L'arca olearia
Il grande inganno dell'olio extra vergine d'oliva e la speranza dell'Alta Qualità
I due pilastri su cui poggia il mondo olivicolo-oleario si stanno disfacendo, anche se a velocità diverse. La guerra in corso è frutto di un equilibrio ormai venuto meno per condizioni sociali, economiche e politiche. Occorre rifondare ma il terzo incomodo si fa attendere. Il motto della politica oggi pare essere: non fare oggi quello che puoi rimandare a domani
17 gennaio 2014 | Alberto Grimelli
L'olio extra vergine d'oliva non esiste più. Oggi è solo un grande inganno, una trave traballante e destinata ad abbattersi presto al suolo. Prima di ricostruire la trave occorre però rifondare i due pilastri su cui dovrà poggiare.
Per molti anni il mondo oleario è stato governato, nel bene e nel male, sulla base di un tacito accordo tra olivicoltori e frantoiani da una parte e imbottigliatori e industriali dall'altra.
Olivicoltori e frantoiani godevano di abbondanti sussidi pubblici, arrivando al punto che la compensazione del reddito era persino superiore al reddito stesso. Una droga.
Imbottigliatori e industriali hanno goduto di una “liberalità commerciale” che era costituita non solo da frodi e sosfisticazioni, ma anche da regole molto blande e accomodanti, da controlli depotenziati, da sanzioni leggerissime. Un'immensa zona grigia dove si potevano fare buoni affari. Una droga.
A un certo punto uno dei due pilastri ha cominciato a essere eroso alla base. I contributi pubblici per olivicoltori e frantoiani hanno cominciato a ridursi. Prima le associazioni hanno tentato di attuare una strenua difesa delle prerogative dei loro iscritti, poi hanno cominciato a picconare l'altro pilastro. Muoia Sansone con tutti i Filistei.
Come fu una battaglia di retroguardia quella contro la riduzione dei sussidi, oggi lo è quella di una parte del mondo industriale contro la demolizione della “liberalità commerciale” di cui hanno goduto e stanno, in parte, ancora godendo.
Non ci sono infatti solo olivicoltori e frantoiani a picconare quel pilastro. Molti altri si stanno aggiungendo. Non è un caso se si stanno moltiplicando scandali internazionali su frodi e sofisticazioni: dagli Usa al Giappone, a Taiwan. La reputazione del sistema oleario non è mai stata tanto bassa, come dimostrano i recenti avvenimenti in Cina, dove persino le evidenze scientifiche a tutela delle aziende europee sono state cestinate. Non ci credono più.
La battaglia di retroguardia condotta da una parte del mondo industriale e commerciale è destinata a fallire ma far sopravvivere quel sistema per qualche anno ancora, significano milioni di euro. E' per questa ragione che a picconate hanno cominciato a rispondere con picconate.
Ne è scaturita una guerra che dura ancora oggi. Una guerra che non avrà vincitori né vinti se gli attori non decideranno, finalmente, di demolire definitivamente i due pilastri traballanti su cui poggia la trave dell'extra vergine, costruendone di nuovi.
L'Alta Qualità, in questa prospettiva, rappresenta una chance.
Il modello di certificazione costruito, il disciplinare, i parametri. E' tutto imperfetto, frutto di compromessi, spesso al ribasso. Ci si potrebbe scrivere un libro sulle magagne e le aberrazioni dell'Alta Qualità. Qualcuno magari lo farà.
Resta comunque un'opportunità, per entrambi gli attori della filiera: partire dall'Alta Qualità per costruire una nuova casa per il mondo oleario. Nuove fondamenta e un nuovo equilibrio che parta dal mercato, anzi dai mercati.
L'Alta Qualità ha infatti in sé un difetto originario. E' ancora un'area grigia tra gli artigiani e gli industriali. Gli uni e gli altri possono utilizzarla. Il come farà la differenza.
Se ciascuno dei due cercherà di piegarla ai propri interessi, il tutto si tradurrà nell'ennesima battaglia campale senza vincitori né vinti. L'ennesimo marchio, l'ennesimo sperpero di soldi pubblici.
Le denominazioni d'origine ne sono il lapalissiano esempio, purtroppo. Strette tra le deficienze di olivicoltori e frantoiani che non vi hanno costruito sopra un mercato e le furbizie di industriali e imbottigliatori che le hanno utilizzate come traino e grimaldello a favore dei loro prodotti standard.
Se accadrà lo stesso, l'Alta Qualità fallirà e potrebbero essere i colpi decisivi ai due pilastri, facendo rovinosamente cadere la trave dell'extra vergine.
Se, invece, ciascuno dei due prenderà spunto dall'Alta Qualità per separare il mercato dell'olio artigianale da quello dell'olio industriale, allora forse c'è una speranza.
L'Alta Qualità è un nuovo campo di gioco dove speriamo non varranno le vecchie regole, sempre che la politica, terzo incomodo, si decida a occuparsi del tema.
Oggi sta solo perdendo e prendendo tempo, in attesa e nella vana speranza che il comparto si risani da sé, per poi porre il sigillo sul compromesso raggiunto.
