Bio e Natura
La Terra si sta scaldando. In espansione l'agricoltura alle latitudini settentrionali

Clima e vegetazione al nord assomigliano sempre più a quelle delle regioni più meridionali, rilevate non più di trent'anni fa. Quale impatto questo andamento potrà avere sul comparto primario dell'area mediterranea e dell'Italia?
06 aprile 2013 | R. T.
Un team internazionale di 21 autori provenienti da 17 istituzioni in sette paesi ha appena pubblicato uno studio sul cambiamento climatico che mostra che, come la copertura di neve e ghiaccio nelle latitudini settentrionali è diminuita negli ultimi anni, la temperatura nelle terre emerse del nord è aumentata a tassi diversi durante le quattro stagioni, provocando una riduzione della temperatura e un mutamento della stagionalità della vegetazione.
In altre parole, la temperatura e la vegetazione a latitudini settentrionali assomiglia sempre quelle trovate a diversi gradi di latitudine più a sud, non più tardi di 30 anni fa.
Lo studio finanziato dalla Nasa, ha utilizzato nuovi set di dati sulla base di immagini satellitari più definite e complete, ed ha esaminato criticamente il rapporto tra le variazioni di temperatura e vegetazione con la produttività a latitudini settentrionali.
"Il riscaldamento nell'area circumpolare, approssimativamente sopra il confine Canada-Stati Uniti d'America, comporta la riduzione della stagionalità nel corso del tempo, perché le stagioni più fredde si stanno riscaldando più rapidamente dell'estate", ha affermato Xu Liang, co-autore del studio.
"Come risultato del riscaldamento si ha un periodo più lungo di disgelo nelle terre emerse polari, ne risulta una maggiore quantità di calore disponibile per la crescita delle piante in queste latitudini. Questo ha creato nel corso degli ultimi 30 anni grandi e nuove macchie di vegetazione che indicano una buona potenzialità produttiva, per oltre 9 milioni di chilometri quadrati" ha spiegato Compton Tucker, Senior Scientist, NASA Goddard Space Flight Center, Greenbelt, Maryland.
"La crescita delle piante nell'artico negli anni 1980 era pari a quella delle terre a 64 gradi nord. Oggi, a soli 30 anni dopo, è uguale a quello delle terre a 57 gradi a nord-una riduzione della vegetazione stagionale di circa sette gradi sud in latitudine," ha detto il co-autore Prof. Terry Chapin, Professore Emerito, Università dell'Alaska, Fairbanks.
Uno dei principali risultati di questo studio è un'accelerazione del tasso di greening nell'Artico e un uguale tasso di decelerazione nella regione boreale.
"Questo potrebbe far presagire un disaccoppiamento tra l'aumento della temperatura stagione e produttività dei campi in alcune parti del Nord, con amplificazioni di alcuni fenomeni come scioglimento del permafrost, incremento degli incendi boschivi estivi, aumento dei focolai di infestazioni parassitarie e crescita delle aree siccitose" ha riferito Hans Tommervik, Primo Ricercatore, Istituto norvegese della ricerca della natura, Tromsø, in Norvegia.
Non solo.
"Questi cambiamenti avranno effetto sulle società perchè influenzeranno la fornitura di servizi ecosistemici, quali legno e cibi tradizionali", spiega Bruce Forbes, Università della Lapponia, Rovaniemi, Finlandia.
Si potrebbe persino venire a creare un effetto domino perchè i suoli del nord ghiaciati contengono enormi quantità di gas serra che oggi sono bloccati dal ghiaccio ma che potrebbero venire presto liberati in grandi quantità.
"La vita di molti organismi sulla terra è strettamente legata alle variazioni stagionali di temperatura e disponibilità di cibo, e tutto il cibo viene, per prima cosa, dalle piante," spiega Scott Goetz, Vice Direttore e Senior Scientist, Woods Hole Research Center , Falmouth, Stati Uniti d'America. "Le alterazioni della temperatura e della stagionalità possono influire molto sugli ecostistemi, a partire dai cicli biologici degli insetti ma anche di esseri più grandi. Pensiamo solo alla migrazione degli uccelli e al letargo degli orsi in inverno.”
Questo è uno scenario che si potrà andare delineando di qui a qualche anno ma qualche effetto è visibile già oggi.
Secondo la ricerca della Boston University, i rilevamenti preliminari delle temperature nel mese di marzo hanno fatto segnare ovunque un aumenti. Su scala globale l'incremento è stato di 0,18 gradi rispetto alla media degli ultimi 30 anni. Ad avere il record di incremento della temperatura l'emisfero nord con un +0,33 gradi, seguito dai tropici +0,22 gradi e dall'emisfero sud +0,04 gradi.
Nel mese di marzo la zona più fredda del globo è stata nel nord-est la Russia, dove la temperatura media è stata di circa 11,7 gradi Fahrenheit più fredda della media. Rispetto ai valori stagionali medi, l'area "più calda" sul globo nel mese di marzo è stata lo Stretto di Davis, tra la Groenlandia e Isola di Baffin. Le temperature lì sono state di 11,7 gradi Fahrenheit più calde rispetto ai valori medi stagionali per marzo.
In Italia
Il maltempo che ancora non lascia l’Italia stravolge il calendario agricolo, impedendo le operazioni di semina in campo e influenzando negativamente la prossima campagna. Se il clima impazzito con pioggia e freddo non cederà il passo alla primavera, infatti, c’è il rischio concreto di un calo generalizzato della Plv agricola superiore al 10 per cento. Lo afferma la Cia-Confederazione italiana agricoltori.
Finora le precipitazioni insistenti, soprattutto al Nord-Est, hanno impedito tutti quei lavori che preparano le semine, dall’aratura alla fresatura del suolo -ricorda la Cia-. In più, i terreni allagati e fangosi rendono impossibile entrare in campo con le macchine agricole per parecchio tempo. Facendo slittare ancora più avanti le semine.
Ma se si sposta il calendario “classico” da marzo ad aprile cambiano i tempi di maturazione delle colture -spiega la Cia- e aumenta il pericolo di arrivare alla fase della raccolta con una pianta più debole e, quindi, con una resa produttiva inferiore.
A rischiare di più per i ritardi nelle semine primaverili a causa del maltempo sono in questo momento la barbabietola e il mais, e in parte anche il riso -conclude la Cia- che potrebbero subire una flessione nelle previsioni di produzione fino al 15-20 per cento.
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