L'arca olearia

Col solleone è imperativo soccorrere l'olivo ma attenti alla salinità dell'acqua

La siccità e l'incremento dei consumi domestici hanno abbassato le falde e incrementato la salinità delle acque irrigue. Occorre prendere le opportune contromisure per evitare di far danni

14 luglio 2012 | Alberto Grimelli

In molte regioni olivicole le ultime tre settimane sono state contraddistinte da temperature di trenta gradi o più, a cui si è aggiunta la perdurante siccità per tutto il centro nord.

E' noto che la fase fenologica tra il completamento dell'indurimento del nocciolo, a cui siamo prossimi, e l'invaiatura è critica. Proprio in questa fase si avrà infatti anche l'induzione a fiore per l'anno successivo e un deficit idrico marcato può essere dannoso.

L'irrigazione si pone quindi quale pratica sempre più utile anche per l'olivicoltura da olio ma le problematiche connesse all'uso e gestione dell'impianto irriguo sono aumentate negli ultimi anni.

Siccità, infiltrazioni salmastre e incremento dei prelievi per usi civici stanno aumentando sensibilmente la concentrazione dei sali nelle acque irrigue. Un problema sentito anche in Italia, nel Salento, nel Siracusano e in altre aree della fascia costiera.

Per fortuna l'olivo tollera abbastanza bene la salinità, anche se vi sono notevoli differenze fra le varietà. Tra quelle italiane la Frantoio è più resistente della Coratina, Carolea, Maurino e Moraiolo, che, a loro volta, sono più resistenti della Leccino.

Resta comunque necessario ben valutare l'utilizzo di acque saline, anche perchè gli effetti negativi raramente sono immediatamente visibili ma si mostrano negli anni e con conseguenze nel medio-lungo periodo.

L'utilizzo di irrigazione con una concentrazione di sali elevata infatti produce un pari aumento del livello di sali nel terreno, con la conseguenza, per la pianta, di ridurre la crescita. Un'elevata salinità del suolo agisce infatti negativamente sull’assorbimento di acqua dal suolo, sulla nutrizione minerale e sulla fotosintesi. 2.000 metri cubi per ettaro di acqua a concentrazione salina di 2,0 g/l apportano annualmente 4 tonnellate di sali per ettaro, una quantità che se applicata per più anni, in mancanza dell’azione dilavante delle piogge, porterebbe la concentrazione salina del suolo a livelli incompatibili con la coltura.

Tutto questo senza considerare che acqua saline possono compromettere la funzionalità stessa dell'impianto di irrigazione, accumulando sali all'interno dei gocciolatori. Il problema è quindi reale e solo parzialmente può essere ridotto con l'utilizzo di appositi filtri.

Le due unità di misura più utilizzate per la salinità dell'acqua sono la Sar e la conduttività. E' sconsigliabile utilizzare acque con Sar superiore a 18 o 3-4 dS/m. Anche acque con salinità inferiori vanno utilizzate con cautela e qualche utile accorgimento.

La gestione di terreni con problemi di salinità richiede l'aumento dei volumi irrigui in modo da consentire la lisciviazione dei sali in eccesso verso strati profondi del terreno. La presenza di una falda superficiale, terreni argillosi con bassa velocità di infiltrazione e climi aridi rendono difficile l’impiego di acque saline in quanto aumentano il fabbisogno di lisciviazione e i rischi di ristagno idrico. E' però opportuno sottolineare che, generalmente, le piogge autunnali sono di solito sufficienti a dilavare gli ioni in eccesso, ipristinando buone condizioni per il periodo invernale-primaverile.

Non vi sono solo problemi di gestione della salinità in eccesso nel suolo, che nel lungo periodo porterebbe a una destrutturazione e a perdita di fertilità chimica, ma anche la necessità di intervenire, tenendo conto delle difficoltà di assorbimento di alcuni elementi. L'assorbimento di potassio e calcio è infatti inversamente proporzionale alla concentrazione di sodio e cloro. Potrebbe quindi essere opportuno, durante la fase di irrigazione con acqua saline, intervenire con fertilizzazioni fogliari di questi elementi nutritivi così da prevenire scompensi e scongiurare eventuali carenze.

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