L'arca olearia

Olio extra vergine d'oliva, DNA e tracciabilità: work in progress

Torna ciclicamente il tema dell'utilizzo dell'analisi del DNA per garantire l'origine e per prevenire le frodi. Dai primi lavori del 2002 a oggi sono stati compiuti passi avanti ma resta ancora molto lavoro da fare. Ne abbiamo parlato con Matteo Busconi, Nelson Marmiroli e Marilena Ceccarelli

22 settembre 2012 | Alberto Grimelli

Tutto è cominciato con due lavori scientifici, praticamente simultanei. L'uno di Mazzalupo e Perri, pubblicato nel 2002, l'altro presentato nel 2002 e pubblicato dalla rivista scientifica Food Chemistry nel 2003. Il titolo di questa seconda ricerca era “DNA extraction from olive oil and its use in the identification of the production cultivar” ovvero estrazione del DNA dall'olio d'oliva e suo uso per l'identificazione delle cultivar presenti. Primo autore di questo lavoro, che ha aperto una nuova frontiera in merito alla certificazione e alla tracciabilità dell'olio è il Dott. Matteo Busconi, ricercatore presso l'Istituto di Botanica e Genetica vegetale dell'Università Cattolica di Milano.

- DNA nell'olio. Il suo lavoro del 2002/03 ha dimostrato che ve n'è abbastanza per un'analisi. Ma il metodo è affidabile?

Onestamente il metodo è decisamente migliorabile. Per tutta una serie di motivi, al momento non è ancora possibile utilizzare l'analisi del DNA per una precisa determinazione dell'origine di un olio. La riproducibilità e l'affidabilità del metodo sono infatti influenzati da tanti fattori tra cui: quantità e qualità del DNA recuperabile dall'olio (il DNA recuperabile è poco ed altamente degradato); modalità di conservazione dell'olio e tempo che intercorre tra la produzione e l'estrazione del DNA (se l'analisi è fatta poco tempo dopo la produzione dell'olio, c'è una elevata corrispondenza tra profilo del DNA da olio e del DNA da cultivar; dopo poche settimane dalla produzione, però, il DNA presente nell'olio è sempre più degradato e le corrispondenze si riducono); possibile contaminazione del DNA dell'impollinatore (se durante la frangitura si rompono anche i noccioli delle olive è possibile che un po' del DNA dell'impollinatore sia presente e possa essere rilevato alterando il risultato finale. Questo è un punto che è stato ampiamente discusso e mai risolto); possibile presenza di variabilità intracultivar; composizione dell'olio (un olio monovarietale è sicuramente più analizzabile di un olio polivarietale. Negli oli polivarietali inoltre si corre il rischio di visualizzare solo il DNA della varietà maggioritaria e perdere il segnale delle altre); possibile utilizzo di frantoi comuni.

Questi sono alcuni dei fattori che influenzano il metodo e che andrebbero studiati più approfonditamente per tentare di migliorare la metodologia. Può essere che vi siano anche altri fattori da considerare, io ne ho riportati solo alcuni.

- Il metodo si basa su alcuni marker identificativi delle singole varietà. Recenti lavori hanno dimostrato quanto alcune cultivar di olivo siano geneticamente molto vicine, addirittura tanto da risultare, a livello di germoplasma, indistinguibili. Questo può risultare un problema se il metodo del DNA diventasse metodo analitico di certificazione. E' risolvibile?

Da punto di vista genetico, se due varietà sono uguali a livello di DNA allora sono la stessa cosa, lo stesso genotipo. Il problema a questo livello è più che altro di nomenclatura delle cultivar, infatti molto spesso capita che una stesso genotipo abbia nomi diversi a seconda delle regioni in cui viene coltivata. Questo è un caso molto frequente in olivo. In questo caso il DNA, in quanto tale, non potrebbe dirci niente ma non sarebbe un problema del metodo. In questi casi è comunque l'interazione del genotipo con l'ambiente di coltivazione che determinerà le caratteristiche dell'olio, così ad esempio due varietà come Taggiasca e Frantoio (praticamente uguali dal punto di vista del DNA), producono oli tipici con una composizione caratteristica perchè coltivati in ambienti diversi. Per quello che riguarda l'analisi degli acidi nucleici, forse qualcosa di più potrebbe in questo caso essere ricavato ad esempio dall'analisi dell'RNA (l'espressione dei geni è influenzata dall'ambiente). Deve però essere tutt'ora dimostrata la possibiltà di recuperare un RNA analizzabile dall'olio.

Dopo questa esperienza scientifica, L'Italia è stata capofila di un altro progetto di ricerca che ha visto nell'analisi del DNA uno dei capisaldi di un complesso sistema di tracciabilità, volto a costruire una vera e propria carta d'identità molecolare dell'olio d'oliva.

Il progetto, svoltosi dal 2003 al 2005, si chiamava Oliv-Track e il coordinatore del progetto era Prof. Nelson Marmiroli, docente di genomica presso l'Università degli studi di Parma.

- Oliv Track prevedeva non solo il DNA ma anche metodiche analitiche più classiche per la tracciabilità dell'olio. Perchè?

Esisteva già un sistema di tracciabilità basato su acidi grassi, steroli e fenoli abbinati a sistemi bioinformatici ma presentava alcune lacune. L'abbinamento cultivar-area geografica non era robusto per annate divberse e il sistema non poteva riconoscere eventuali frodi, come l'utilizzo di olio di nocciola. Abbiamo voluto affiancare a questi metodi analitici anche il DNA (bar coding) per valutarne l'attendibilità ed effettuare un confronto. La vera sfida, assolutamente vinta, è però stata l'aver accertato che anche bottiglie di olio prese al supermercato dopo 6 mesi, 1 anno dalla produzione potevano essere analizzabili. Un risultato affatto scontato per un prodotto altamente processato come l'olio d'oliva.

