L'arca olearia

Perché l’Italia olivicola non avanza?

Cosa dicono gli olivicoltori veri dello stato dell'olivicoltura? Dalla Calabria Pierluigi Taccone mette in luce i problemi reali, quelli che alcuni cercano di ignorare. Non ci può essere futuro finché si darà voce a posizione ambientaliste velleitarie e controproducenti

14 aprile 2012 | Maria Carla Squeo

L'olivicoltura italiana vive momenti difficili ma il futuro è ancora aperto. Si vino quotidianamente delle serie difficoltà nella doppia veste di realtà produttiva e di risorsa paesaggistico-ambientale.

Il dramma è tutto qui. Pierluigi Taccone parla chiaro, senza alcuna esitazione: “Alle problematiche di tipo economico-strutturali che attualmente affliggono l’olivicoltura italiana, nell’ultimo periodo, si è aggiunta l’impossibilità, per i malcapitati olivicoltori, di far fronte ad una realtà olivicola senescente e obsoleta, intervenendo con estirpazioni delle vecchie strutture arboree e rinnovi, con nuove piantagioni con le stesse varietà o con altre, secondo necessità agronomiche che nel corso del tempo sono mutate, ma anche, ove le condizioni ambientali non consentano una olivicoltura sostenibile, con altre specie arboree più vocate”.

Si tratta effettivamente di un bel dilemma. Come comportarsi con l’olivicoltura tradizionale, soprattutto in aree altamente produttive come la Calabria o la Puglia? “Una serie di leggi, l’ultima delle quali è dei lontani anni ‘50, impedisce l’estirpazione di qualsiasi pianta di olivo, salvo che non sia totalmente improduttiva o insista su terreni destinati ad altra destinazione diversa da quella agricola. Per anni – ricorda Taccone – queste leggi, se vogliamo ormai anacronistiche, sono state disattese, non rispondevano più alle motivazioni per le quali erano state emanate, che erano quelle di creare una strategia tesa a garantire il fabbisogno nazionale di sostanze grasse. Oggi – prosegue Taccone – alla luce di un ambientalismo a volte opinabile, si tende a dare nuova valenza a queste leggi, quasi fossero state emanate per difendere il paesaggio e l’ambiente”.

Si sarebbe dunque creato un grosso equivoco che non porterà certo ad alcun risultato utile.

“Gli organismi istituzionali – rammenta Pierluigi Taccone – non danno autorizzazioni alla estirpazione e pesanti multe sono state comminate a olivicoltori che hanno eliminato alcune piante vetuste e in fase di produzione calante”.

Qual è allora la posizione di Taccone? “Se vogliamo che l’olivicoltura continui a vivere dobbiamo renderla economicamente autosufficiente permettendo al mondo agricolo di fare delle scelte agronomiche non condizionate da veti e compromessi”.

La visione ambientalista sarebbe miope, perché non guarda alla realtà dei fatti. Perché vi sia una olivicoltura reale e non fantastica, sarebbe dunque il caso che si rinnovi “senza veti e distorte visioni ambientaliste”, come ammette Pierluigi Taccone. E voi? Che ne pensate?

E’ una posizione da accogliere e da esaminare serenamente e seriamente? D’altro canto, “è impensabile – conclude Taccone – che si riescano a trovare risorse sufficienti per mantenere in vita centinaia di migliaia di ettari di una olivicoltura non più remunerativa a soli fini ambientali e paesaggistici e quindi queste prese di posizione ambientaliste sono quanto meno velleitarie e controproducenti”.

 

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pina romano romano

18 aprile 2012 ore 17:24

Condivido appieno la riflessione di Pierluigi Taccone, olivicoltore illuminato con cui nel passato ho avuto il piacere di scambiare opinioni sull'andamento del settore olivicolo, che ha focalizzato alcune delle cause che hanno determinato l'attuale stato dell'olivicoltura italiana. visione assai miope quella italiana di cosiderare l'olivicoltura solo come "cultura" e non come "coltura" che si evolve e quindi impone all'impresa la necessità di adeguarsi per mantenersi competitiva. Le amministrazioni trovano più semplice, sul retaggio di una norma di altri tempi, continuare con i divieti, senza provare a proporre idee innovative che coniughino il rispetto dell'ambiente e del territorio, di cui l'olivo è testimone indiscutibile, con le scelte imprenditoriali. Provo allora a lanciare una proposta che non vuole essere una provacazione ma un'idea da perfezionare per sbloccare la situazione: definiamo, con il supporto dei dati disponibili nel Gis, tanto osannato, per singolo territorio,le aree soggette a tutela del patrimonio olivicolo, quale elemento caratterizzante il paesaggio, l’ambiente e il territorio agricolo regionale. Nel contempo bisogna riconoscere che questa olivicoltura assolve un servizio, che viene reso alla collettività di cui la collettività deve farsi carico attraverso strumenti e risorse, magari già disponibili nell’ambito dei Programmi di sviluppo rurale, per evitare che questi territori non vengano abbandonati con tutte le conseguenze negative che ricadrebbero sulla collettività stessa, però nel contempo riconoscere, alle imprese che vogliono adeguare i propri impianti, a schemi più rispondenti alle esigenze imprenditoriali o ai nuovi orientamenti di mercato, la libertà di poter lavorare svincolati dagli eccessivi oneri amministrativi.