L'Alta Qualità è oggetto di continue e inutili riunioni che producono documenti smentiti nel giro di pochi giorni, se non di poche ore. Il motto è decidere di non decidere. Sia mai che venga fatto oggi quello che può essere rimandato a domani.
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Accedi o RegistratiGino Celletti
19 gennaio 2014 ore 13:25Dobbiamo definitivamente dare al Consumatore uno strumento tecnico nuovo per riconoscere "al volo", dall'etichetta, un olio buono da uno meno, uno strumento alternativo o sostitutivo della frase 'extra vergine", indipendentementeon dal fatto che a commercializzare l'olio sia un industriale o un artigiano. Questo strumento, sia esso il valore dei polifenoli o altro, consentira' vantaggi a tutti:
- al cliente di scegliere quello che vuole e pagarlo quanto vale
- al produttore di misurarsi con il mercato con regole uguali per tutti
Prendiamo esempio da quanto fanno altri prodotti.
Un produttore di vino modesto non si crea problemi se vende il suo vino di 11,5 gradi a poco, perche' sa di venderne di piu di uno a 14, piu' caro e' piu' impegnativo a tavola e dopo.
Con l'olio dovra essere lo stesso se vogliamo ricostituire le regole del mercato su basi concrete. Un olio da poco con 100 mg/kg potra' / dovra' costare poco ed uno con 800 mg/kg di polifenoli potra' / dovra' costare di piu' e sappiamo perche'. Basta nascondersi dietro a un dito, "time is over".
Pier Sante (nino) Olivotto
19 gennaio 2014 ore 09:41Ottimo articolo. Occorre pero' aggiungere il tassello piu' importante : il consumatore . L' Alta Qualita' puo decollare solo se si incomincia ad educare il mercato che l' olio oltre un certo livello di qualita (vedi biofenoli) diventa il miglior cibo nutraceutico esistente,
Alberto Grimelli
19 gennaio 2014 ore 09:39Egr. Dott. Labarile,
prima di tutto, a scanso di equivoci, il suo intervento è a titolo personale o come responsabile qualità della Monini?
In ogni caso, venendo al merito. Separare il mercato non significa necessariamente creare nuove denominazioni commerciali o nuove regole, come credo abbia frainteso, ma offrire nuove scelte al consumatore.
L'olio extra vergine d'oliva non è tutto uguale. Non esiste l'olio extra vergine d'oliva e basta. E' per questo che io preferisco parlare di oli extra vergini di oliva.
Una differenziazione basata unicamente sulla qualità intrinseca del prodotto (parametri chimici, regole, normative...) è una semplificazione eccessiva, considerando che esiste anche la qualità percepita, basata su dati meno oggettivi dei precedenti, ma non meno importanti, come fattori emozionali, edonistici, nutrizionali, salutistici, etici, ambientali...
Ci dobbiamo quindi confrontare con la qualità percepita del prodotto che è un coacervo di necessità ed esigenze specifiche di ogni consumatore. C'è chi dà molta importanza all'origine (dove?), chi alle certificazioni di processo (come?), chi all'etica (perchè?). La sintesi è il rapporto qualità/prezzo che ognuno di noi valuta nella scelta.
Nelle domande che il consumatore si pone di fronte allo scaffale credo ne manchi una fondamentale. Chi? Chi fa quell'olio che trovo in bottiglia? Chi c'è dietro a quella confezione? Per l'industria è il brand, per gli artigiani è la persona. Mica una differenza da poco.
Si tratta di storie, culture, filosofie d'impresa, tradizioni, origini completamente diverse. Diverse, non migliori o peggiori, semplicemente diverse.
La qualità percepita del CHI sta assumendo una dimensione sempre più importante nel mondo d'oggi. Basta andare per supermercati di mezzo mondo per capirlo. Sugli scaffali giapponesi compare spesso la foto dell'agricoltore in fianco al prodotto. Negli Stati Uniti stanno sempre più prendendo piede corner e spazi commerciali dedicati ai contadini. Perchè spazi diversi, e ben identificabili, all'interno dello stesso supermarket? Perchè sono mercati diversi.
E' lei stesso a confermarlo, quando afferma “conosco oli artigianali...”. Distingue tra CHI e poi analizza la qualità intrinseca che, ha perfettamente ragione, può essere alta, mediocre o terribile, tanto nei prodotti artigianali quanto in quelli industriali.
Comprendo bene che, per attuare la politica della standardizzazione tipica dell'industria olearia, sia necessario semplificare, schematizzare, ridurre la complessità entro pochi contenitori.
Semplificare e schematizzare troppo il mondo oleario significa però impoverirlo di mille specificità e particolarità che sono la sua ricchezza. Significa negare l'esistenza dell'artigianato e dei suoi complessi valori e storie che risalgono, almeno nel nostro paese, al Rinascimento e alla Corporazione dei mastri oleari.
Attendo le sue ulteriori riflessioni sull'articolo.
