo sodano

29 maggio 2016 ore 23:44

caro alberto hai proprio ragione. tuttavia non abbiamo altra strada che continuare a lavorare, come ha fatto l'AIFO nei venti anni trascorsi, per far crescere nella coscienza degli artigiani dell'olio la consapevolezza della loro responsabilità. così come i manager della GDO dovranno darsi un codice etico che garantisca al consumatore di non trovare sullo scaffale i prodotti di quelle aziende agroalimentari condannate dall'Autorità per la concorrenza per frode in commercio.