L'arca olearia
Per far finire il sottocosto sull'olio d'oliva serve un codice etico
Frodare la legge o tentare di trovare in essa un varco che consenta di ingannare il consumatore è tentazione molto forte. Occorre responsabilità, se vogliamo continuare a poter condire l'insalata con un buon olio d'oliva italiano. E' possibile?
02 ottobre 2015 | Mario Pacelli
Ho letto con interesse gli interventi sul "Teatro Naturale" del presidente dell'Assitol e di quello di Unaprol a proposito della vendita di olio vergine di oliva a prezzi inferiori a quelli di costo (accertati dall'ISMEA): debbo dire da persona estranea alle parti in causa e ai loro interessi che sono piuttosto perplesso a proposito delle conclusioni (ammesso che siano tali) alle quali i due presidenti pervengono.
Mi sembra anzitutto piuttosto fuorviante mettere sul banco degli accusati di tutti i mali del settore la grande distribuzione: hanno i loro torti (e sono molti) ma sono aziende che perseguono fini di lucro e che cercano di conseguire il miglior risultato commerciale possibile. Se vendono un prodotto ad un prezzo inferiore al costo di produzione è segno evidente che qualcuno ha ceduto loro quel prodotto ad un prezzo ancora più basso. Perché? Le risposte possono essere molte, alcune pienamente accettabili (ad esempio la necessità per un'azienda di disporre di denaro liquido, o di vendere un prodotto di cui si avvicina la data di scadenza della commercializzazione), altre ricadono nelle frodi del produttore più o meno abilmente mascherate, ad iniziare dalle etichette con qualche “inesattezza” non ammessa dalle norme in vigore ma che frutta buoni quattrini. Ritengo che sia lecito chiedere alla grande distribuzione di attenersi ad un codice etico che comporti una verifica attenta del prodotto al di là dell'ossequio (formale) alle leggi vigenti: ad esempio, quando si acquista a prezzo ridicolo una grande quantità di olio etichettato come extravergine di oliva non sarebbe il caso spendere qualche euro per una verifica chimico-fisica? Non sarebbe risolutivo ma forse darebbe la sensazione che sarebbe meglio evitare il peccato…
Il discorso - e non potrebbe non essere così - diventa quello della chiarezza della filiera che tutti sembrano volere ma che poi ciascuno intende a modo suo (secondo i suoi interessi legittimi o meno che siano). Non lo sono, tanto per intenderci, quelli di frodare la legge o di trovare in essa un varco che consenta di ingannare il consumatore. A mio avviso è possibile un codice etico cui dichiarino di uniformarsi tutti i protagonisti della filiera dell'olio d'oliva concordato tra le organizzazioni che li rappresentano, con libertà di adesione o meno da parte delle aziende ed indicazione in etichetta della adesione. A mio parere le norme UE vigenti consentono anche l'emanazione di norme sull'uso della dicitura “alta qualità” con la determinazione delle condizioni necessarie affinché essa possa apparire in etichetta e la previsione di facilitazioni per la filiera italiana dell'olio avente quelle caratteristiche.
È probabile che l'adozione di una soluzione di questo tipo comporti una accentuazione della tendenza alla destrutturazione del mercato: ritengo però che ciò non sia un fatto negativo in quanto mette il consumatore dinanzi a scelte precise di qualità e di prezzo, come mi sembra debba avvenire. Certo che se pensiamo ancora di puntare sulla scarsa conoscenza del prodotto per vendere in Asia olio di sansa non riusciremo mai ad uscire dalla logica oggi dominante del furbetto di turno.
È probabile che l'olio di alta qualità, proprio perché tale, avrà un mercato di nicchia con prezzi più elevati di quelli attuali: non mi sembra un grande guaio nel momento in cui gli scaffali dei supermercati si preparano ad essere invasi da bottiglie di olio targato Unione Europea (spesso tale solo dopo triangolazioni che vedono olio d'oliva importato da paesi europei dove gli ulivi crescono solo nei giardini botanici) un tempo esportato negli Usa e in tanti altri paesi che, come dimostrano le statistiche, ormai preferiscano acquistare olio da imbottigliare in casa propria. Sempre più vicino è l'olio tunisino e marocchino (8 milioni di ulivi messi a dimora o in via di esserlo) sull'altra sponda del Mediterraneo insieme all'avanzata della Turchia nel COI per la rappresentanza dei paesi consumatori e all'affacciarsi sul mercato internazionale dell'Australia dove un grande industriale italiano dell'olio ha fatto ingenti investimenti: è tutto un mondo che sta cambiando e che esige l'abbandono di antichi privilegi senza demonizzare nessuno ma chiedendo a ciascuno di assumersi precise responsabilità.
Francamente non so come finirà: la scimmia sapiente di Don Chisciotte proprio perché era sapiente conosceva solo il passato ma non si azzardava a predire il futuro, come molti sapientoni sembrano voler fare. Vorrei solo per poter continuare a condire l'insalata con un buon olio d'oliva italiano. Chiedo troppo?
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