L'arca olearia

L’UOMO SPORCA. NELL'OLIO SI POSSONO TROVARE NON SOLO RESIDUI DI PESTICIDI MA ANCHE ALTRI PERICOLOSI CONTAMINANTI

L’ambiente che circonda l’oliveto, il frantoio e ogni altro stabilimento agroalimentare può inquinare l’alimento con composti nocivi e dannosi. Per queste molecole non sempre le regole e i limiti sono chiari e definiti come per i fitofarmaci di cui è sempre bene, per evitare spiacevoli conseguenze, rispettare il tempo di carenza. Ne abbiamo parlato col Prof Conte, dell’Università di Udine

18 dicembre 2004 | Alberto Grimelli

Lanfranco Conte è nato a Foggia nel 1953. Dal 1994 è Professore Ordinario presso l'Università degli Studi di Udine, facoltà di Agraria.
Attività di ricerca: sviluppo di metodi analitici per la valutazione della qualità e genuinità della qualità e genuinità degli alimenti, con particolare riguardo alle sostanze grasse. Indagini sulla composizione di oli di oliva di differente provenienza, sviluppo di metodi ed indagini sulla presenza di xenobiotici in oli alimentari (idrocarburi policiclici aromatici, oli minerali), di ammine biogene in prodotti conservati, indagini sulla ossidazione delle sostanze grasse e sulla attività antiossidante di estratti naturali; ricerche sulla frazione volatile di differenti alimenti (miele, bevande analcoliche, formaggi, oli, ecc.) mediante tecniche head space purge and trap e SPME. Ricerche sulla composizione chimica dei mieli.
Attività extra-accademiche: dal 1985 è membro in qualità di esperto della Commissione Tecnica Governativa per le Industrie degli Oli e dei Grassi e partecipa alle attività della stessa. Dal 1993 al 2001 è stato Presidente del Gruppo Esperti Chimici Olio di Oliva della Comunità Economica Europea, DG VI. Dal 1993 è membro del Consiglio Oleicolo Internazionale (C.O.I.) come rappresentante della Comunità Europea. È vicepresidente della Società Italiana per lo studio delle Sostanze Grasse. È membro della Società Chimica Italiana, afferente al gruppo di Chimica degli Alimenti ed a quello di Scienza delle Separazioni. È Accademico Ordinario della Accademia dell'Olivo e dell'Olio e socio del Centro Studi Mario Solinas.



