L'arca olearia

I prezzi all’origine degli extra vergini? Sono cartina al tornasole

Cosa accadrà di qui in avanti? Le aziende hanno bisogno, oggi più che mai, di programmare il proprio futuro. Si rende necessaria, secondo Pasquale Di Lena, una strategia di marketing per eliminare le forti disparità espresse dal mercato, non sempre giustificate

11 dicembre 2010 | Pasquale Di Lena



Mentre Milano, grazie a Teatro Naturale, dedica la dovuta attenzione all’Olio con una giornata di festeggiamenti ai 50 anni dell’extravergine (link esterno), il riconoscimento del valore massimo della qualità concesso all’olio, e, mentre registriamo con soddisfazione il leggero rialzo dei prezzi all’origine, sia dell’extravergine che del vergine, voglio trasmettere la curiosità che mi ha colpito nel leggere il listino n° 46 inoltratoci dalla Ismea attraverso la sua News Mercati riferita agli oli vegetali.

I prezzi sono quelli dell’extravergine e fanno riferimento, come prima dicevamo, all’origine, contrassegnato da 36 piazze, tutte riferite, a eccezione della Liguria, alle Regioni del centro e del sud Italia, comprensivo quest’ultimo di una sola isola, la Sicilia.

Ben sette di queste piazze riguardano la Puglia; cinque la Calabria e il Lazio; quattro la Sicilia; tre l’Abruzzo; due la Toscana, l’Umbria e le Marche; una sola la Campania, il Molise e la Liguria.
Non ci sono riferimenti al Veneto e Lombardia (Lago di Garda soprattutto) e Romagna con la bella realtà di Brisighella.

Nel merito dei prezzi, sta qui la sorpresa, tutti pensano che le quotazioni più alte fanno riferimento alla Toscana e, invece non è così, visto che sia Firenze (€ 4.30 al Kg escluso Iva) che Siena (€ 3.00), se non ci sono errori di rilevamento, spuntano prezzi che sono la metà di quelli del mercato di Imperia (€ 8.00) e di Latina (€ 7.00), con Ancona a € 6.35, poco superiore del prezzo di Perugia e Terni, che portano i loro extravergini di oliva a quotare oltre 6 euro al Kg. (6.20). Poco più di 5 euro la quotazione degli extravergini abruzzesi sui tre mercati considerati di Chieti, Pescara e Teramo, mentre è 4,70 la media di due delle tre province siciliane, Ragusa e Catania, con Palermo che va poco oltre i 3 euro.
Viterbo quota 4.40 con Frosinone e Rieti che non hanno dati disponibili.

Tutto il resto, che poi vuol dire tanta parte dell’olio prodotto in Italia, ha quotazioni (salvo Reggio Calabria, € 3.30) al di sotto di 3 euro, con Catanzaro Ionico e Cosenza che registrano i prezzi più bassi (€ 2.13), che è veramente poco se si considera che qui si possono trovare oli magnifici sotto l’aspetto della qualità. Penso a quelli della Piana di Sibari che ho avuto modo di assaggiare e apprezzare.

Meraviglia anche la quotazione della piazza di Campobasso (€ 2.60), che è poca cosa di fronte alle bontà espresse dai suoi oli, nella generalità a forte impronta monovarietale, con la “Gentile di Larino” a segnare la gran parte del territorio olivetano. Un olio apprezzato da sempre, che, negli ultimi anni, sta ricevendo consensi unanimi da parte dei consumatori, sia italiani che stranieri, attestandosi tra gli oli che più impressionano le commissioni di assaggio dei tanti premi che vanno prendendo quota in Italia.

Certo si sconta il vuoto di un piano olivicolo nazionale e, dentro questo vuoto, la totale assenza di una strategia di marketing - se non quella imposta dalla concentrazione della domanda, che utilizza a proprio vantaggio la frammentazione dell’offerta - in mancanza, soprattutto, di iniziative capaci di organizzare gli olivicoltori e di renderli i veri protagonisti del mercato nelle sue differenti realtà e diverse dimensioni. Si sconta anche la vecchia abitudine, in molte zone, di svendere l’olio pur di liberare la cantina e, soprattutto, per avere una liquidità che serve ad affrontare tutto l’inverno.
Le tradizioni, come si sa, sono e, noi diciamo per fortuna, dure a morire, anche se in questo caso punitive per l’olio di qualità che meriterebbe maggiore fortuna.


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