Bio e Natura

Il biologico vede la luce ma si deve adeguare

In chiusura degli Stati generali del mondo bio emerge la necessità di far maggiormente percepire, in Italia e all’estero, la leadership del nostro Paese in questo settore. Occorre “un’organizzazione degli strumenti e dei servizi più efficace” ha detto il presidente Inea Lino Rava

12 dicembre 2009 | Ernesto Vania

Ormai chiusi gli Stati Generali dell’agricoltura biologica, promossi dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e organizzati con il supporto dell’INEA e della Provincia di Padova, è ora di confrontarsi con i dati e le idee emerse durante la due giorni di convegni e appuntamenti.

Prima di tutto i numeri positivi e rassicuranti:
Sono almeno 1,2 milioni le aziende che hanno adottato il metodo di produzione biologica in 141 Paesi di tutti i continenti. Più di un terzo degli oltre 32 milioni di ettari di superficie agricola utilizzata (SAU) biologica e in conversione si concentra in Australia, seguita dall’Europa (24%) e dagli Stati Uniti (20%). Nell’UE 27, i primi dati diffusi da Fibl indicano un ulteriore aumento delle superfici bio nel 2008 (+13,9%), per un totale di 8,2 milioni di ettari, il 12,2% localizzati in Italia.

Poi i dati meno incoraggianti: l’Italia h perso il primato in termini di superfici a biologico, collocandosi dietro la Spagna.

Non per questo occorre demoralizzarsi, il settore risulta ancora forte. Testimonianza di ciò è data dal numero di operatori certificati della filiera italiana bio, circa 50.000 (il maggior numero, a livello europeo) e dal favore crescente dei suoi prodotti presso i consumatori: nel solo 2008 i consumi bio sono aumentati del 5,4%, nonostante l'aumento della spesa alimentare complessiva sia stato più contenuto (4,4%).

“È necessario – ha sottolineato il Presidente – adeguare il comparto produttivo del biologico alla crescente domanda, che richiede fra l’altro, un’organizzazione degli strumenti e dei servizi più efficace proprio per caratterizzare una produzione di così alta qualità. L’Italia, oggi, rappresenta la sesta nazione produttrice al mondo per quantità di superficie destinate a produzione biologiche e si posiziona al quinto posto alla luce del rapporto fra SAU e superficie destinata al biologico”.


Di alcune produzioni mediterranee, quali cereali, agrumi, uva ed olive, l’Italia è il primo produttore al mondo. Da evidenziare, inoltre, il dato riguardante il riso: dopo la Thailandia e le Filippine l’Italia è il più gran produttore di riso biologico.
Le aziende agricole biologiche nazionali hanno toccato, ormai, in Italia, l’imponente cifra di 44.556 e l’export del comparto rappresenta 900 milioni di Euro di valore commerciale.

“La crescita del settore – ha continuato Lino Carlo Rava – avvenuta nell’ultimo ventennio, costituisce un fenomeno difficilmente trascurabile, se si pensa che nel 1993 le aziende biologiche erano soltanto 4.656”.

Il rapido sviluppo del settore si ripercuote sul comparto agricolo nazionale, causandone un notevole ringiovanimento. Il 65% degli agricoltori, infatti, ha un’età inferiore ai 50 anni, ed è caratterizzata da un’altissima presenza femminile e da un livello di istruzione molto elevato: il 50% di agricoltori biologici è diplomato e il 17% è laureato.

Infine, ha rilavato il Presidente Rava, il settore trova ormai una sensibilità sempre maggiore fra la popolazione italiana.

Nonostante la buona performance del comparto agricolo biologico, tuttavia, rimangono non pochi problemi da risolvere. La crescita esponenziale sia delle aziende produttrici sia dei consumatori ha, soprattutto, messo in evidenza la necessità di interventi che interessano tutta la filiera delle produzioni biologiche.

La produzione, gli agricoltori e le agricoltrici, le aziende agricole biologiche, hanno delineato, anche, le necessità e le opportunità relative al nuovo regolamento comunitario, legate particolarmente agli aspetti innovativi e di sostegno.

Durante il Congresso sono state presentate varie proposte fra cui il “Manifesto del biologico italiano” ed una griglia di iniziative indirizzate a favorire la produzione e la conoscenza del settore (ricerca, formazione, educazione del consumatore), fra cui l’introduzione di un logo nazionale del biologico, mettendo in cantiere uno studio di fattibilità. Le azioni da intraprendere riguardano sia la fase primaria della produzione sia tutte le altre fasi della filiera.