Nicola Ferraro

15 aprile 2012 ore 09:58

Condivido appieno sia la riflessione di Pierluigi Taccone che il commento di Enzo Congedi . Io da anni, quale tecnico agricolo, mi interesso di nuove tecnologie per l'olivicoltura,la viticoltura e la zootecnia, ma sempre con scarso rendimento in quanto non solo le istituzioni sono attaccate alle tradizioni ma ancor peggio sono gli olivicoltori che no si staccano dalla visione dui un olivo secolare. Loro vogliono solo ricevere l'integrazione dalla Comunità Europea e poi non coltivano nemmeno il terreno ulivetato. Certamente bisogna battere il ferro caldo e convincere sia le istituaioni sia gli olivicoltori. Al momento siamo in tre a fare questo raggionamento, perchè non continuiamo a convincere gli altri facendo dei convegni a ppositi. se ci sono dei proseliti io sono con loro. Bisogna lottare, lottare, lottare finchè i miscredenti delle nuove tecnologie si renderanno conto che mantenere sana l'olivicoltura bisogna stare al passo con i tempi. Sono sempre con gli evoluzionisti a disposizione per future aggregazioni in lotta continua. Nicola Ferraro

Vincenzo Lo Scalzo

15 aprile 2012 ore 09:36

Cara Maria Carla, il tuo quesito è centrato: cosa vogliamo in Italia? Il bello, il buono, il giusto, sarebbe la risposta che oggi ci aspetteremmo da parte dei suggeritori alla comunità. E per olio e gli uliveti? Ancora il bello, il buono il giusto e quella da ricordare, nei musei e nei parchi d'interesse. Sia se desideriamo restare nel gruppo dei protagonisti della sua storia economica, sia se desideriamo che la sua storia resti parte integrante del tesoro culturale del pianeta.
Si fa per tanti patrimoni, anche per il fondo marino. Si fa con i parchi naturali. Con sensibilità e intelligenza. Anche con scienza. Anche premiando i campanili che lo meritano.

Enzo Congedi

14 aprile 2012 ore 17:39

Buona sera,
credo che il pensiero del sig. Taccone sia comune a tutti gli olivicoltori che intendano continuare a produrre olio extra vergine di qualità con un minimo di reddito.
Il Suo pensiero è stato più volte da me considerato quando ho avuto modo di capire che, anche con le più elaborate tecnologie, i bei monumenti che caratterizzano il territorio meridionale non m'avrebbero dato l'opportunità di coltivare in modo redditizio l'azienda olivicola costituita da piante secolari.
Capisco il valore delle piante nel paesaggio in cui viviamo, ma quello che ancora non ho capito la funzione dell'olivicoltore nello stesso contesto.
Se il nostro ruolo è quello di salvaguardare l'ambiente chi ne usufruisce ci dia la possibilità di mantenerlo nella sua forma migliore.
Se, invece, siamo degli imprenditori riconosciuti da tutte le istituzioni fiscali e previdenziali, dal mercato e da tutti gli operatori nostri partner, ci sia data l'opportunità di diversificare gli impianti rendendoli adeguati ai tempi come già fece a suo tempo il settore olivicolo spagnolo.
Passeggiando tra i vari appezzamenti olivetati il paesaggio ha cambiato aspetto; le lussureggianti piante di qualche lustro fa sono state sostituite da tronchi decrepiti e danneggiati da incendi, se è questo il patrimonio che vogliamo salvaguardare siamo sulla buona strada e questa vista va anche a pregiudicare il pensiero di chi, venendo a visitare i nostri luoghi, potrebbe essere un potenziale consumatore di quel poco extra vergine che si ottiene.
Non ricordo la prima volta che sono andato per i campi ad accompagnare mio padre, la vita in campagna e la mia esistenza sono state un tuttuno. Mi duole ammetterlo ma mi sento demoralizzato a continuare a vivere di questo lavoro.
Spero che qualcuno se ne renda conto di tutto ciò e possa, con scelte politiche, dare inizio al "Rinascimento" olivicolo che insieme ad altri prodotti d'eccellenza e al turismo sono le vere realtà economiche delle regioni marginali.

Enzo Congedi