Cordiali saluti e buona domenica
Alberto Grimelli
michele labarile
18 gennaio 2014 ore 18:21ci sarebbero mille commenti da fare e spero di poterli fare con calma ma: ...separare il mercato dell'olio artigianale da quello dell'olio industriale....che vuol dire ? La qualità è qualità è fissare regole, limiti ristretti che la individuino concretamente. Se un olio è di qualità, industriale o artigianale, non c'è alcuna differenza. Ma di cosa stiamo parlando ? Conosco oli artigianali di qualità terribile, e la stessa cosa accade per gli oli industriali ed entrambi fanno concorrenza sleale a quei produttori e confezionatori che la qualità la fanno !!
Paolo Amerio
18 gennaio 2014 ore 10:50Complimenti, su di un argomento per nulla nuovo e su cui tanto si è scritto, mi è piaciuta l'estrema sintesi storica della triste situazione del comparto.
Mi sono sentito chiamato in causa quando si parla di "altri" che stanno prendendo a picconate il pilastro di imbottigliatori ed industriali. Nel cercare di portare avanti la cultura dell'alta qualità con il nostro portale oliving.it, picconate di certo non ne risparmiamo!
Ciò che mi colpisce è il constatare la grande ignoranza commerciale del comparto industriale. Forse sono illuso nel credere si tratti di ignoranza, forse occorrerebbe parlare di "ingordigia", fatto sta che da un serio progetto di Alta Qualità ne potrebbero trarre tutti dei vantaggi, mondo olivicolo e mondo oleario.
E' il concetto dei "segmenti" di mercato, gruppi eterogenei di consumatori omogenei nelle scelte di acquisto. Ad ogni segmento corrisponde una tipologia di olio, inclusa anche una nuova eventuale Alta Qualità.
Ci sarà così il consumatore di olio di "semi d'oliva", il consumatore cioè che da sempre abituato all'olio di semi, nell'olio di oliva cerca la stessa esperienza sensoriale. Non parlargli di polifenoli, amaro o piccante...perché lui sta cercando un olio piatto. Lo cerca di oliva perché "ha sentito" che fa bene...ma senza troppo esagerare. Ecco, per lui l'olio di oliva (inteso nel senso della cat. Merceologica) è il candidato giusto.
Poi abbiamo il consumatore "extra-vergine-mediatico", quello cioè che sa di dover comprare l'extra vergine perché lo legge dappertutto; lo scrivono in tutte le ricette, è il più decantato in tv. Ma non sa affatto cosa distingua l'extra vergine da gli altri oli. Se gli chiedi dei polifenoli ti risponde che spera di non prenderseli mai. Se gli parli dell’amaro e del piccante nell’olio ti risponde che quell’olio è andato di sicuro a male! Questo è quindi il classico consumatore che guarda l’etichetta, legge “extra vergine” e a quel punto sceglierà su di una fascia di prezzo medio-bassa. Tanto per lui sono praticamente tutti uguali.
Infine troviamo il consumatore ricercato, attento o magari, più semplicemente, il “gourmand” amante delle cose buone e genuine. Questo è il consumatore che sarebbe sicuramente orientato all’Alta qualità ma che oggi spesso finisce per collocarsi nel segmento precedente semplicemente perché non ha alcuna possibilità di “capire” le differenze ed orientarsi nella scelta. Normalmente sceglie extra vergine nella fascia di prezzo medio-alta (magari presi dallo scaffale della foto nell’articolo…) ma è indubbiamente molto, molto disorientato. In certi casi si comporta come consumatore di questo segmento ma anche del segmento precedente. Sono i casi dei consumatori che acquistano olio EVO base per la cucina e poi si tengono Alta qualità per l’uso al crudo (ottimo stile di condimento….dico io!).
In extrema ratio eccoli qui i tre segmenti. Con la realizzazione di un progetto di Alta qualità serio, si arriverebbe ad una separazione netta dei segmenti, permettendo così ai vari operatori del mercato di concentrarsi maggiormente sul proprio segmento di riferimento. Industriale, primi due segmenti, artigianale-segmento alta qualità.
La separazione dei segmenti normalmente porta alla decompressione dei prezzi nei vari segmenti. Di certo un domani non sarà più necessario vendere l’alta qualità a prezzi così risicati da essere quasi considerati extra vergini base.
L’introduzione dell’alta qualità ovviamente non farebbe scomparire i primi due segmenti. Anzi. Sono i segmenti di chi è normalmente molto sensibile al prezzo e che quindi domani escluderebbe a priori l’alta qualità. Il “Tavernello” potrebbe far venire in mente qualcosa…
Quindi il comparto industriale potrebbe dormire sonni tranquilli. E poi nulla gli proibisce di entrare anche nel segmento Alta qualità. Qualcuno lo sta già facendo, o per lo meno ci prova. Se fatto rispettando le regole (ammesso che ve ne saranno…) ben vengano anche loro.
E così, il nostro classico e tradizionale stile Italiano. Tanto occupati a farci guerra tra vicini da non vedere le cesoie nelle parti basse!
Paolo Amerio
Giuseppe Borzaro
20 gennaio 2014 ore 13:40Buongiorno, vorrei sapere in che modo i " frantoiani godevano di abbondanti sussidi pubblici". Grazie