- Oliv Track si è però concluso nel 2005 senza quel seguito applicativo e commerciale che veniva auspicato

Non sarei così pessimista. Oliv Track ha dato il via a una serie di progetti, anche recenti, che ne sono la naturale continuazione. Inoltre stiamo predisponendo, insieme a 30 partner europei, un nuovo progetto di ricerca che contempla tra le filiere analizzate anche l'olio d'oliva e che sarà l'evoluzione di Oliv Track che beneficierà anche del lavoro che l'Italia sta svolgendo nel sequenziamento del DNA dell'olivo. Se Oliv Track ha avuto un difetto è probabilmente di essere stato troppo precoce perchè se ne capisse la valenza commerciale. Comunque in questi anni non siamo stati fermi. Colleghi tunisini e marocchini sono stati qui e hanno imparato una metodica che ora stanno utilizzando in patria. I Nas ma anche diversi operatori ci hanno contattato e abbiamo sempre avuto molto piacere a trasferire conoscenze e competenze. Senza contare che l'olio d'oliva è stato un precursore. Oggi il bar coding viene utilizzato nel settore del vino, dei prodotti lattiero-caserari e per la ricerca di patogeni e allergeni. Abbiamo un brevetto Ue proprio per la tracciabilità degli allergeni tramite DNA.

Tra i lavori che sono scaturiti da Oliv Tack si può probabilmente anche annoverare quello messo a punto dal Cnr di Perugia e denominato “Tracciabilità genetica delle varietà di olivo presenti nell’olio”. Un progetto anche questo triennale conclusosi nel 2012 e che, per bocca della Dott.ssa Luciana Baldoni, vede ancora molto lavoro da fare. Ci siamo fatti spiegare i punti critici ancora insoluti dalla Dott.ssa Marilena Ceccarelli, ricercatrice del Dipartimento di Biologia molecolare e ambientale dell'Università di Perugia che ha collaborato alla ricerca.

- Restano ancora molti punti di criticità per una diffusa applicabilità dell'analisi del DNA

Credo che la problematica prevalente sia quella di avviare una ricerca di base per individuare marker specifici per ogni varietà. Si tratta di indagini complesse e costose. Per il resto, grazie a nuove tecniche di estrazione e di amplificazione, molti altri problemi possono essere risolti. E' accertato, ad esempio, che anche in oli filtrati vi è sufficiente quantità di DNA per un'analisi.

- Vi è anche qualche dubbio sull'effettiva capacità dei marcatori molecolari di discriminare efficacemente tra varietà diverse

E' nella natura del marcatore essere cultivar-specifico, cioè un marcatore, per essere tale, deve identificare una cultivar in maniera univoca, inequivocabile. Tecnicamente deve essere altamente risolutivo. Le garantisco che è stata nostra cura sviluppare marcatori in grado di identificare un elevato numero di varietà.

- Resta però il problema delle contaminazioni. Può essere il caso di tini d'olio utilizzati per oli di origine e varietà diverse

Il problema, in questo caso, non risiede nel metodo analitico ma nella gestione delle partite. Il protocollo di tracciabilità dovrebbe suggerire di utilizzare diversi tini per extra vergini di diversa provenienza o di pulirli a fondo tra una partita e l'altra. L'analisi del DNA, di per sé, è solo un metodo analitico che è capace di approfondire e di dare risposte a domande specifiche. E' chiaro che però deve essere supportato, a monte, da pratiche e procedure che garantiscano la tracciabilità.

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giovanni breccolenti

22 settembre 2012 ore 10:44

Non viene messo bene in evidenza che il metodo messo a punto dallo staff della dott.ssa Baldoni non solo individua tutte le varieta' gia' precedentemente mappate (oltre 220,tra cui tutte le piu' rappresentative in commercio) presenti nell'olio,ma le quantifica con una precisione incredibile ed è proprio questo che fa bypassare tutte (almeno per ora) le problematiche messe in evidenza.

Problema impollinatori:
problema veramente minimo perchè il DNA dell'impollinatore è esclusivamente nel seme e ne ritroveremo nell'olio l'uno-due per cento.Nel caso si dovesse certificare un mono varietale,basta mettere un limite minimo del 85-90% di quella varietà che si vuole certificare e il gioco è fatto,un po' come si fa nel vino con i mono vitigni.Per la Dop non esiste il problema.

Problema contaminazioni:vale lo stesso discorso,anche piccole residui di olio nei contenitori possono incidere ampiamente al di sotto di una soglia di tolleranza che va sempre considerata per i monovarietali.Per le Dop questi problemi neanche sussisterebbero.

Ma la vera svolta è per il controllo dell'origine dell'olio Italiano,non avremmo piu' dubbi sul fatto che quell'olio possa essere tagliato con oli provenienti dall'estero e che sono costituiti per il 95% da varietà esclusivamente di quei paesi e da noi presenti solo in traccia.
Secondo quello che ho verificato io,non resta molto da fare,il metodo è molto efficace,almeno fino a quando all'estero non avranno sostituito gran parte dei loro oliveti con varietà molto presenti in Italia (frantoio,coratina,leccino ecc.).In questo caso mi auguro che anche l'altro metodo che stanno sviluppando sull'origine territoriale dell'olio che non conosco, diventi realtà,l'abbinamento dei due metodi sarebbe la perfezione.