- Si parla molto di residui potenzialmente tossici o nocivi alla salute umana. Ci si riferisce per lo più a fitofarmaci presenti in frutta e verdura. Sono tanti gli olivicoltori che ritengono che il dimetoato, principio attivo diffusamente utilizzato contro la mosca delle olive, non lasci tracce nell’olio vista la sua elevata idrosolubilità. Se ne va davvero tutto nelle acque di vegetazione, anche se non viene rigorosamente rispettato il tempo di carenza?
Il tempo di carenza va sempre scrupolosamente osservato. Non è solo una buona precauzione ma una norma di legge. In certi casi gli agricoltori dimenticano che le indicazioni poste sull’etichetta dei fitofarmaci sono frutto di studi e non di alzate di ingegno di qualche ricercatore.
Il dimetoato non fa eccezione. Essendo un composto idrosolubile esiste l’erronea credenza che le acque di vegetazione lo dilavino completamente. Non è così se il tempo trascorso tra il trattamento e la raccolta è inferiore a quanto prescritto. Tra l’altro ricordo che i limiti di tolleranza sui potenziali residui sono stabiliti per le olive e che sono rapportati all’olio secondo un coefficiente di conversione 5, che tiene conto della resa di estrazione.
- Oltre ai fitofarmaci, esistono altri contaminanti dannosi per l’uomo? Di quale natura sono? Quali le cause?
Naturalmente esistono e sono dovuti all’azione dell’uomo.
Sono, ad esempio quelli derivati da combustione, che sia industriale o da benzine e gasoli. I più noti sono gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), oli motore, metalli pesanti. In Italia si riscontrano i maggiori problemi di contaminazione da questi composti negli alimenti in prossimità degli impianti industriali, altoforni, acciaierie o nelle immediate vicinanze di aree ad elevate circolazione veicolare, quali autostrade, superstrade e simili. Essendo il nostro un territorio fortemente abitato le oasi dove non passa nessuno sono assai limitate. Va anche detto che la vicinanza a uno stabilimento industriale o a una strada intensamente trafficata non comporta l’automatico inquinamento del prodotto agricolo o alimentare, il vento può allontanare questi composti nocivi.
Naturalmente la contaminazione non è solo legata all’ambiente circostante allo stabilimento agroalimentare o ai campi agricoli ma anche a cattive abitudini di gestione della filiera. L’ingresso in capannoni chiusi, ove avviene lo stoccaggio o la lavorazione di cibo con macchinari a combustione interna è un fattore di rischio, non è così infrequente, ad esempio, la movimentazione delle olive con muletti non elettrici o lo stoccaggio delle stesse in piazzali ove c’è un continuo movimento di mezzi agricoli, trattori ma anche automobili e camion. Questi comportamenti possono provocare l’inquinamento dell’olio a causa della spiccata liposolubilità di questi contaminanti ambientali.
- Per questi contaminanti ambientali spesso non esistono limiti di legge, come concentrazione residuale nell’alimento, ben definiti e chiari. In particolare per l’olio extravergini non sono state fissate delle soglie. Colpevole disattenzione o mancanza di coordinamento tra ricerca e istituzioni nazionali e comunitarie?
Il tema dei contaminanti ambientali viene trattato giustamente in maniera orizzontale. Infatti non riguarda un singolo alimento ma tutti, dalla verdura, alla frutta, dalle olive, all’olio... Capita purtroppo che i problemi vengano affrontati solamente quando scoppia il caso, la polemica. Così è successo, per esempio, per gli oli di sansa in cui sono stati trovate alte concentrazioni di IPA a causa del processo di essiccamento effettuato con combustione non solo di metano. Non è morto, per fortuna nessuno, ma sono state introdotte immediatamente soglie per questo prodotto dimenticando però gli oli vergini. Alcuni hanno malamente interpretato questa dimenticanza del legislatore come se questi oli dovessero avere limite zero, cosa francamente impossibile. Solamente ora sento parlare di introdurre una soglia di 2 ppp per benzopirene e altri composti simili per tutti gli oli e i grassi.
Sono stati necessari alcuni anni, un ritardo probabilmente dovuto alla mancanza di collegamento tra istituzioni comunitarie, come il Dipartimento che si occupa della salute dei cittadini, e alcuni Istituti di ricerca che lavorano, da anni ormai, su problemi di contaminazione ambientale dal punto di vista tecnologico. Senza inutili allarmismi pubblici o eccessivi clamori sarebbe possibile monitorare con maggiore attenzione alcuni fenomeni di inquinamento alimentare che possono provocare danni alla salute umana e intervenire per tempo. Una maggiore collaborazione tra medici, esperti di problematiche ambientali e tecnologi alimentari sarebbe certamente auspicabile. Come pure sarebbe auspicabile venisse creata una struttura che si occupi del monitoraggio, catalogazione e archiviazione di quanto viene pubblicato sulle varie riviste scientifiche, questo darebbe modo di poter attivare e far concentrare più Istituti di ricerca su un problema potenzialmente pericoloso in tempi più rapidi di quelli attuali.
- Dal punto di vista dei contaminanti ambientali e della loro presenza residuale in alimenti è possibile fare dei distinguo fra agricoltura biologica, intergrata e convenzionale?
Se i disciplinari di produzione, siano essi biologico o integrato, non prevedono lo studio preventivo del territorio e dei fattori di contaminazione ambientale posso affermare che i rischi di presenza di inquinanti potenzialmente nocivi è lo stesso, identico per i tre modelli di agricoltura.

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