L'arca olearia

Bassa acidità non significa alta qualità. Allora che valore ha un marchio?

Un extra vergine con 0,4 di acidità e 15 di perossidi può sfoggiare il marchio Bassa acidità, ma è davvero un olio di Alta qualità? La logica del mordi e fuggi sembra si sia impossessata del comparto olivicolo-oleicolo. Non si costruisce più, si brucia soltanto valore aggiunto

16 gennaio 2015 | Alberto Grimelli

Un'etichetta, la carta di identità di un prodotto, può dire tante cose e anche tante altre celarne, oppure cercare di farlo.

Come fare a promuovere l'eccellenza olearia nazionale quando in commercio circolano extra vergini di oliva che, attraverso loghi, immagini e marchi, si ammantano di un'aurea di alta qualità, nascondendo invece all'interno un olio standard e commerciale?

E' la domanda che ci siamo posti, durante una piacevole passeggiata per Lucca, Fausto Borella, autore della foto che vi presento, Maurizio Pescari e il sottoscritto.

Ci sono etichette nate, costruite e studiate per far comprare il prodotto. Fin qui niente di male, se le promesse vengono mantenute. Ma se non è così, chi ci rimette? Se un olio che si presenta di Alta qualità nasconde invece la mediocrità, chi sarà a pagarne il prezzo? Solo quell'extra vergine, e il suo produttore, o tutto il segmento dell'Alta qualità?

L'impressione è che la crisi, morale ancor prima che economica, abbia accentuato logiche speculative, da mordi e fuggi. Si presenta un marchio o un logo e, quando si brucerà (non se, ma quando), se ne creerà un altro, all'infinito. Si sfrutta, fino all'ultima goccia, un'idea, un concetto, un'immagine e, quando è troppo logorata, si butta via.

E' quanto sta accadendo con la Bassa acidità. Anche volendo trascurare gli aspetti amministrativi, legali e giuridici dell'uso di questa dizione, vi è indubbiamente uno sfruttamento di questo marchio in barba al concetto che il consumatore ha di Bassa acidità, ovvero Bassa acidità = Alta qualità.

Niente di più falso, purtroppo.

Un olio extra vergine con 0,4 di acidità e 15 di perossidi non è un olio di Alta qualità. Non lo è tecnicamente, poiché un olio con queste caratteristiche tenderà a deteriorarsi e inrancidirsi in brevissimo tempo. Non lo è neppure per la politica e i tecnici che hanno realizzato il disciplinare dell'olio italiano di Alta qualità, giacente in un cassetto al Ministero dell'agricoltura, che prevede acidità 0,3 e perossidi 12, come valori massimi ammessi.

Non mi dilungo ulteriormente, semplicemente prendo atto che così non si mantiene quello che si promette.

Un olio siffatto si ammanta del marchio Bassa acidità pur non essendo un olio di Alta qualità.

Finchè dura il gioco, finchè ci saranno consumatori che ancora crederanno che Bassa acidità vuol dire Alta qualità, quest'extra vergine resterà sugli scaffali. Poi si butterà via qual marchio e se ne costruirà un altro, che però sarà destinato a vivere meno del precedente, finchè i marchi e i loghi non varranno più nulla.

E' questa la via lungo la quale ci stiamo indirizzando. E purtroppo si vedono già i segni premonitori di questa triste fine.

Queste logiche speculative stanno uccidendo il settore e chi le usa è l'assassino del comparto olio di oliva italiano.

Non c'è infatti niente di più prezioso della fiducia del consumatore, italiano e internazionale. Bruciando marchi, loghi e immagini a ripetizione non facciamo altro che minare, giorno dopo giorno, la fiducia del consumatore che non crederà più a nulla.

Dopo aver costruito con fatica, sudore e sacrifici l'immagine dell'Italia culla della qualità, non vorrei dover raccontare ai nostri figli la parabola del: c'era una volta il valore aggiunto...

No, gli assassini dell'Alta qualità vanno fermati. Ora!

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Alberto Grimelli

23 gennaio 2015 ore 09:29

Gentile Signora Angela,
volendo fare un parallelismo, giudicare un olio extra vergine di oliva dall'acidità equivale a voler giudicare un vino dal grado alcolico.
Vero è che guarderò con sospetto un vino rosso con un grando alcolico di 11-11,5 gradi ma non è l'unico parametro che prendo in considerazione.
E' quindi falso associare la qualità dell'extra vergine unicamente all'acidità. Ci possono essere oli con acidità abbastanza basse ma numero di perossidi alto e difetto di rancido. Quando si è in presenza di difetto l'olio in questione non solo non è più di qualità ma non è più proprio extra vergine.
E' quindi sbagliato associare la qualità di un olio solo alla sua acidità, da cui la mia affermazione che è falsa l'affermazione che bassa acidità = alta qualità.
In un olio bisogna tenere di conto di una pluralità di fattori e parametri, non di uno solo.
Un olio di buona qualità complessiva ha basse acidità e numero di perossidi, indici spettrofotometrici in regola, alto tenore in polifenoli. Questo solo per tenere in considerazione i principali parametri chimici. Dal punto di vista organolettico deve avere un sentore di frutto di oliva, possibilmente pronunciato, sensazioni vegetali, floreali e un po', almeno un po', di amaro e piccante.
Cordiali saluti

angela moroso

23 gennaio 2015 ore 08:19

Grazie per il chiarimento, continuo tuttavia a pensare che il suo articolo sia piuttosto fuorviante, in particolare quando scrive "Bassa acidità = Alta qualità. Niente di più falso, purtroppo", per poi spiegare che solo l'acidità sotto lo 0,3% (cioè bassa) è indicativa di oli di alta qualità. È senz'altro giusto ritenere che il limite di legge dello 0,8% sia troppo alto per garantire la qualità, ma sostenere che il concetto è falso senza ulteriori precisazioni può creare ancora più confusione nei non addetti ai lavori.
Lo dico perché anche a causa di affermazioni di questo tipo che poi quando si cerca di parlare di olio al consumatore medio escono assurdità di vario livello, al limite dell'aberrazione, frutto di informazioni poco chiare.

