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Monini si converte al modello superintensivo spagnolo

Monini si converte al modello superintensivo spagnolo

Con un progetto sostenibilità che punta al 2030, Monini annuncia la creazione di un “Bosco Monini” da 1000 ettari con un milione di olivi di Arbequina, Arbosana e Koroneiki, con qualche cultivar autoctona. In cinque anni inversione a U della politica aziendale

27 maggio 2020 | Alberto Grimelli

Ci sono oliveti che servono a produrre olive e olio. Ci sono oliveti che hanno una funzione paesaggistica. Ci sono oliveti che servono per pubbliche relazioni e marketing.

Mai avrei immaginato di vedere oliveti atti a produrre certificati di sostenibilità.

E' questo, in sintesi, il progetto Monini 2030, nato per celebrare i 100 anni di attività dell'azienda.

Su 1000 ettari di terreno verranno piantumati un milione di olivi. "Un nuovo polmone verde capace di assorbire in 10 anni 50.000 tonnellate di CO2" ha spiegato Andrea Marchelli, direzione marketing dell'azienda.

A quanto sappiamo qualche centinaio di ettari di questo “polmone verde” sono già a dimora. Si tratta di un superintensivo con Arbequina, Arbosana e Koroneiki, piantine comprate in Puglia a 1,8 euro/l'una. Nel progetto anche una piccola parte dell'oliveto sarà con cultivar autoctone.

Lo stesso presidente Zefferino Monini si è convertito sulla via di Damasco, o di Agromillora, al superintensivo spagnolo, visto che cinque anni fa affermava, piuttosto seccato, tutt'altro sulle pagine di Teatro Naturale.

Naturalmente è assolutamente legittimo cambiare idea.

E' anche lecita l'inversione a U della politica aziendale, prima tutta difesa dell'italianità, per poi passare a una visione globalista.

Dopo l'esperienza all'estero, ha sottolineato il presidente Monini, "ci siamo concentrati sull'olivicoltura superintensiva che garantisce la massima efficienza nell'utilizzo di spazi e nel rispetto delle emissioni di CO2 e può convivere, migliorando quindi i processi, con la nostra agricoltura tradizionale".

Se il rapporto tra superintensivo spagnolo e autoctono italiano è 10:1, come attualmente è negli oliveti Monini, non parleremmo di una vittoria (neanche di una convivenza) dell'italianità, ridotta a pura bandiera o testimonianza di una realtà che, per imbottigliatori come Monini, non ha più alcun valore.

Per avere crediti di CO2 da spendere nei processi produttivi aziendali di imbottigliamento, e certificarne così la sostenibilità, sarebbe bastato adottare qualche bosco italiano, spesso ridotto anch'esso in pessime condizioni. Certo avrebbe fatto meno effetto che annunciare la nascita di un “Bosco Monini”, che già dal nome evoca la sua funzione.

Se poi in un olio 100% italiano targato Monini ci scappasse qualche goccia di Arbequina, Arbosana e Koroneiki sarebbe tutto assolutamente regolare... gli oliveti ci sono.

E poi c'è ancora chi si chiede a cosa serve piantare un oliveto al giorno d'oggi.

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