L'arca olearia
Tra inadeguatezza e opportunità. Il filo sottile su cui cammina l'agricoltura italiana
In Italia occorre rovesciare il paradigma e fare in modo che sia la mela buona a scacciare quella cattiva, non il contrario. Sul mercato globale è un fiorire di nuovi consumatori in cerca non solo di qualità ma anche di diversità
16 maggio 2014 | Pasquale Di Lena
Chiamato a tenere una lezione sull’attualità e il futuro dell’olio dalla Scuola del Gusto, una straordinaria e interessante iniziativa aperta, da Sebastiano Di Maria, nella mia città, Larino nel Molise, ho ritenuto opportuno partire dai venti anni dell’Associazione Nazionale delle Città dell’Olio, che ha visto proprio a Larino la sua nascita, il 17 dicembre del 1994, e lo sviluppo delle sue prime idee e iniziative.
Partire da quest’avvenimento per dire che con i venti anni dell’Associazione Nazionale Città dell’Olio si chiude il periodo in cui ha preso il via, in modo definitivo, la nuova cultura dell’olio, sapendo che è già partito uno nuovo e, a mio parere, tutto all’insegna della qualità di questo straordinario delizioso prodotto, che gli interessi di quella parte della filiera preoccupata più dalla quantità non hanno mai messo in luce.
Anche questa volta, ne sono certo, le Città dell’Olio faranno la loro parte per accelerare ancor più il processo di rinascita dell’olio di qualità, in considerazione degli oliveti impiantati in numerosi Paesi, che solo da poco tempo e per la prima volta coltivano olivi e producono olio, ma anche delle migliaia di ettari che entreranno in produzione nell’area del Mediterranea grazie, soprattutto, ai paesi dell’Africa settentrionale.
Nuovi impianti che, com’è facile pensare, non possono non produrre che qualità, nel momento in cui vogliono conquistare vecchi e nuovi consumatori di un mercato globale. Non ci sarà più solo la mela marcia a scacciare quella buona, ma anche quella buona a diffondere, far conoscere ed esaltare la qualità dell’olio che va sotto il nome e la classificazione “extravergine di oliva”.
Nei prossimi anni, questo processo già iniziato, che vede protagonista la qualità, sarà accelerato dalla nuova diffusione della cultura dell’olio, che riguarda certamente l’Italia, ma anche tutti gli altri paesi produttori di olio di qualità. Tutto sull’azione di una valorizzazione dei territori di origine, con l’olio straordinario e importante testimone; crescita della domanda per l’olio biologico; un nuovo rapporto del produttore e del trasformatore con il consumatore, grazie anche a un più diretto coinvolgimento delle figure intermedie della ristorazione e della distribuzione; l’avvento sul mercato globale di nuovi consumatori, nella gran parte curiosi e esigenti non solo di qualità anche di diversità.
Un aspetto quest’ultimo che vede l’Italia avvantaggiata fortemente di fronte agli altri paesi concorrenti nel momento in cui ha a disposizione un ricco patrimonio di biodiversità, che è il doppio di quello che resta dell’intero patrimonio mondiale.
Un patrimonio tutto da sfruttare e, a tale proposito, torna di grande attualità il progetto “Olivoteca d’Italia”, pensato e predisposto, anni fa, con la collaborazione della CIA e delle Città dell’Olio, quale fondamentale strumento di comunicazione di questo patrimonio di biodiversità, vincente per i successi dell’olivicoltura italiana e i suoi oli.
Di questi successi e del valore aggiunto che da essi può arrivare ai nostri olivicoltori ne ha estremo bisogno la nostra agricoltura e il territorio ancora rimasto a disposizione del cibo e del paesaggio se viene bloccato, senza ulteriori rinvii, quel processo di cementificazione di questo bene primario. Una follia che serve solo agli affamati speculatori e che toglie il domani alle nuove generazioni, nel momento in cui viene così malamente sperperato da governi e amministratori a tutt’i livelli e da una classe dirigente che ha mostrato, al pari della politica, di non essere all’altezza dei compiti del momento.
Ed è questa inadeguatezza il punto critico del nostro ragionamento che porta a vedere la grande opportunità dei mutamenti in corso e di quelli che ci saranno da domani con la diffusione della cultura dell’olio e la conseguente crescita delle attenzioni del consumatore, che sempre più punterà sull’olio di qualità per la sua salute e il suo benessere e, non solo, anche per appagare il gusto di nuove sensazioni e nuove emozioni.
Senza programmazione, un piano olivicolo e un’attenta strategia di mercato (un discorso che vale per l’olio come per tutti gli altri prodotti della nostra agricoltura, quella stessa che, nella veste di principale protagonista, dovrà animare fra un anno l’Expo internazionale 2015 di Milano), il rischio è di non cogliere le opportunità che la rivoluzione già in atto mette a disposizione soprattutto del nostro Paese e della fama che vive nel mondo.
Una notorietà diffusa grazie alle sue eccellenze nel campo del cibo, opera d’intelligenza e professionalità dei suoi produttori e trasformatori; la passione e arte dei suoi bravi ristoratori; l’immagine della Dieta mediterranea; i primati nel campo delle produzioni biologiche, delle indicazioni geografiche - una straordinaria risorsa, tutta da sfruttare e non da eliminare come teorizza l’ultimo degli arrivati ed esaltati nel mondo dell’enogastronomia - della biodiversità e della bontà e bellezza dei suoi paesaggi.
Per dare più concretezza al mio ragionamento ho portato come esempio il Molise che, in quanto a olio e alle altre sue eccellenze, è sì piccolo ma grande di diversità e, come tale, certamente poco ma di sicuro buono.
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