Alberto Grimelli

22 gennaio 2015 ore 10:54

Accolgo con favore la critica di aver sorvolato troppo sulle questioni tecniche e rimedio immediatamente.
Prenderò in esame i due parametri indicati.
L'acidità libera è un parametro chimico di qualità, indice di una reazione lipolitica. I trigliceridi vengono “attaccati” da enzimi separando così la glicerina dagli acidi grassi. Gli acidi grassi liberi danno luogo all'acidità dell'olio che è espressa espressa in grammi di acido oleico su 100 grammi di olio (%). Non si può avvertire in bocca poiché i recettori di cui siamo dotati sul palato non si legano con molecole grandi come l'acido oleico. Un olio di qualità ha acidità inferiori a 0,3, più spesso tra 0,1 e 0,2. Valori elevati di acidità sono il segnale di problemi durante le fasi produttive: attacchi di mosca, olive troppo mature, olive conservate male e troppo a lungo. Durante la conservazione dell'olio l'acidità si alza naturalmente, per una reazione “autocatalitica”. Tanto più elevata è l'acidità di partenza, tanto più la reazione procederà rapidamente, degradando l'olio e potendo evidenziare difetti organolettici come avvinato, riscaldo, muffa.
Il numero di perossidi è un altro importante parametro chimico di qualità che misura lo stato di ossidazione di un olio. Tanto più l'olio viene a contatto con l'ossigeno, tanto più si degrada. L'ossidazione può avvenire dentro l'oliva, durante il processo di frangitura (ossidazione primaria o enzimatica) ma può anche dipendere alla conservazione dell'olio. La reazione, una volta iniziata, procede a catena con formazione di nuovi radicali favorita dalla luce, dal calore e dal contatto dell'olio sia con l'ossigeno atmosferico sia con alcuni metalli (ferro, rame, nickel) che agiscono da catalizzatori. Gli idroperossidi sono molecole molto instabili la cui facile decomposizione dà luogo alla formazione di composti volatili (aldeidi e chetoni) responsabili dei irrancidimento. Un olio con alto numero di perossidi presenta quindi frequentemente il difetto organolettico di rancido. Il numero di perossidi è espresso in milliequivalenti di ossigeno attivo per chilo di olio (meq O2/kg). Un olio di qualità ha numero di perossidi inferiore a 10.
Spero di essere stato esauriente.
Cordiali saluti

angela moroso

22 gennaio 2015 ore 08:59

Argomento molto interessante, tanto più considerando il fatto che il consumatore medio pensa che l'acidità si percepisca in bocca. Però a mio parere bisognerebbe lasciare più spazio alle ragioni tecniche della tesi che si sostiene piuttosto che alle invettive, cioè ogni opinione andrebbe argomentata per dar modo a chi legge di capire il perché di quello che legge. Altrimenti quella espressa rimane un'opinione senza contesto e senza autorevolezza, con il rischio di confondere ulteriormente le idee. In ogni caso, mi piacerebbe poter approfondire l'argomento.

ROBERTO MASTRODICASA

19 gennaio 2015 ore 11:03

Troppa fiducia in un consumatore che è ormai abituato ad oli difettati per riscaldo, avvinato, rancido, ecc. ecc. Purtroppo l'industria appoggiata dalle nostre Istituzioni che pensano a inutili registri e controlli basati solo sulla burocrazia e non sul controllo del prodotto ha vinto per cui avanti con le bruschette, insalate e fagioli accompagnate da Bertolli, Monini e Farchioni

Emanuele Aymerich

17 gennaio 2015 ore 12:46

Va bene, non sono analisi eccezionali da alta qualità, concordo su questo. Però apprezzo molto che ci abbiano messo la faccia stampando le analisi sull'etichetta frontale dando al consumatore la possibilità di valutare. Peccato manchino i polifenoli, però. Certo, ora come ora non servono a molto perché pochi sanno leggerle, le analisi, e la loro presenza potrebbe addirittura essere vista come un ingannevole indice di alta qualità, ma se fosse obbligatorio per tutti i confezionatori indicarle non solo non sarebbe più ingannevole ma anche il consumatore diventerebbe presto informato nel capirle e fare confronti: la gente l'alta qualità la capirebbe da sola. Basta fermarsi mezz'ora davanti allo scaffale di un grande ipermarket e osservare la gente, e io ogni tanto lo faccio, per constatare quanta gente è in palese difficoltà nella scelta di una bottiglia che non sia da primo prezzo e le loro facce perplesse: non sono pochi quelli che, pieni di dubbi, rinunciano all'acquisto. Provare per credere.

GIOVANNI PASSERI

17 gennaio 2015 ore 09:59

Caro Grimelli,
questo lo deve dire a tutti coloro che da tempo vanno sostenendo che è importante "il Marchio".
Mi fa piacere che finalmente qualcuno metta in evidenza che il marchio è un mezzo per speculare a danno sia dei produttori che dei consumatori.
Per contro sarebbe necessario comunicare che quello che conta è la serietà e la professionalità delle aziende agrarie produttrici.
Dr. Agr. Giovanni Passeri