L'arca olearia
Unaprol e Federdop certificano il fallimento delle denominazioni d'origine
In vent'anni conquistato solo l'1% del mercato e pochissime Dop/Igp sono davvero presenti sugli scaffali. Il sistema così non sta in piedi
25 giugno 2011 | Alberto Grimelli
Unaprol e Federdop hanno di fatto certificato il fallimento delle denominazioni d'origine dopo vent'anni dalla loro istituzione con il Regolamento comunitario (Ce) 2081/92.
Un'analisi eccessivamente pessimistica? Assolutamente no. In vent'anni Dop/Igp hanno conquistato solo l'1% del mercato, un risultato tanto fallimentare che avrebbe costretto ogni azienda a chiudere il settore.
Invece un ennesimo incontro, seminario, convegno per discutere di come risollevare le denominazioni d'origine.
40 tra Dop e Igp, tre in procinto di essere approvate (Seggiano, Terre Aurunche e Vulture), ma nonostante gli sforzi promossi finora, nonostante le campagne promozionali, nonostante il vivo interessamento, almeno all'inizio delle associazioni dei produttori che plaudevano alla nascita delle denominazioni come l'ancora di salvezza per il settore oliandolo, nonostante tutto questo, l'1% del mercato e 10.000 tonnellate di prodotto certificato.
Una riflessione su questo dato è doverosa, non solo perchè rappresenta un'inezia rispetto alle 500 mila tonnellate di extra vergine ufficialmente prodotto dall'Italia, ma anche perchè il dato si riferisce al 2009. Ovvero a giugno 2011 non sono ancora disponibili i dati relativi alle quantità certificate l'anno passato. E' possibile per delle filiere che dovrebbero essere ben tracciate e certificate? La mancanza di dati aggiornati, non voglio dire al mese precedente, ma almeno al trimestre precedente, non fa sorgere alcun sospetto? E' possibile, in un mondo che viaggia a ritmi vertiginosi, in cui i cambiamenti sono continui fare analisi e valutazioni, impostando anche strategie future, sulla base di dati riferiti al 2009?
Questo abbiamo e questo dobbiamo, sconsolati, commentare.
Per quanto riguarda produzione e flussi la fotografia del comparto registra che il 47% dell’olio sfuso a Dop è stato conferito a cooperative e associazioni. Il 19% è stato venduto a grossisti e intermediari. Il 14,8% all’industria e il 13, 5% ai frantoiani. Il 30% del prodotto viene venduto direttamente al consumatore. Una quota del 17% viene ceduta alla ristorazione. Il 12% prende la strada di agriturismi e negozi specializzati, mentre il 13% finisce al mercato dell’ingrosso.
L’export di oli Dop e Igp rappresenta in termini monetari il 4% del totale dell’export di tutti i prodotti a denominazione di origine; è destinato per quasi il 60% a Paesi extra Ue, ma rappresenta appena l’1% di tutto il consumo di oli extra vergini di oliva a livello nazionale. Gli oli Dop vengono maggiormente valorizzati al Nord del Paese e i prezzi dello sfuso risultano superiori in Italia centrale e Nord-orientale, rispetto a quelli dell’Italia meridionale. Se ceduto direttamente al consumatore il prodotto viene mediamente scambiato a 9,75 €/kg mentre il prezzo più alto riscontrato nella Gdo è in Trentino con 13 €/kg.
Più ombre che luci anche da questi dati.
Infatti una così alta percentuale di vendita diretta implica che la distribuzione, grande e picccola, non veicola il prodotto e non è particolarmente intenzionata a farlo (28% il prodotto venduto in GDO). L'export salva chi produce olio certificato e questo è certamente positivo.
Le soluzioni a un quadro obiettivamente disastroso? Ecco le opinioni di Gargano e Ferri, rispettivamente presidente Unaprol e Federdop.
“Dall’indagine – ha detto il presidente del Consorzio olivicolo italiano - emerge che il comparto degli oli Dop continua ad essere concentrato su poche denominazioni. Nel nuovo piano olivicolo nazionale e nell’uso intelligente delle risorse ex Agensud, vanno individuate nuove strategie per supportare un settore che primo tra tutti ha percorso la strada della differenziazione commerciale utilizzando la leva del territorio come elemento di distinzione sullo scaffale."
“Nella Grande Distribuzione la Dop gioca un ruolo come elemento di una strategia di promozione collettiva più ampia, - ha detto Silvano Ferri - abbiamo bisogno di un'unica strategia di promozione e non di contrapposizioni tra consorzi altrimenti i costi saranno più elevati dei benefici perché avremo bruciato ricchezza e perso opportunità”.
Più soldi e più sinergia tra i consorzi. Niente di nuovo sotto il sole. Si va imperterriti lungo la stessa strada, con risultati che non si possono più nascondere.
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