L'arca olearia

Quando l'olio non è tutto extra vergine d'oliva: l'evoluzione della contraffazione olearia

Si può ancora fregiare della denominazione extra vergine, l'olio ottenuto da miscelazione tra diverse categorie commerciali, ancorchè in linea con i parametri chimici e organolettici tipici del re dei grassi? Per limitare le contraffazioni si inizia da qui

23 settembre 2015 | T N

E' lecito miscelare olio vergine o un lampantino con altro extra vergine d'oliva e poi etichettare questa miscela come extra vergine d'oliva?

Se l'olio in questione rispetta tutti i parametri chimici e organolettici della relativa categoria commerciale, secondo una prassi ormai consolidata e in uso da anni nell'industria olearia, la forma e la sostanza della legge è rispettata.

Non dello stesso avviso è però il Sostituto Procuratore delle Repubblica di Bari, Marcello Quercia, audito in Commissione anticontraffazione il 10 settembre 2015, le cui parole si possono leggere nella Relazione finale sui fenomeni della contraffazione in campo oleario, approvata all'unanimità: “la vendita come olio extra vergine di oliva di un olio frutto di miscelazione configura un comportamento di tipo ingannevole da parte del produttore ai danni del consumatore il quale, nella convinzione di acquistare un extra vergine “puro”, acquista viceversa un prodotto non rientrante in tale categoria commerciale, in quanto originato dalla combinazione di oli di categorie e di qualità diverse, artificiosamente miscelati in modo da ottenere un prodotto rientrante solo nei meri parametri chimici dell'extra vergine. Trattasi, in pratica, di un olio che dell'extra vergine possiede il solo parametro chimico, peraltro non originario, cioè non ottenuto direttamente, bensì da un processo di miscelazione, quindi, sostanzialmente creato in laboratorio.”

Si legge anche nella relazione: “vale ricordare che la pratica della miscelazione è prevista dall'articolo 3 del Regolamento 29/2012 esclusivamente per l'olio d'oliva costituito da miscela di olio di oliva raffinato e oli di oliva vergini, con l'esclusione dei lampanti e per l'olio di sansa di oliva costituito da miscela di olio di sansa raffinato miscelato con olio vergine, sempre con esclusione dei lampanti. In tale senso la miscelazione degli oli costituisce una pratica usuale che deve essere realizzata all'interno della medesima categoria merceologica, e che può essere utilizzata anche per fini leciti di conferimento di particolari caratteristiche organolettiche al prodotto finale.

Perchè il tema della miscelazione tra diverse categorie merceologiche sia particolarmente importante e sensibile lo spiega, poco più aventi nella relazione la Repressione Frodi.
L'ICQRF ha evidenziato tra le maggiori criticità il fenomeno degli oli da primo prezzo e quelli designati dall'indicazione italiano.
Sul fenomeno dell'olio da primo prezzo, si è riscontrato che la forte contrazione dei prezzi alla distribuzione ha generato un aumento della richiesta di materie prime a prezzi bassi, specialmente di origine spagnola e greca, da parte delle imprese commerciali e confezionatrici, anche se si tratta di olio caratterizzato all'orgine da caratteristiche chimico-fisiche ed organolettiche di scarso pregio, spesso artificiosamente mascherate mediante i tre seguenti sistemi di frode:
- ricorsi a sistemi tecnologici vietati nella produzioni degli oli extra vergini di oliva e vergini di oliva (deodorazione o utilizzo di lampanti raffinati):
- commercializzazione di olio appartenente a categorie merceologiche inferiori rispetto a quanto dichiarato, sebbene il prodotto sia consapevolmente designato nei documenti giustifcativi del Sian come olio extra vergine di oliva, mentre nella relativa documentazione di trasporto e di acquisizione fiscale risulta essere “olio vergine di oliva” oppure “olio lampante” (quest'ultimo non edibile se non dopo raffinazione)
- commercio di olio extra vergine di oliva di diversa origine, spacciato come “Italiano”, spesso anche illecitamente designato come “olio da agricoltura biologica

Le criticità ancora insite nel sistema olivicolo-oleario italiano, quindi, riguardano essenzialmente la mancanza di chiarezza sulla miscibilità di oli di categorie diverse al di fuori delle fattispecie espressamente previste dal regolamento 29/2012 e le falle nella tracciabilità del prodotto.

Tali falle, come emerge dalla Relazione, partono dal campo, con produzioni di olive ad ettaro non compatibili con ambiente, varietà e gestione agronomica, per arrivare al frantoio, con rese in olio improponibili per varietà, area geografica e periodo della campagna olearia, fino ad arrivare alla fase di trasporto, con documenti fiscali (Ddt e fatture) non coincidenti con l'omologo amministrativo (registrazioni Sian).

Come risolvere tali falle?

Occorrerebbe, secondo le conclusioni della Relazione, chiarezza sul tema della miscibilità di oli di categorie diverse, auspicabilmente vietandola, e contemporaneamente creando database ampi e attendibili sulla produttività degli oliveti nei vari areali e sulle rese in olio nelle varie zone geografiche, così da evidenziare eventuali anomalie. La proposta della Commissione anticontraffazione è anche quella di istituire, in campo oleicolo, un sistema di tracciabilità durante il trasporto simile a quello vigente in campo vitivinicolo (MVV), così da evitare disallineamenti tra i documenti di viaggio e le relative trascritture sul registro Sian. Solo così si può garantire una corretta tracciabilità del prodotto dal campo alla bottiglia, a tutela del consumatore.