Bio e Natura
L'accordo per salvare il pianeta è una cambiale in bianco che nessuno vuole firmare
Secondo gli scettici COP 21 è stata solo una mirabolante operazione di marketing climatico. Per gli ottimisti è il preludio a una svolta green dell'economia globale. Le scadenze nell'applicazione dell'accordo hanno lasciato insoddisfatti tutti
17 dicembre 2015 | T N
COP 21, la conferenza sul clima di Parigi, si è chiusa con un accordo, siglato alle 19.26 del 12 dicembre.
La firma rimarrà comunque negli annali dopo i vari tentativi fatti negli anni, da Kyoto a Copenhagen.
Era oggettivamente difficile trovare la quadra che accontentasse duecento delegati di altrettante nazioni. Complesso accontentare le istanze delle economie occidentali, dei paesi in via di sviluppo, delle economie emergenti e delle regioni meno sviluppate al mondo.
Si è ottenuto, probabilmente, il massimo a cui la politica poteva aspirare in questo contesto storico.
Per la prima volta nella storia è stato fissato un paletto: contenere e mantenere l’aumento di temperatura inferiore ai 2 gradi, e compiere sforzi per mantenerlo entro 1,5 gradi centigradi. Per la prima volta nella storia i paesi più ricchi hanno accettato di aiutare quelli più poveri, attraverso il versamento di 100 miliardi di dollari ogni anno per sviluppare fonti energetiche più green.
E' stato deciso di contenere le emissioni di gas serra e raggiungere nella seconda parte del secolo l’obiettivo di emissioni “naturalmente smaltibili”.
E' stato deciso di controllare i progressi compiuti ogni cinque anni, tramite nuove Conferenze.
Per raggiungere il primo obiettivo sarà necessario raggiungere le "emissioni zero globali" entro il 2050.
Fin qui le buone notizie.
Non c’è una data per il raggiungimento del picco delle emissioni, ma si auspica solo che questo venga raggiunto nel periodo più breve possibile, non si parla di “carbon tax” e non sono state incluse le emissioni del trasporto marittimo ed aereo.
Per molti dei punti dell'accordo non sono previsti purtroppo vincoli obbligatori, né sanzioni, il che rende un po’ più debole l’accordo finale.
ora bisogna aspettare che i Paesi ratifichino l'accordo, poi il 2020 perché comincino a metterlo in pratica, poi il 2023 per la prima verifica. La CO2 incalza al ritmo di 2 ppm l’anno, siamo a 401 ppm e la comunità scientifica ci dice che 450 ppm sono il “punto di non ritorno”.
Altro punto debole dell'accordo è il principio di non ingerenza dell'accordo COP 21 sulle scelte energetiche dei singoli Stati.
E' infatti necessario rilevare che COP 21 non stabilisce una riduzione delle emissioni di CO2 ma sancisce l'introduzione di un altro metodo: quello del bilancio dell'anidride carbonica.
Secondo l'accordo sarà possibile utilizzare senza problemi le fonti fossili anche nella seconda metà del secolo, purchè si sequewstri abbastanza CO2 da compensare le emissioni. L’Arabia Saudita starebbe studiando la possibilità di reiniezione della CO2 (il controverso sistema Ccs) nel giacimento petrolifero di Ghawar, il più grande del mondo, per compensare il calo di produzione, sposando il concetto il bilanciamento tra i gas serra emessi e quelli sequestrati.
L'accordo potrebbe però far rivedere rapidamente gli obiettivi ai Paesi più virtuosi, tra questi quelli dell'Unione europea. L’Europa dovrebbe rivedere rapidamente i propri obiettivi al 2030 portando al 45-50% il taglio delle emissioni, al 35-40% la riduzione dei consumi tendenziali e al 32-34% la quota delle rinnovabili.
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